Intervista con Bogdan Mirica,
regista e sceneggiatore di Bora Bora
di Roberto Rippa
Dopo la laurea in giornalismo, Bogdan Mirica si è specializzato in sceneggiatura e produzione alla University of Westminster, in Inghilterra. Ha iniziato come lettore di sceneggiature a Londra e poi ha avviato una collaborazione con la MediaPro Pictures. Ha scritto diverse sceneggiature prima di passare alla regia del suo primo progetto personale, “Bora Bora”, nel 2010.
Roberto Rippa: Da dove nasce l’ispirazione per Bora Bora, il tuo primo film come regista?
BM: Il cuore della storia – quella di un uomo che si ritrova per un caso a coltivare cannabis e il cui raccolto verrà bruciato da poliziotti eccessivamente zelanti – si dice sia accaduta veramente anni fa in Romania. Io penso che si tratti di una leggenda metropolitana, o rurale in questo caso. Soprattutto mi piace pensare che “Bora Bora” sia più che una storia basata su un semplice aneddoto sulla cannabis. L’ispirazione, per rispondere alla tua domanda, viene dalla Romania di tutti i giorni.
RR: Ho letto che hai studiato sceneggiatura in Inghilterra e che che prima di girare Bora Bora hai scritto alcune sceneggiature. Cosa ti ha fatto decidere di metterti dietro la macchina da presa?
BM: Ho sempre voluto dirigere ma ho atteso finché ho sentito che il momento giusto, il progetto giusto, era arrivato. Credo che la regia sia un’arte che cresce dentro e che si debba crescere come persone per essere pronti ad affrontarla.
Su un tono più professionale, non sono mai stato soddisfatto di ciò che gli altri registi avevano fatto delle mie sceneggiature. Non intendo dire che fossero necessariamente brutti film, erano però molto diversi da ciò che io avevo inteso scrivendoli. Quindi mi sono detto: “Puoi metterti in un angolo e piagnucolare o puoi fare un salto in avanti, assumerti il rischio di sporcarti le mani.
RR: Bora Bora parte come una descrizione realistica della vita in un luogo rurale e povero per trasformarsi in commedia e finire addirittura in farsa. Pensi che la commedia aiuti nel rendere la realtà più credibile e profonda nel cinema?
BM: La risata è una questione molto più seria di quanto la gente pensi. Certo, puoi avere persone che scivolano su una buccia di banana o si lanciano torte in faccia, ma le origini della risata sono molto più serie. Al tempo in cui gli uomini delle caverne vagavano per la terra, le persone erano solite ridere in assenza di paura. Ogni volta che si sentivano a loro agio, ogni volta che provavano la speranza di riuscire ad arrivare al giorno dopo, accennavano a un sorriso e quindi scoppiavano in una risata. Non ho dubbi sul fatto che la risata aggiunga uno strato di realismo nel cinema, a meno che non si parli di sciocche commedie dozzinali. E penso anche che la risata funzioni meglio nel dramma che unita ad altre risate.
RR: In effetti, il tuo film racconta una storia personale con grande umorismo ma non nasconde una seria critica per una situazione creata in un luogo che sembra dimenticato da tutti: politici inclusi.
BM: Si, ma non volevo farne una questione politica, non volevo puntare il dito contro qualcuno, bensì lasciare intravedere l’assurdità della vita in generale. E in questo non c’è nessuno che possa essere rimproverato. Ogni personaggio del film ha una sua parte di colpa e ognuno di loro è in qualche modo innocente.
RR: Le interpretazioni nel film sono straordinarie. Come hai lavorato con gli attori?
BM: Si dice che lavorare con gli attori per un regista esordiente costituisca un peso. Non è stato affatto il mio caso. Credo che il più grande vantaggio per me sia stato che tutti gli attori sembravano avere amato la sceneggiatura. In fase di scrittura, avevo la convinzione che ogni ruolo, anche il più piccolo, doveva essere interessante. Idealmente, ogni attore coinvolto nel film avrebbe dovuto avere la possibilità di fare del suo ruolo una pepita d’oro, indipendentemente dalla sua dimensione. Mi piace pensare che ogni attore si sia divertito nel suo personaggio e credo che questo si veda sullo schermo. Ma ciò che davvero mi affascina, è ciò che accade quando un attore viene con una sua proposta basandosi su ciò che tu ha scritto. Se sei fortunato, questa è una chiave di successo.
RR: Questa è una domanda che pongo ad ogni regista rumeno che mi capiti di incontrare : ormai da alcuni anni si parla molto di una new wave del cinema rumeno. Credi che esista una cosa simile? Credi ci sia qualcosa che accomuni registi tanto diversi come Porumboiu, Sitaru, Mungiu, Mitulescu, Puiu, Crisan e ora anche tu?
Ogni volta che pongo questa domanda, i registi rispondono più o meno invariabilmente di non credere all’esistenza di una new wave. Questa estate, però, Anca Damian, regista di Crulic, ha individuato quello che secondo lei è un tratto comune: l’umorimo nel raccontare la realtà, secondo lei una peculiarità del popolo rumeno. Qual è la tua opinione in merito?
BM: Per me non è importante come lo si chiama, ma qualcosa è davvero cambiato una decina di anni fa, ed è cambiato in meglio. Con questo non voglio dire che prima non ci fossero bravi registi e buoni film forse, a causa del regime comunista, non erano conosciuti internazionalmente come accade oggi.
Per me è più interessante guardare ai registi rumeni come a individui e non come parte di una tendenza o un’onda. Sono più interessato alla complessità di un film che agli aspetti critici ad esso legati, che lo porrebbero su uno scaffale con un’etichetta. Questo è il lavoro del teorico, non il mio. Per quanto riguarda il senso dell’umorimo come tratto comune, non sono così convinto. Ce n’è molto nel lavoro di Caranfil o di Porumboiu ma non arriverei a dire che l’umorismo sia uno tra i tratti comuni della new wave cinematografica rumena.
RR: Ion, il personaggio principale del tuo film, vive un quotidiano surreale per poi finire intrappolato in una situazione profondamente surreale. La scrittura è molto precisa, così come la regia. Per quanto tempo hai lavorato alla sceneggiatura? E la lavorazione del film quanto è durata?
BM: Ho scritto una prima stesura circa 9 o 10 anni fa, ma è stato un anno fa che ha iniziato a prendere davvero forma. In fase di pre-produzione l’ho scritta e riscritta un paio di volte, cercando di unire tutti i bandoli della matassa, per renderla più divertente e pensarla per la prima volta dal punto di vista del regista. Questo l’ha cambiata in modo considerevole. In tutto, il lavoro ha preso circa un paio di mesi. La lavorazione è durata invece sette giorni.
RR: Questa tua prima esperienza come regista ha in qualche modo cambiato la tua prospettiva in quanto scrittore? Se si, in che modo?
BM: Non conta quanto tu sia bravo come scrittore, una sceneggiatura sarà sempre solo un piano, una base, per il film. Le parole su una pagina non potranno mai raggiungere la complessità di quella fantastica giustapposizione che è la regia: persone ed emozioni, carrelli e lenti, luci ed ombre, musica, suono e silenzio. Se vuoi essere uno sceneggiatore felice, diventa un regista.
RR: “Bora Bora” ha ottenuto un premio al Transilvania Film Festival qualche settimana prima di essere presentato a Locarno. Cosa sta accedendo ora? È ancora in circolazione per festival?
BM: Si, siamo stati al Festival del film di Varsavia, abbiamo aperto La Cabina (Festival Internacional de Mediometrajes de Valencia. NdR) a Valencia e ora andiamo al Thessaloniki International Film Festival e vedremo cosa accadrà dopo.
RR: Stai lavorando a un nuovo progetto in qualità di regista o sceneggiatore?
BM: Ho un paio di progetti in fase di sviluppo in questo momento, tutti come sceneggiatore e regista ma non si sa mai se vedranno la luce e se succederà, quando. Non stiamo esattamente vivendo i tempi migliori.
Novembre 2011
Leggi l’articolo su Bora Bora in Rapporto Confidenziale
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