Wes Anderson and the Substance of Style
di Alessio Galbiati
articolo pubblicato in Rapporto Confidenziale – numero16, luglio-agosto 2009 (pagg. 40-43)
A volte la critica cinematografica riesce ad essere davvero una cosa interessante, utile lo è raramente. Il caso della video-analisi di Matt Zoller Seitz (1), pubblicata a partire dal 30 marzo 2009 sul fondamentale Moving Image Source (movingimagesource.us) (2), rientra appieno in questa categoria e rappresenta, nel suo genere, un capolavoro assoluto.
The Substance of Style è un documentario in cinque parti che analizza i riferimenti cinematografici (ma non solo) di uno dei registi più influenti e misconosciuti (in Italia senz’altro) degli ultimi anni: Wes Anderson (3). Quello di cui vorrei dunque dar conto è un esempio di critica cinematografica davvero notevole, non necessariamente innovativo, ma davvero efficace e sorprendente. Una critica della critica.
Quello di Anderson è un talento fuori dall’ordinario che colpisce lo spettatore per l’incredibile coerenza d’insieme, per la forte valenza autoriale che emerge da ogni suo lavoro. Seitz analizza il suo stile isolando con meticolosa attenzione le citazioni disseminate nei testi filmici sin qui prodotti dal regista texano (un texano decisamente distante dallo stereotipo corrente), citazioni provenienti da registi del calibro di Orson Welles, Martin Scorsese, Richard Lester, Mike Nichols, Bill Melendez, Hal Ashby e François Truffaut. Tutte le osservazioni di Seitz sono suffragate dalle stesse immagini provenienti dai film citati, una caratteristica resa possibile dall’importanza dell’istituzione per la quale ha prodotto la video-critica, una cosa altrimenti irrealizzabile se si tiene conto della mole di opere filmiche citate e utilizzate. Bellissima ed esemplificativa della potenza del cinema di Anderson, come pure dell’efficacia dell’analisi, è la sequenza parallela proveniente da The Graduate (Il laureato di Mike Nichols, 1967) e Rushmore (Wes Anderson, 1998) in cui diviene evidente ciò che il film lasciava solo intuire (a meno d’una memoria di ferro, capace di leggere contemporaneamente due testi filmici fra loro distanti nel tempo, fra loro lontani nella memoria dello spettatore). Anderson realizza una citazione perfetta, resa evidente da Seitz con la scelta di utilizzare l’audio originale della pellicola di Nichols (ovvero il brano musicale Sound of Silence di Simon & Garfunkel), entro una medesima unità di luogo (in entrambi i casi la sequenza si svolge in una piscina), così facendo egli traccia un legame fra gli stati d’animo dei due protagonisti delle sequenze (Dustin Hoffman e Bill Murray), due personaggi che si sentono svuotati e distanti dal mondo che li circonda, come dei palombari sprofondati nel proprio scafandro in un abisso senza fondo.
Cinque capitoli così suddivisi:
1. Analisi complessiva dello stile registico di Wes Anderson
2. Citazioni provenienti da Martin Scorsese, Richard Lester e Mike Nichols presenti nel cinema di Anderson
3. Citazioni provenienti da Hal Ashby presenti nel cinema di Anderson
4. Citazioni provenienti da J.D. Salinger presenti nel cinema di Anderson
5. Analisi del prologo di The Royal Tenenbaums
È sorprendente scoprire l’intarsio di citazioni contenuto nel cinema di Anderson, stupefacente se messo in relazione all’incredibile freschezza del suo stile, capace di mantenersi su di un bizzarro equilibro fra vecchio e nuovo, costantemente in grado di porre una dialettica destabilizzante, una conflittualità fra situazioni che invariabilmente porta allo scardinamento delle norme precostituite, non tanto attraverso delle rivoluzioni del dato sociale pre-esistente quanto con l’insinuazione in esso d’un qualche elemento eccentrico e dolce. L’anticonformismo dei personaggi dei suoi film, si pensi all’eroico Max Fisher di Rushmore, un perfetto nerd-looser, o allo squinternato Dignan di Bottle Rocket, un perfetto looser picchiatello, è sempre il motore delle storie raccontate. Sono i personaggi dei suoi film che trascinano la narrazione, che le fanno compiere tutte quelle digressioni e contorsioni che rendono il cinema di Anderson unico e meraviglioso (ma i figli del suo cinema hanno da tempo cominciato a sbocciare, basti pensare a pellicole tipo Juno, Napoleon Dynamite, Garden State, Son of Rambo e molti altri ancora…).
Seitz, dicevamo, compie un’analisi filmica completa del cinema di Wes Anderson, nel primo capitolo (Wes Anderson and his pantheon of heroes) definisce il cineasta texano in termini autoriali, rifacendosi alla scuola dei Cahier che qualificava in tal modo un regista quando ogni suo film era in grado di portare una propria e costante visione del mondo. In Anderson questo è lampante, salta letteralmente agli occhi. Steve Zissou, Max Fisher, Dignan, i tre fratelli Whitman e quelli Tenenbaum, come pure l’uso della macchina da presa, il frequente ricorso a complessi piani sequenza, l’uso del carattere tipografico Futura (4), l’altrettanto frequente utilizzo di opere pittoriche (il più delle volte realizzate dal fratello), l’amore per i personaggi disadattati, o semplicemente strani, il senso di fratellanza proprio dell’amicizia e così via… tutto in Anderson è autorialità e tutti i suoi film fra loro si somigliano, legati l’uno all’altro in una maniera talmente stretta da costituire (quasi) un unico testo filmico. Seitz rintraccia quali sono gli autori cinematografici che hanno maggiormente influenzato il suo stile e dei quali è rintracciabile una qualche, più o meno esplicita, citazione. Seitz produce un lavoro critico-analitico che rientra in un’abbastanza folto gruppo di articoli apparsi sulla stampa cinefila a partire dal secondo film diretto da Anderson, Rushmore, una gara all’emersione di tutte quelle citazioni “silenti” che ne ammantavano il testo (5).
In sostanza la tesi centrale sostenuta da questa analisi è espressa piuttosto chiaramente dal suo autore: «Il carattere maggiormente distintivo di Wes Anderson è la vastità della gamma di opere artistiche che alimenta la sua immaginazione, un’immaginazione che non si compone solamente di opere recenti americane e straniere, ma spazia nel cinema di 30, 50, o anche 70 anni fa, ed a questo aggiunge giornali, fumetti, illustrazioni e fiction. Lo spettro delle influenze dà al suo cinema un’unicità dei toni che non ha imitatori. È uno stile che si fa sostanza.» (6)
Questo stile si alimenta di Peanuts, il celebre mondo a fumetti creato dalla striscia del geniale Charles M. Schulz – quello con Snoopy e Charlie Brown per capirci, ed è affascinato dalle animazione che sopra a queste realizzò Bill Melendez (7). In una sequenza di Rushmore vediamo il protagonista, interpretato da Jason Schwartzman, uno degli attori più amati ed utilizzati dal regista, abbigliato in maniera pressoché identica a Charlie Brown nel film d’animazione A Charlie Brown Christmas (Bill Melendez, 1965). In un’intervista rilasciata all’autore dell’analisi in questione Owen Wilson, co-sceneggiatore del film, gli confidò di considerare Max Fisher come la sommatoria di Snoopy e Charlie Brown tant’è che il padre di Max è incredibilmente somigliante al padre dei due… Cherles Shulz. E poi come in Peanuts i personaggi delle storie racconta da Anderson sono delle anime candide che vivono in un proprio mondo fatto di sogni ed innocenti passioni.
Ma questa sostanza prende forma citando ed utilizzando (quasi fosse un grammatica) anche il grande cinema, quello di Orson Welles e di François Truffaut. Non è citazionismo, più probabilmente si tratta di maniera. L’uso del piano sequenza inteso come elegia dell’immagine cinematografica sembra essere lo stesso, movimenti di macchina complessi in continuità di ripresa. Seitz rileva, suffragato dalle immagini mostrate in split screen, la coincidenza della durata di due piani sequenza realizzati da Welles e Anderson rispettivamente in Citizen Kane ed in The Life Aquatic with Steve Zissou. È sorprendente l’effetto che si prova nel vedere disvelata una citazione di questo tipo ed è assolutamente lecito domandarsi se tale relazione fra due film distinti (e distanti) non sia in realtà un abbaglio del critico, che cerca una conferma la dove vi è solamente casualità; il dilemma è però irrisolvibile, la critica, soprattutto quella attenta alle citazioni, i cinefili militanti, quelli per i quali tutto è citazione, non potranno fare a meno di credere che la casualità nel cinema non esista, gli scettici invece… bhé, per loro non c’è speranza.
Sono molti i momenti sorprendenti nel lavoro critico di Matt Zoller Seitz e spaziano da riflessioni generali, come ad esempio l’evidente prossimità del cinema di Anderson con alcune delle opere più riuscite di Hal Ashby (a questo è dedicata la terza parte: Examining the Wes Anderson-Hal Ashby connection) oppure all’uso assai simile della colonna sonora e del ralenti a quanto fatto da Martin Scorsese nell’epoca aurea del suo cinema, ma questi diventano straordinari quando accostano fra loro (come già illustrato) sequenze pressoché identiche. Il tentativo di suicidio compiuto da Richie Tenenbaum, nel bagno della casa dei genitori con una lametta per radersi, è davvero (!) un omaggio-citazione a The Big Shave, il celebre cortometraggio di Martin Scorsese del 1967, una citazione che si compone d’un buon numero di inquadrature identiche ma che è costruita per essere un punto di svolta drammatico e decisivo della vicenda narrata.
Quest’ultimo esempio rende manifesta la sostanza dello stile di cui si parla, ed è un manifesto eloquente di un modo di concepire il cinema che non si può che amare, dato che si appropria di tutta la storia del cinema e la utilizza come fosse grammatica utile alla costruzione di nuove combinazioni linguistiche, fatte di forma e sostanza. Questo stile è una fra le strade possibile che il cinema contemporaneo ha imboccato per evolversi, accorpando in se ogni riferimento culturale possibile con la leggerezza dell’innocenza d’uno sguardo gentile, lo sguardo di Wes Anderson.
Quindi, quando vi capiterà di ri-vedere un film diretto da Wes Anderson, sappiate che, sotto quell’apparente nonsenso continuo, c’è tutto un mondo di segni, rimandi, citazioni e molta, molta sostanza.
Alessio Galbiati
The Substance of Style
di Matt Zoller Seitz
tinyurl.com/loc9h9
movingimagesource.us
Note
(1) Matt Zoller Seitz è uno scrittore e filmmaker statunitense che collabora in qualità di critico cinematografico e televisivo su un gran numero di testate fra cui il New York Times, New York Press, e The Star Ledger. Nel 2005 ha esordito dietro la macchina da presa dirigendo l’insipido Home, una commedia drammatica ambientata a Brooklyn. Recentemente ha compiuto un’analisi, metodologicamente assai simile a quella dedicata a Wes Anderson, del cinema di Michael Mann, sempre in cinque capitoli sempre realizzata in audiovideo (e testo): Zen Pulp.
www.movingimagesource.us./articles/zen-pulp-pt-1-20090701
Blog personale: thehousenextdooronline.com
(2) Moving Image Source è uno dei migliori siti di informazione cinematografica presenti sulla rete ed è la piattaforma online d’uno dei più raffinati luoghi (reali) della cinefilia (il Museum of the Moving Image di New York). La qualità degli articoli presenti è davvero notevole, sempre dettagliatissimi e documentati sono una riserva di informazioni ed analisi irrinunciabile per lo studioso e l’appassionato. Moving Image Source è reso possibile dalla Hazen Polsy Foundation, fondazione cinefila istituita alla memoria di Joseph H. Hazen, celebre avvocato e produttore che ha percorso tutti gli anni d’oro di Hollywood. Fu lui a scrivere il contatto fra la Warner Brothers e la Edison Vitaphone per la realizzazione del primo film sonoro della storia, il leggendario The Jazz Singer del 1927.
Source: movingimagesource.us
(3) Wesley Wales “Wes” Anderson è nato a Houston in Texas il primo maggio 1969. Filmografia: Bottle Rocket (mediometraggio, 1994), Bottle Rocket (1996), Rushmore (1998), The Royal Tenenbaums (2001), The Life Aquatic with Steve Zissou (2004), The Darjeeling Limited (2007), Hotel Chevalier (cortometraggio prequel di The Darjeelin Limited, 2007), The Fantastic Mr. Fox (film d’animazione di imminente uscita, 2009).
Wes bio: en.wikipedia.org/wiki/Wes_Anderson
Nella voce dedicata ad Anderson dalla più celebre “Free Encyclopedia” della rete è decisamente interessante la tabella dedicata agli attori che hanno preso parte ai suoi film, con essa è possibile verificare graficamente la costituzione di un clan ormai ben definito di attori (tutti di primo piano) che segue il regista texano in ogni sua prova registica.
Fan site: rushmoreacademy.com
(4) È maniacale l’uso del carattere tipografico Futura nei film di Wes Anderson. Lo troviamo praticamente in tutti. Alonso Duralde, critico cinematografico americano, in un suo interessante articolo dedicato al cinema da lui definito “twee” isola questa caratteristica del cinema di Anderson come primo elemento per la definizione d’una corrente cinematografica della quale il nostro è l’elemento di maggior spicco. Twee, come un cinguettio, un cinema povero e minimale, fatto di elementi “cheap” ma fortemente caratterizzanti. Duralde accosta fra loro Away We Go, Sunshine Cleaning e Little Miss Sunshine (a dire il vero molti altri ancora) e nel delirio conclusivo del suo articolo arrivare pure a dire che un precursore di questo twee cinema è stato il volto della star degli anni ’80 Molly Ringwald.
Alfonso Duralde, Do you see what I twee? How precious, 1 giugno 2009, msnbc.msn.com
(5) Sight and Sound e Film Comment si sono decisamente sbizzarriti in questo sport; nel 2007 sono stati pubblicati sul sito Onion A.V. Club due interessanti articoli dai quali Matt Zoller Seitz pare aver colto parecchie suggestioni: 16 Films Without Which Wes Anderson Couldn’t Have Happened e 10 Films That Couldn’t Have Happened Without Wes Anderson, entrambi scritti da scritti da Keith Phipps, Nathan Rabin, Noel Murray, Scott Tobias e Steven Hyden. avclub.com
(6) «But what makes Wes Anderson distinctive is the sheer range of art that has fed his imagination—not just recent American and foreign films, but films from 30, 50, even 70 years ago, plus newspaper comics, illustrations, and fiction. The spectrum of influence gives his work a diversity of tone that his imitators typically lack. It is a style of substance.»
Matt Zoller Seitz, The Substance of Style, Pt 1 – Wes Anderson and his pantheon of heroes (Schulz, Welles, Truffaut), 30 marzo 2009, movingimagesource.us
(7) Oltre che in numerosi libri, i personaggi dei Peanuts sono apparsi anche molte volte in forma animata in televisione. La prima apparizione come cartone animato in bianco e nero fu per la Ford Motor Company, che utilizzò i Peanuts per pubblicizzare nel 1959 la sua Ford Falcon. Lo spot fu animato da Bill Melendez che lavorava presso la Playhouse Pictures, uno studio d’animazione che aveva la Ford tra i suoi clienti. Schulz e Melendez divennero amici e quando successivamente il produttore Lee Mendelson decise di realizzare un cortometraggio animato dal titolo A boy named Charlie Brown, questi mise Melendez a lavorare all’animazione. Prima ancora di concludere questo progetto, i tre realizzarono – sponsorizzati dalla Coca Cola – il loro primo special televisivo, A Charlie Brown Christmas, musicato da Vince Guaraldi e trasmesso dalla CBS nel 1965.
Fonte: Wikipedia