The Holy Mountain > Alejandro Jodorowsky

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articolo pubblicato in Rapporto Confidenziale numero 9, novembre 2008

 

Film di culto che, all’epoca d’uscita, ebbe un impressionante successo all’interno degli ambienti della controcultura degli anni Settanta. Magica opera di uno dei più grandi artisti dei nostri tempi: l’alchimista/poeta Jodorowsky che, del film, cura regia, scenografie, musica, soggetto, sceneggiatura, costumi ed interpreta la parte della guida spirituale. Un viaggio alla ricerca del segreto dell’immortalità, intriso di straziante poesia, che viene a configurarsi simultaneamente come avventura iniziatica ed esperienza lisergica. Liberamente ispirato all’opera di San Giovanni della Croce (Subida al monte Carmelo) e al romanzo “Il monte analogo” di René Daumal, ma ricchissimo di riferimenti cinematografici (Buñuel, Fellini, Cocteau, Russell…), pittorici (Dalì, Goya, Bosch…) culturali (il surrealismo, Freud, le Sacre Scritture, la Divina Commedia, il fumetto…) e religiosi. Impossibile riassumerne la trama in poche righe, in quanto le linee tematiche e le sollecitazioni visive all’interno dell’opera sono innumerevoli, tanto che si potrebbe pensare che in soli 10 minuti di questo film ci siano le idee da cui partire per sviluppare altri 5-6 film!
Il regista, per prepararsi alla pellicola, seguì per un anno l’addestramento alla disciplina messa a punto dallo sciamano Oscar Ichazo, una rutilante amalgama di Zen, Sufismo, esercizi Yoga combinati con le teorie derivate dall’Alchimia, dalla Cabala, dai Ching e dai Tarocchi (attualmente il regista è un brillante psicoterapeuta che utilizza le illuminazioni derivate dai tarocchi per applicare la sua peculiare tecnica curativa denominata Psicomagia)e associati agli insegnamenti provenienti dalle dottrine di Gurdjieff, dall’esoterismo e dal misticismo e nel film tutte queste influenze divinamente confluiscono.
Il cinema, quindi, visto come arte intimamente legata all’esistenza e alla spiritualità umana, che ha la capacità (nelle intenzioni dell’autore) di affrontare i drammi del nostro mondo interiore per portare ad una trasformazione in primis dell’autore e degli attori, unica via possibile per arrivare successivamente ad una crescita spirituale degli stessi spettatori (“per mezzo dei simboli, degli archetipi, io mi rivolgo all’inconscio collettivo degli spettatori”) e ad un cambiamento tangibile del sistema. La consapevolezza che “l’immortalità non è potenza, ma saggezza, carità, conoscenza, da ricercare dentro e non fuori noi stessi” (Porro, 1974).
Un cinema, quindi, come atto terapeutico che può curare ed aiutare ad abbandonare il proprio ego egoistico (nel film metaforizzato da un freak senza braccia), ma anche come implacabile strumento di denuncia contro ogni ingiustizia e mercificazione (anche le più intoccabili), attraverso la creazione di una visionaria e beffarda allegoria sulla degradazione della società moderna in mano ad un disumano potere consumistico-politico-militare-religioso (all’epoca particolarmente e terribilmente evidente in America Latina).
Innumerevoli scene memorabili e sorprendenti tra cui ricordo: una rievocazione del genocidio degli aztechi recitata da iguana travestite da indios con rospi nella parte dei colonizzatori spagnoli; il risveglio del protagonista in un enorme osceno deposito di Cristi di cartapesta fatti a sua immagine; la mirabolante sequenza all’interno del Tempio dell’Alchimista atta ad introdurre il rituale alchemico della trasmutazione degli escrementi in oro; la mostra di arte contemporanea con le sculture interattive che intrecciano corpi umani e forme astratte; le case del futuro create dal potente architetto rappresentate sarcasticamente da abitacoli a forma di bara; la pungente critica agli pseudo-illuminati presenti nel bar del Pantheon ai piedi della Montagna Sacra in cui sono evidenti i riferimenti a Ginsberg e a Leary; l’impressionante materializzazione delle paure e delle angosce dei protagonisti visualizzata dalle “Visioni dei Morti”…Un’opera ambiziosa e potente, conscia di sé stessa e dell’impossibilità del raggiungimento totale dell’obiettivo prefissatosi (quello di catturare e concentrare il segreto spirituale del cosmo attraverso la rinuncia all’io individuale da parte dei protagonisti per diventare parte di un essere collettivo) e per questo condita di humour e autoironia, con il suo autore costantemente in bilico tra la figura del profeta e quella del buffone.
Il criticatissimo finale mostra l’illusorietà della speculazione sui massimi sistemi. E’ il nostro microcosmo quello su cui possiamo fare il nostro piccolo miracolo: il Cristo/Ladrone poco prima di arrivare in cima alla Montagna si stacca dal gruppo, esce dalla finzione, per congiungersi alla donna prostituta che con tanto coraggio e umiltà lo ha seguito nell’impervio viaggio, sostenuta dall’amore e accompagnata da un’enigmatica scimmia…lui, illuminato dal percorso compiuto e rinforzato dall’amore, è ora pronto a ributtarsi nella vita terrena quotidiana per diventare il nuovo Maestro e provare a cambiare il mondo.

Consiglio la visione del film sul DVD recentemente editato dalla RaroVideo in un cofanetto contenente anche gli altri imperdibili film del regista (e un bel documentario “La costellazione Jodorowsky”), forte di immagini che rendono giustizia all’impatto visivo dell’opera, spettacolarmente irripetibile. DVD arricchito, tra l’altro, da una traccia del film commentata dallo stesso Jodorowsky, che dimostra come quello che ad alcuni appare come folle caos psico-visivo, nasconda invece un ordine cristallino. Dagli extra scopro che nelle intenzioni del regista il film avrebbe dovuto concludersi in un ristorante, metafora del Paradiso, in cui si assisteva ad un parto reale, ad una meravigliosa nascita di un essere umano (la gestante all’ultimo istante revocò però la sua disponibilità), atto definitivo per oltrepassare il confine dell’illusoria rappresentazione in celluloide. Da tal DVD manca però (ma è inclusa negli extra) la scena in cui davanti alla televisione il figlio adolescente del ricco Klen paga una piccola prostituta, che giace nuda di fianco a lui, sequenza che molto mi colpì e sconvolse, all’epoca in cui vidi la versione della pellicola contenuta nella rara videocassetta GVR e che, in un certo senso, anticipa l’attuale totale perdita dei valori in nome del denaro, virus infettivo attivo fin dalla più tenera infanzia.
Spesso una critica rivolta al film riguarda la sua violenza, ma bisogna attentamente distinguere tra violenza creatrice e violenza distruttrice e va sottolineato come il percorso verso la conoscenza non può non essere lastricato da dolorose esperienze traumatiche e come la stessa realtà quotidiana sia spesso fatta di crudeltà e violenza.A tal proposito riporto le parole di Jodorowsky tratte da un bel libro di Massimo Monteleone “La Talpa e la Fenice”: “Per me la violenza è la vita stessa. Quando nasce una galassia è una grande violenza, il sole è una grande violenza, la vita è una grande violenza. Io non parlo della violenza negativa, della guerra o cose del genere, parlo della violenza nell’arte, parlo di poesia. Mi piace ciò che è poetico e ciò che è violento, sono le due facce della stessa medaglia. Non concepisco un’arte senza violenza. Quando una persona mi dice che persegue un’arte poetica e mi presenta un film sdolcinato, io penso che è un imbecille. Poiché un cinema di poesia è un cinema poetico-violento. Nel surrealismo Bréton ha detto che la poesia o sarà esplosiva o non sarà affatto. Credo a questo. Rilke disse che tutti gli angeli sono terribili. Terribili o angelici è la stessa cosa. Non posso fare dei film senza azioni molto forti. Intendo creare un’immagine, anche un secondo o due, che tutto il pubblico non possa più dimenticare. Voglio fare delle immagini una droga allucinogena: tu guardi l’immagine e deliri. Questo è ciò che mi interessa.”

The Holy Mountain
Mex/USA – 1973 – 114′



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