Björk Digital at CCCB (Barcellona)

AVVERTENZA: articolo 100% g.e. (giornalismo emotivo)

 

Un mese fa circa ho scritto ad Irene. Lavora all’ufficio stampa del CCCB, il Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, uno dei luoghi in cui mi rifugio quando fa caldo e quando fa freddo.
Ha certi capelli ricci Irene, impanati, da cantante jazz, proprio. La pelle bianca, il corpo minuto, solitamente infilato dentro vestiti tanto informali da rientrare con eleganza in uno stile che si potrebbe definire minimal-chic, estremamente milanese.
Le dico: “Irene, voglio esserci alla press presentation di Björk Digital“. E lei mi risponde che mi farà sapere. Aspetto fino ad una settimana dall’evento, poi non ce la faccio più e le riscrivo perché voglio sapere se è un Sì o un No tutto quel tempo di silenzio e quasi subito, fortunatamente, mi dice Sì, ti aspettiamo alle 11.00.

Nel frattempo succedono mille e una cosa nella mia piccola esistenza, che mi impedirebbero di assistere alla press presentation delle 11 di un mercoledì mattina qualsiasi al CCCB. Andarci significherebbe per esempio mancare ad un appuntamento di lavoro importante e non andarci significherebbe perdere l’occasione di vederla per prima, questa mostra. Intendo dire: essere lì Per Prima, proprio come una speleologa che Per Prima entra in una grotta sotterranea nella quale sono nascosti tesori di sale e calcare.

Arrivo in anticipo. C’è un silenzio quasi religioso. Mi pare di star a punto di entrare in una chiesa. Tutti i giornalisti invitati parlano sottovoce e si muovono come se indossassero delle sottane francescane. Fa anche lo stesso punto di freddo che si trova di solito nei chiostri in Toscana. Mancano solo le acquasantiere appese alle pareti e i segni della croce allo scendere dalla scala mobile.
E così sia.
Si tratta di creare in uno spazio fisico, uno stato di vicinanza emotiva che si raggiunge solo quando si chiudono gli occhi e ci si mette in preghiera a pensare a qualcuno.

 

1996
Ex-Yugoslavia
Bosnia

Luca Rastello ed io siamo in una piazza, nel centro di una città dal nome impronunciabile. Siamo in viaggio in Bosnia da quattro notti solamente. C’è ancora il coprifuoco. La guerra non si può dire che sia esattamente ancora finita. Il tempo, in questo spazio, non passa mai.
Luca porta la barba piuttosto lunga. Quando arriviamo in questa città dice che vuole trovare un barbiere e sembra quasi una barzelletta. Qualche anno prima, dice, quando tutto doveva ancora cominciare, ma la tensione era altissima, in questa città era stato organizzato un concerto al quale avevano partecipato migliaia di giovani di tutte le religioni e, qualche minuto prima dell’inizio del concerto, era esplosa una bomba in mezzo alla piazza. Corpi smembrati, sgomento, dolore, sofferenza, rabbia, incredulità. “Erano gli inizi del regime della tensione” continua.
Camminiamo tra le macerie, compriamo della frutta mezza andata ad una vecchietta che ha improvvisato un banco con una cassetta di legno vicino alla quale sonnecchia un cane scanchenico. Mentre facciamo la strada in silenzio cercando con lo sguardo tutto ciò che possa vagamente assomigliare a Vita e a Speranza, Luca si ferma sorridendo, catturato da “Un miracolo!”, dice lui.
“Cosa?”, gli chiedo.
“BJÖRK” Sorride.
S’inginocchia davanti a un negozio di CD improvvisato per strada da un ragazzo esageratamente magro e svuotato e prende in mano – tra i molti sistemati – Post di Björk.
“E chi sarebbe questa Bj…?” gli chiedo.
Gira la testa e mi guarda inarcando un solo sopracciglio, come solo lui sa fare. Poi fruga tra le tasche, paga e mi mette in mano quel CD sussurrando un t’invidio. Poi sparisce dal barbiere qualche passo più là per una buona mezz’orata. Come facesse a sapere che dietro quella porta di legno si trovasse un barbiere io non lo so. So che ne uscì ripulito e profumato e che da quel giorno Post diventò la colonna sonora del resto del nostro viaggio.

Quando attraversammo Mostar suonava Hyperballad, quando arrivammo a Sarajevo in piena notte, suonava Headphones. In entrambi i casi i fari della Fiat Uno di Luca illuminavano una quantità esagerata di detriti lunari e grida. Io da quell’auto non ci sarei voluta scendere mai più.

 

1997
Firenze
Teatro Verdi

È il 7 di novembre. Domani compio gli anni ed un amico di cui ormai ho perso le tracce mi sorprende regalandomi uno dei biglietti più gettonati del momento. Sessantamila lire per andare a vedere Björk in Tour con Homogenic al Teatro Verdi di Firenze.
E mentre mi accomodo tenendomi ben stretta alla poltroncina rossa e vellutata del teatro come se stessi per decollare, penso che ci risiamo di nuovo: il Teatro Verdi non è esattamente come la Fiat Uno di Luca ma continua ad esserci quella specie di perfetta incongruenza tra la musica e i luoghi in cui mi capita di sentirla risuonare. Un’incongruenza che per forza e per sempre avrà a che fare con un qualcosa che sta dentro e un qualcosa che sta fuori. In quel punto esatto di rottura lei ci s’infila e riemerge. È così che funziona il suo processo di creazione.

Ascolto tutta la scaletta senza mai mollare le mani dalla poltroncina di velluto. Un decollo lungo 90 minuti.

Hunter / Human Behaviour / You’ve Been Flirting again / Isobel / All Neon Like / Possibly Maybe / Come to me / Jóga (piango) / 5 years / Venus as a Boy / Bachelorette / Hyperballad / Pluto / All is full of Love

Si riaccendono le luci e buona notte a tutti.

 

2017
Barcellona
Centro di Cultura Contemporanea

(Per essere sincera ci sarebbe un altro teatro, con un altro concerto, da citare: Roma 2001, Vespertine Tour. È ancora Novembre. Piove. Lei ci passa davanti, per strada, qualche minuto prima d’entrare. È minuscola. Saltella tra una pozza d’acqua e l’altra, afferrandosi stretta ad un ombrellino nero fatto su misura. Sparisce tintinnando, mentre la porta d’ottone del teatro gira e inghiotte pure noi).

E arriviamo al 2017, giugno, Barcellona.

La funzione – così è giusto chiamarla – per la stampa inizia alle ore 11.00 e sarà riservata a 25 giornalisti. Questa regola vale per tutti. Chiunque voglia entrare a vedere Björk Digital deve prenotare con qualche giorno d’anticipo l’orario in cui vuole assistere. Si consiglia di arrivare con una ventina di minuti d’anticipo per non perdere il turno.

Il viaggio dura circa 90 minuti, durante i quali si passa in 6 spazi differenti e la si incontra in 3 dimensioni diverse: la 2D, la 3D e la Cyborg.

Si tratta di un’esperienza totalizzante nella quale l’artista ci chiede di sintonizzarci con il senso di lacerante disperazione che ha provato per un amore abortito e con la capacità che ha avuto di trasformarlo in un frattale di produzione artistica del quale ancora non si vede la fine.

Si inizia con Black Lake, un videoclip creato su richiesta del MoMa di New York e girato in una zona montagnosa islandese. Poi si passa alla seconda stanza dove, in realtà virtuale, si assiste a Stonemilker, personalmente l’esperienza più intensa. È una specie di recital privato, filmato in una spiaggia deserta e ventosa d’Islandia e presentato in formato di realtà virtuale con tecnologia a 360°. Poi è il momento di Mouthmantra, Family e NotGet.

Al lasciare le stanze della realtà virtuale, si entra nelle ultime due. In una, per due ore si può assistere alla proiezione su grande schermo di 24 anni di carriera in formato videoclips dell’artista e nell’altra sperimentare con lo spazio pedagogico interattivo creato per Biophilia (2012), il suo penultimo album.

Poi arriva la luce del giorno e via.

Si esce dal CCCB – nella realtà reale – e ci si accorge che ancora una volta si sperimenta quella specie di incongruenza tra il dentro e il fuori.
Tra il virtuale e il reale.
Un’incongruenza della quale s’intuisce la necessità, perché senza di lei – forse – la creatività smetterebbe d’esistere. •

Sara Beltrame

 

Björk Digital
dal 14 giugno al 24 settembre 2017
Barcellona – CCCB
Prenotazione e biglietti su Ticketea
bjorkdigital.cccb.org



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