Umano, mai troppo umano: Andreas Dresen
a cura di Simone Buttazzi
Se dovessi, con un notevole sforzo di sintesi, ridurre a due i nomi dei cineasti tedeschi emersi dopo la riunificazione, la scelta cadrebbe in tutta probabilità su Christan Petzold e Andreas Dresen. Nessuno di essi è particolarmente noto in Italia, dove i loro film sono apparsi a singhiozzo, spesso uscendo in piena estate. Né possono vantare leoni, palme, zii oscar o titoli entrati persino nel linguaggio giornalistico come simpatici addii a Lenin o riflessioni sulle vite altrui. In compenso, si tratta di due autori coerenti, che in questi vent’anni e passa hanno sviluppato stili riconoscibili e un proprio immaginario. Sono, inoltre, personalità molto «tedesche», capaci di calarsi in profondità nel pozzo dell’anima teutonica contemporanea scansando gli stereotipi più rassicuranti e certi facili arrotondamenti per eccesso. La visione di un film come Wolfsburg (2003) di Petzold, o dei due documentari su Henryk Wichmann (2003, 2012) a firma Dresen, è propedeutica alla comprensione di cosa sia la Germania oggi e che forme assuma il suo cinema – quello per il pubblico, senza eccessive velleità sperimentali o capricci da festival.
In questa occasione prenderò in esame il caso di Dresen, l’unico regista formatosi alla scuola della DEFA ad aver trovato il successo anche nella nuova Germania unita, cioè dopo l’annessione dell’Est all’Ovest. Nato a Gera, in Turingia, nel 1963, Dresen si è diplomato presso la scuola superiore di cinema e televisione «Konrad Wolf» di Postdam-Babelsberg con un mediometraggio, So schnell es geht nach Istanbul (1990), che riscosse un certo successo alla Berlinale. Tratto da un racconto di Jurek Becker (quello di Jakob il bugiardo, per intenderci), il piccolo film narra una storia d’amore berlinese all’indomani della caduta del muro, tra un giovane turco e una ragazza tedesca. Allo stesso periodo risalgono altre piccole produzioni quali Zug in die Ferne, Nachts schlafen die Ratten e il documentario Jenseits von Klein Wanzleben, che fotografano il clima di stupore e confusione della Wende, la «svolta» che ha portato, dopo una rivoluzione pacifica, alla nuova maxi-Germania a guida cristianodemocratica. Nel bizzarro vuoto pneumatico dei primi anni Novanta del cinema tedesco, Dresen è stato uno dei pochi a tentare una presa diretta con la Wende, rigorosamente osservata da Est.
Nel 1992 esce Stilles Land (“Paese silenzioso / immobile”), il suo primo lungometraggio, forse il più autentico e tempestivo Wendefilm mai realizzato. È la storia del giovane regista Kai Finke (lo stralunato Thorsten Merten) che nell’autunno del 1989 tenta di mettere in scena Aspettando Godot ad Anklam, un paesello sperduto del Meclemburgo – Pomerania anteriore. Tra petizioni a Honecker firmate e mai spedite a causa della codardia del direttore del teatro e un viaggio nella Berlino in festa impedito da un camioncino allo stremo, Stilles Land rappresenta plasticamente gli umori della DDR a fine corsa, e a mo’ di metafora scoperta niente è meglio di Beckett. Seppur azzoppata dalla rigidità tipica dell’industria cinematografica tedesco orientale, questa commedia amarissima e sincera preannuncia il tema chiave del cinema di Dresen: l’esplorazione empatica della vita dei perdenti.
Il prosieguo degli anni Novanta vede Dresen impegnato in ambito televisivo, tra documentari (Kuckuckskinder) storie d’amore (Mein unbekannter Ehemann), soggetti drammatici (Das andere Leben des Herrn Kreins, su sceneggiatura di un importante collaboratore della DEFA: Ulrich Plenzdorf) e film per ragazzi – Raus aus der Haut, 1997. Quest’ultimo, ambientato nella DDR del 1977, racconta di due ragazzini che rapiscono il preside della scuola mentre «oltre il muro», in Germania Ovest, la RAF sta combinando tutt’altre marachelle. Il notevole successo del film TV riportò Dresen al cinema con l’interessante Nachtgestalten (1999), pellicola berlinese vagabonda e corale in cui spiccano le «sagome notturne» di Michael Gwisdek (altro monumento della DEFA) e di Axel Prahl, futuro attore feticcio di Dresen.
Con Catastrofi d’amore (Halbe Treppe, 2002), il regista di Gera realizza il film della maturità. Girato in un mese a Francoforte sull’Oder con una troupe ristrettissima di una dozzina di persone attori inclusi, “Mezzascala” è uno spaccato di vita proletaria nella città tedesca al confine con la Polonia. La doppia coppia di protagonisti è formata da Steffi Kühnert e Axel Prahl (proprietario di un chiosco situato sul pianerottolo che smezza un’ampia scalinata del centro città) e da Thorsten Merten e Gabriela Maria Schmeide. Chi profumiera, chi conduttore radiofonico, chi impiegata presso la dogana, le due coppie «scoppiano» mediante innamoramenti incrociati e alla fine sarà il povero Axel a doversi rassegnare alla solitudine. Un canovaccio elementare, diciamo pure banale, che diventerà il modello del cinema dreseniano, più interessato alla genuinità dei personaggi (anzi, delle persone) che alla sofisticazione del racconto. La macchina da presa a spalla si è affrancata dai grigi stilemi della scuola Konrad Wolf, e l’effetto finale è di estrema freschezza, pur raccontando una storia triste senza lieto fine. Concludono la pellicola i primi piani al rallentatore della band berlinese 17 Hippies e del suo pubblico di strada, al che è praticamente impossibile trattenere le lacrime.
L’anno successivo, Dresen conclude un documentario per il progetto televisivo Denk ich an Deutschland… Ormai da tempo residente in Brandeburgo, il regista prende di mira un giovinastro classe 1978 con la politica nel sangue, Henryk Wichmann della CDU, e lo pedina nel corso della sua – vana – corsa per il Bundestag. Il partito cristianodemocratico, quello di Angela Merkel per capirci, non è certo un soggetto debole, ma in un Bundesland «rosso» come il Brandeburgo i suoi esponenti sono costretti a una pressoché eterna opposizione, e l’ineffabile Henryk, goffo schiacciasassi dal volto pulito e dai valori antichi, è il perdente perfetto da piazzare davanti all’obiettivo di Andrea Dresen. Il quale, va detto, non si accanisce mai sul protagonista, non prende posizione, non giudica né deride. Si limita a registrare temi, eventi e scampagnate della campagna elettorale a Potsdam e dintorni, dove i grandi protagonisti sono le rane che attraversano la strada e i conseguenti attriti tra i Verdi e i conservatori vecchio stampo. Henryk Wichmann von der CDU è un gioiello del cinema tedesco contemporaneo, perfettamente appaiato al «seguito» che Dresen ha voluto dargli nel 2012, Henryk Wichmann aus der dritten Reihe, seguendo stavolta le avventure del politico cristianodemocratico che ce l’ha fatta, nel 2009, a entrare nel parlamentino regionale, sedendosi, come spiega il titolo, in terza fila. Entrambi i film hanno beneficiato di una distribuzione in sala premiata dal pubblico.
Nel corso del 2004 Dresen gira un nuovo film, armato di cinepresa 16mm, spirito d’improvvisazione e una sceneggiatura, pervenutagli per posta in forma di trattamento, scritta nientemeno che da Wolfgang Kohlhaase, il più talentuoso autore di dialoghi della DEFA (Berlin Ecke Schönhauser, Solo Sunny, Der Bruch e molti altri). Un’estate sul balcone (Sommer vorm Balkon), le cui riprese si sono svolte col caldo nel quartiere berlinese di Prenzlauer Berg, è ancora una volta un piccolo miracolo fondato sul poco o niente, sull’estrema quotidianità delle situazioni: due giovani donne (Inka Friedrich e Nadja Uhl), l’alcolismo, la ricerca del lavoro e dell’amore… accennare al plot rischia quasi di nuocere al film, che replica la formula vincente di Catastrofi d’amore e scodella cinque inquadrature finali, mute, indimenticabili. Chiamiamola poesia urbana.
Realizzato quasi in contemporanea ma con mezzi più significativi, Willenbrock viene presentato alla Berlinale del 2005 (Panorama). In questa occasione Dresen collabora con la sceneggiatrice Laila Stieler (quella di So schnell es geht nach Istanbul) per adattare un romanzo di Christoph Hein ambientato a Berlino. Il protagonista è di nuovo l’Ossi Axel Prahl, che scivola gradualmente nella follia in seguito a un’aggressione. La pellicola è tra le meno convincenti della filmografia di Dresen, e lo stesso si può dire – con amarezza – anche di Whisky mit Vodka (2009), commedia sullo showbiz crucco scritta da Kohlhaase e interpretata da uno stuolo di attori di vaglia come Henry Hübchen, Corinna Harfouch e Sylvester Groth.
Per ritrovare Dresen al suo meglio, conviene dedicarsi a due progetti coraggiosi, Settimo cielo (Wolke 9, 2008) e Halt auf freier Strecke (2011), pellicole che hanno ampiamente circolato anche al di fuori della Germania, attirandosi – soprattutto la seconda – lodi e critiche in egual misura. Settimo cielo altro non è che un triangolo di sesso e amore interpretato da persone anziane. I tre protagonisti, Ursula Werner, Horst Rehberg e Horst Westphal, danno vita a scene grafiche che lasciano poco all’immaginazione, ma il regista riesce a tenere alla larga ogni sguardo guardone, ogni tentazione di exploitation. La spuntano, una volta di più, autenticità e tenerezza, e il lieto fine non è di casa. Altrettanto efficace, oltre che straziante, “Stop in pieno rettilineo”, pellicola che segue la vita di una famiglia proletaria dopo la diagnosi di tumore al cervello del padre, interpretato da Milan Peschel. Sua moglie è Steffi Kühnert. In questo caso, il rischio di cadere nel sentimentalismo più bieco è altissimo, eppure il film riesce a mantenere un equilibrio drammatico, e un pudore, esemplari, anche non ricorrendo a ellissi e scappatoie. Lo spettatore vede tutto, sa tutto. E quando sopraggiunge la morte, il silenzio è interrotto dalla figlia, che annuncia di voler andare in palestra.
Gli spaccati proletari di Andreas Dresen sono tra le cose più belle che il cinema tedesco ha sfornato nell’ultimo quarto di secolo, e superano di molteplici lunghezze gli analoghi sforzi di registi come Wolfgang Becker, Dani Levy o Leander Haußmann. Al momento in cui scrivo, pare imminente l’uscita del suo nuovo film, Als wir träumten, sceneggiato da Kohlhaase a partire dall’omonimo romanzo di Clemens Meyer, ambientato nella Lipsia giovane e selvaggia dei primi anni Novanta. L’Est che si dibatte fragile e furioso tra le grinfie culturali dell’Ovest. •
Simone Buttazzi
Andreas Dresen / Filmografia
1989 | Jenseits von Klein Wanzleben
1990 | So schnell es geht nach Istanbul
1992 | Stilles Land
1994 | Mein unbekannter Ehemann
1994 | Kuckuckskinder
1994 | Das andere Leben des Herrn Kreins
1996 | Polizeiruf 110 – Der Tausch
1997 | Raus aus der Haut
1999 | Nachtgestalten
2000 | Die Polizistin
2002 | Halbe Treppe (Catastrofi d’amore)
2003 | Denk ich an Deutschland… Herr Wichmann von der CDU (Doc TV)
2005 | Willenbrock
2005 | Sommer vorm Balkon (Un’estate sul balcone)
2008 | Wolke 9 (Settimo cielo)
2009 | Whisky mit Wodka
2010 | 20 × Brandenburg – Menschen, Orte, Geschichten (Doc)
2011 | Halt auf freier Strecke
2012 | Herr Wichmann aus der dritten Reihe