Quando ci arrivano i report dai festival di Francesco Selvi un brivido corre lungo le nostre schiene. Perché il suo modo di raccontarli può essere definito con varie parole, alcune anche ingiuriose, ma è indubbiamente unico e obliquamente geniale. La sua burla infinita contiene sempre schegge fulminanti ed è una pernacchia alla seriosità che ha rapito la cinefilia contemporanea (o forse di sempre). Torino 2015 è l’ultimo elemento selviano di una serie composta dalle “cronache e impressioni” dal Trieste Film Festival degli anni 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015 e dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro del 2013. Una serie serigrafica (in coda all’articolo alcune concrete serigrafie dal nostro realizzate) anomala e spiazzante che è un flusso di coscienza pronunciato sul lettino dello psicanalista delle pagine di Rapporto Confidenziale.
Di questo Torino mi rimane una manciata di belle cose di cui invero pochissime che riguardino il cinema e se è pur vero che RC è rivista cinematografica amo pensare che possa accostarsi anche a questa mia piccola divagolazione sui giorni miei torinesi che partono direi dal messaggio di LF in cui mi chiede sarai presente per il mio nuovo film mi farebbe piacere ed io certo e inforco il treno perché un nuovo film di Luca è non solo sempre una buona spinta di curiosità ma è anche spesso una visione che si discosta da tutto il resto o quasi e così si cambiano treni in questa giornata grigia e popolata di strani esseri almeno per me che prendo pochi treni e mi ritrovo invece nel pieno della sarabanda in cui davvero mancano solo pappagalli verde pistacchio rosa fluo viola lavanda che cantino pezzi intramontabili di Sinatra o magari riconoscendo la faccia mia come quella di chi si sta andando a incuneare in sale piene di barba lunga e talvolta fastidiosissimi baffi tirati in su e stirati ben bene potrebbero lanciarmi frasi cult microsceneggiature per pennuti gracchianti dalla faccia carioca e dalla stronzaggine tutta italiana ed io la prenderei proprio male perché non sopporterei che appena mi si vedesse in faccia il pappagallo o chi per lui potesse tirare a indovinare quasi sicuro guarda che faccia da festivaliero che ha questo e insomma le ho provate proprio tutte per prima cosa tagliarsi la barba mi son detto segue chiaramente un abbigliamento non troppo militante soprattutto non portare le clark quelle no san troppo di sessantottino ed io che non ho mai mandato giù chi subito può esser riconosciuto a prima vista ho un bel mugugno sicuro quando una ragazza con cui scambio due chiacchiere mi chiede ma che vai per caso al festival del cinema ed io allora mi cruccio e devo dire che si effettivamente sto andando a vedere un bel po’ di film e allora la mia smania da 007 dove me la metto pazienza sbarco a torino e mi fiondo al reposi dove nella sala dove si svolgono le visioni della sezione ONDE sta per partire una società di servizi di LF e appena comincia la visione mi chiedo come mai non sia stato messo insieme alla rassegna cose che verranno dato che proprio di questo mi pare Ferri ci voglia raccontare e cioè di come la distopia solamente (ma sublimemente) sognata da Tatì sia oggi una realtà, sotto ai nostri occhi quotidianamente una architettura pensata per ogni nostro servizio per soddisfare la nostra apatia per riuscire a rendere ancora più asettiche le nostre vite igienizzate all’amuchina ed in fondo penso che Ferri da sempre ci parla di futuri che sono invece presenti in cui l’uomo si ingabbia da solo e dove non esiste alcuna speranza come per esempio il bellissimo abacuc che tanto mi ha ricordato dissipatio H.G. Di Morselli tanto poco capito a suo tempo così poco che appena morto hanno subito cominciato a saccheggiarne i cassetti strabordanti libri che mai alcuno aveva voluto pubblicare e se questo non è l’esempio più lampante di mors tua vita mea ditemi un po’ voi insomma credo che con bel volo pindarico una società di servizi sarebbe stato assolutamente in perfetta sintonia con la rassegna distopica con cui il festival devo dire delizia le mie retine da ipermetrope soprattutto devo dire con film misconosciuto della nova vlna praghese Konec Srpna V Hotelu Ozon di Jan Schmidt che già nel 1967 da un paese del blocco sovietico tirava fuori questo razzo impazzito fra violenza lussuria e visione apocalittica con scene da raccapriccio come lo squartamento della mucca da parte di 8 dolci donzelle da cui tutti i maschietti vorrebbero andare a prendere lezioni private di aritmetica e invece eccole là armate di tutto punto con coltelli da far impallidire macellai sprovveduti e via che è tutto un saltar fuori di budella e capisco che essendo una mucca sia normale così mica è piccola una mucca ma pensare che anche dentro a un uomo ci sia così premere di budelloni fegatini spugne verdi chilometri di roba da srotolare e poi è normale che con un essere umano il bandolo della matassa sia difficile a trovarsi per forza caspita quel che appare fuori è semplicemente una superficie minima dentro invece e non faccio per nulla il sentimentale pensando ai pensieri o alla sensibilità o alla cosidetta umanità che fra l’altro questo film mette evidentemente alla berlina beh dicevo proprio fisicamente quando parlo di quel che sta dentro e insomma con tutto questo popò di roba è normale perdersi avere svicolamenti ripensamenti e per così dire perdere il filo come in fondo lo sto perdendo magari io ma che volete farci ho appena finitodi leggere il male oscuro di Berto e allora causa neuroni specchio mi piace provare a scrivere così come un flusso di coscienza e qualche reflusso di incoscienza o forse qualche reflusso gastroesofageo così ritorno al tema e comunque capisco che ad alcuno non possa piacere questa completa anarchia da qualsivoglia punteggiatura però che dire parlatene con Berto alla fin fine colpa sua e poi rompiamo poco gli zibaldoni se avessi appena finito di leggere Liala poteva andarci molto peggio e avrei chiesto ad AG e RR di pubblicare con lettere rosa e di spruzzare il salotto o la cameretta o la metro o dove caspita vi sarebbe capitato di leggere tale amenità di un profumo alla lavanda o al massimo al gelsomino insomma potevo non uscirne vivo e forse nemmanco voi comunque per tornare al film devo dire che davvero la completa libertà che Schmidt si prende nel lontano 1967 in un paese che aveva già i propri Jan Palach in erba ma che ancora rimaneva sottomessa alla grande madre o tutt’al più zia Unione Sovietica beh sono rimasto davvero colpito della violenza delle immagini talvolta anche gratuita e delle parti di nudo e allora ripenso effettivamente ad alcune animazioni di Trnka o di Svankmajer ed effettivamente mi sovviene come pareva esserci quasi più libertà in Cecoslovacchia che in Italia poi però l’anno dopo arrivarono i carri armati ed è pur vero che a valle giulia gli studenti riusciranno a dire la loro ma i carri armati son pur sempre i carri armati mica noccioline il film ricorda in qualche modo anche il signore delle mosche di Golding poiché le 8 procaci giovinette non saranno più bambine ma è come lo fossero ed allora ecco come la spietata violenza è insita in noi sempre pronti a sfuggire dalle grinfie a cui la società ci sottopone per compiere piccole efferate monellaggini come per esempio la scena in cui questo cane lupo che tanto ricorda per l’appunto balla coi lupi e due calzini e il sempre odioso Kevin Costiner d’agnello beh questo lupo si avvicina forse non chiede altro che un po’ di cibo e comprensione in fondo vaga da solo fra lande desolate in un post-atomo che ha fatto terra bruciata ed allora si avvicina anche solo per una carezza e pare allo spettatore tantocarino ed allora vieni vieni bello e poi BANG lo sparo con rantolii raccapriccianti del canide che sarà pur sempre un pastore tedesco quindi poco simpatico però insomma sparargli così mi par mica il caso io che sto attento a non pestare le formiche le 8monelle sono traghettate in questa valle di lacrime alla ricerca di altri umani fra deserti e brughiere da una anziana che pare l’unica al mondo ad aver conosciuto il pre atomo e invece il caso vuole che la mucca che le bambinelle e non potete capire che bambinelle ehilà non perdere il filo dicevo la mucca che le 8 hanno squartato si scopre essere dell’ultimo uomo vivo sulla terra ad aver conosciuto il pre atomo praticamente un coetaneo della anziana avranno per caso fatto le scuole medie insieme e qui il cervello mio va direttamente all’ultimo libro della trilogia di Arno Schmidt e guardacaso il cognome è lo stesso e pure il tema ultimo uomo sulla terra chiama ultima donna e via ci si trova ci si ama e ci si lascia anche se si è gli ultimi esemplari del genere umano e la speranza potrebbe ripartire proprio dai due ma tornando al film beh lui sta dentro alla carcassa dell’hotel Ozon e qui anima la davvero raggelante combriccola con vari amenicoli e balocchi come il grammofono e mappamondi e tric e trac ma alla vecchia non regge il cuore troppo stanco per questo continuo vagare nel vuoto abissale di una terra che non ha più colori né sapori se non quello della morte e allora via che infarto la colga e così è e le 8 giovincelle non hanno più il fermo dell’anziana che riconoscevano come capo o forse come carabiniere ma credo più come capo che in fondo quasi nessuno rispetta i poveri appuntati e allora senza lo stretto controllo è anarchia e insomma finalone bello cattivo con cui Schmidt si rammenta di farci sapere ancora una volta come l’uomo è in fondo carne la cui scadenza è sempre e da sempre qualche anno addietro rispetto ad ogni presente e noi non è che non lo sapessimo però talvolta un ricordino non fa male penso che questa fosse una delle perle del festival insieme sicuramente ad altro film poco rassicurante ovvero dead slow ahead di Mauro Herce una nave e il proprio equipaggio in completa simbiosi con le strutture interne dell’imbarcazione che sono davvero un connettivo biologico fra tubi scale valvole sfiatatoi che sembrano altrettante cellule arterie neuroni tendini un vero mostro che solca i mari senza una meta precisa un vero viaggio verso un ignoto che pare metafora del viaggio umano ma senza alcun folle volo ulissiano no qui non vi è ricerca ma solo un portarsi in giro senza senso come prendere una bella rotonda di cui ormai sono cosparse le nostre scialbe città entrarci e cominciare a girarci attorno senza alcun motivo preciso ma continuare e continuare e continuare sino allo sfinimento ecco così mi figuro il viaggio della nave di Herce e del suo equipaggio che dire alienato è come dare del monello ad Hitler colori sognanti e fotografia meravigliosa a coltivare l’indecisione del pubblico se si è davanti ad un incubo o a un sogno suoni spettrali ci accompagnano in questo viaggio suoni di digestione di respirazione e quando riesco ad uscire dal cinema prendo una bella boccata di ossigeno e mi andrei quasi a dileguare nel brulichio da formichine curiose fra un gianduiotto e un barbera o magari una smitragliata di tramezzini da mulafsano con quei prezzi da sceicco che pare di dover prima dire la preghierina e poi ingollare che poi è il marchingegno su cui si basa la vendita anche da quel simpaticone finto comunista di eataly ovvero rendere santo un prodotto non mi stupirei se a breve i prodotti fossero posti da soli uno ad uno in delle nicchie con file di devoti in un silenzio da oltretomba a portare le proprie analisi perfette come ex voto eh si perfette che ormai bio è diktat e se poi la farina è 00 guai ma non lo sai che sono allergica al glutine ed io ne ho abbasta e me ne tornerei al macdonald proprio per dirne una che col bio non ha nulla a che spartire e da sempre sostiene il cibo spazzatura le giornate intanto a torino sono molto indecise fra un freddo siberiano e un timido sole che spunta per poi diventare sin troppo spavaldo ed allora andare a finire dentro una sala mi sembra follia e dico andiamo a vedere che faccia ha il Po ed il Po mi scorre davanti alla faccia e scorre lento e inesorabile come i minuti come la vita ed è increspato soltanto da canoisti che pensano di essere a Eton ed io spero che vadano a sbattere l’uno con l’altro ma non mi danno la soddisfazione e dire che mica c’è un vigile urbano che fa defluire il traffico di remi e intanto sopra di me è un circolo di gabbiani una signora vede un cigno maestoso elegantissimo tira un pezzo di panino in acqua il cigno cambia rotta lentamente che non vuol mica dare a vedere che si lancia sul cibo come i vecchi alle inaugurazioni sul bouffet e sta per arrivare al meritato panino che galleggia gonfio sull’acqua quando viene travolto dai gabbiani che si son spostati da sopra la mia testa al panino sull’acqua ed il cigno da gran signore vira e guarda con sufficienza la scena di scorpacciata schiamazzante che si sta consumando ed io penso che ad oggi avere un minimo di stile è davvero poco funzionale a questa vita sociale tutta soprusi e coglionerie quindi bravo cigno che pari appena uscito da cambridge ma alla fin fine soccomberai sotto ai colpi d’ala di uccelli buzzurri ed allora mi immalinconisco e preso dal mantra acquatico del grande fiume penso mi butto no dai non mi butto ma si mi butto e via film e via ragionamenti e via social network ma quando sono lì lì per fare il saltino passano sempre una o più donzelle che in questa giornata di sole rallegrano la mia vista con tutine attillatissime e penso che anche queste piccole cose siano essenziali e sto col mio stupore e coi miei piccoli fuochi fatui di buonumore pensando che warterloo possa aspettare e che forse oggi sono più da Marengo saluti sabaudi
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Francesco Selvi