da Rapporto Confidenziale numero23 (marzo 2010)
Henry Frankenstein: Look! It’s moving. It’s alive. It’s alive… It’s alive, it’s moving, it’s alive, it’s alive, it’s alive, it’s alive, IT’S ALIVE!
Victor Moritz: Henry – In the name of God!
Henry Frankenstein: Oh, in the name of God! Now I know what it feels like to be God!
Ci sono registi che operano come onesti artigiani, capaci di confezionare con cura un prodotto deciso altrove, e registi che, pur basandosi su sceneggiature altrui e accettando imposizioni produttive, riescono a mettere nei loro film un tocco di autorialità tanto da elevarli dal rango di semplici opere di consumo. È stato il caso di Tod Browning (o di Karl Freund) con il suo Dracula e ancora più marcatamente di James Whale con Frankenstein e l’ancor più riuscito seguito The Bride of Frankenstein.
Frankenstein non è uno tra i tanti horror dell’epoca, fatti per spaventare il pubblico e incassare grandi cifre. Anzi sì, lo è, ma non è solo questo, tanto che è capace di affascinare oggi esattamente come ottant’anni fa. Tratto da un adattamento teatrale del romanzo scritto da Mary Shelley nel 1818, il film di James Whale ha più di una ragione per essere considerato un’icona del genere horror: l’interpretazione sfaccettata di Boris Karloff della creatura e James Whale. Lungi dall’essere un regista di maniera, James Whale vedeva il cinema come arte e il suo film lo dimostra attraverso la cura di ogni dettaglio, tanto da fare impallidire i film girati anche anni dopo sulla base della stessa storia (vedi il film di Branagh del 1994 che, pur tecnicamente ineccepibile, non ha l’anima di questo).
La storia è nota a tutti: il Dottor Frankenstein è ossessionato dal desiderio di creare la vita umana. Allontanato dalla scuola in cui studiava a causa dei suoi esperimenti, si trasferisce in un castello bavarese dove continua a sperimentare usando corpi strappati alla terra per crearne un nuovo essere.
L’esperimento ha successo una notte, quando a prendere vita è il risultato dalle sembianze umane di una serie di corpi cuciti insieme. La gioia per la riuscita dell’esperimento dura poco: il tempo di notare il temperamento violento e animalesco della creatura, che ucciderà il suo assistente Fritz (non Ygor come in seguito), per decidere di sopprimerlo. La creatura però è scappata e vaga per la campagna circostante.
Nei primi tempi del cinema sonoro, Whale usa il suono per aumentare la tensione, per sottolineare gli eventi (e il responsabile del suono, Gilbert Kurland, ottiene una candidatura all’Oscar). Molte le scene chiave del film, con un utilizzo delle luci e delle ombre assolutamente inventivo per il cinema statunitense dell’epoca: quella in cui la creatura si anima sul tavolino operatorio del Dottor Frankenstein è certamente una tra le più famose nella storia del cinema e conserva a tutt’oggi una sua efficacia. Anche la sua prima apparizione è di grande effetto, anche perché il regista tiene nascosto fino a quel momento il suo aspetto alla cinepresa. Boris Karloff non viene citato nei titoli di testa (dove appare la dicitura :”Il mostro è interpretato da ?”) anche se il suo nome viene svelato in quelli di coda. L’attore, malgrado nel corso del film emetta solo grugniti e versi, riesce a dare una profondità al suo personaggio grazie anche alla mimica facciale, resa su sua richiesta libera da trucchi eccessivamente coercitivi (ad esclusione degli occhi, resi meno visibili da un appesantimento artificiale delle palpebre per volere del regista). La creatura di Karloff è densa di contraddizioni: capace di incutere paura ma anche paurosa, forte ma spaurita, soprattutto quando il suo creatore lo disconosce e lui si trova solo ad affrontare un mondo che non conosce. Un’interpretazione intensa, quella di Karloff, che è possibile rimarcare soprattutto nella scena in cui affoga la piccola Maria, cui ha dedicato sorrisi fino a poco prima. Una morte, quella della bambina, non frutto di crudeltà bensì di scarsa conoscenza delle caratteristiche umane. Questa scena, caduta sotto le forbici censorie dapprima solo in alcuni stati e quindi totalmente nella riedizione del film nel 1937, è stata reintegrata – anche se mancano alcuni primi piani – negli anni ’80.
Se l’interpretazione di Karloff è tutta sfumature, lo stesso non si può dire di Colin Clive e del suo Dottor Frankenstein, che possiede in sé l’enfasi teatrale tipica della recitazione cinematografica nella prima era del sonoro.
Se una comparazione tra i due migliori film, con Dracula, della serie dedicata ai mostri dalla Universal può apparire un esercizio ozioso, va comunque notato che Frankenstein è e rimane l’opera più solida, anche grazie all’opera da cui è tratta. I due personaggi verranno riuniti dalla Universal in House of Frankenstein (dove appare anche l’Uomo lupo) e quindi, l’anno seguente, in House of Dracula, entrambi diretti da Erle C. Kenton e entrambi prodotti dalla Universal.
James Whale si troverà quattro anni dopo il grande successo del film a dirigerne il seguito The Bride of Frankenstein (vedi di seguito articolo di Matteo Contin), considerato addirittura superiore a questo (e, personalmente, concordo). Nel frattempo, però, girerà un altro classico del cinema “mostruoso” della Universal: The Invisible Man .
Roberto Rippa
Frankenstein (1931)
Regia: James Whale; Soggetto: Mary Shelley (tratto dal romanzo omonimo); Sceneggiatura: Garrett Fort, Francis Edward Faragoh (basata sull’adattamento di John L. Balderston. E con il contributo – non citato nei crediti – di: Robert Florey e John Russell; Musiche: Bernhard Kaun (non accreditato); Fotografia: Arthur Edeson, Paul Ivano (non accreditato); Montaggio: Clarence Kolster; Interpreti principali: Colin Clive (Henry Frankenstein), Mae Clarke (Elizabeth), John Boles (Victor Moritz), Boris Karloff (il mostro), Edward Van Sloan (Dottor Waldman), Frederick Kerr (Barone Frankenstein), Dwight Frye (Fritz); Paese: USA; Durata: 70′

Un ritratto di Boris Karloff
Cronologia della creazione di due “mostri” e della nascita di due capolavori.
Il grande successo di Dracula di Tod Browning (vedi Rapporto confidenziale numero22, febbraio 2010) convince Carl Laemmle Jr. a proseguire sulla strada dell’horror.
Nel 1928, Hamilton Deane è impegnato con la pièce su Dracula in Inghilterra e, contemporaneamente, porta sui palchi una versione del Frankenstein scritto da Mary Wollstonecraft Godwin (1797 – 1851) – in seguito Mary Shelley, dal cognome del marito. Il romanzo della Shelley, scritto quando era appena diciottenne e pubblicato anonimamente nella sua prima edizione in Inghilterra, narra di Victor Frankenstein (che nei film verrà ridenominato Henry e si trasformerà in dottore) che riesce a creare un essere vivente dalle sembianze umane ma molto più grande e forte di un uomo comune.
Nel momento in cui la pièce ottiene enorme successo a Londra nel 1930, sia John L. Baderstone, produttore e attore teatrale inglese già responsabile dell’adattamento di Dracula per Broadway, e Lammle Jr. aspirano a portarla oltreoceano nella speranza di ripetere il successo ottenuto dall’opera di Bram Stoker.
Sarà quest’ultimo a comperare i diritti del romanzo per una versione cinematografica. Non sarà questa la prima volta che il personaggio inventato da Mary Shelley giunge sullo schermo: la prima versione risale al 1910, un cortometraggio diretto da Thomas Edison, la seconda al 1915, un film muto dal titolo Life Without a Soul. Quello della Universal sarà però il primo ad avere una voce.
Il francese trapiantato negli Stati Uniti Robert Florey è il primo regista ad essere scelto per la realizzazione del progetto. Vi mette mano eliminando tutti i riferimenti filosofici del romanzo e sceglie come protagonista Bela Lugosi, che però rifiuta non volendo reindossare i panni di un mostro dopo Dracula.
Nessuno dei due farà il film. Il motivo per cui il regista venga estromesso non è noto, si sa solo che Laemmle Jr. mette il progetto nelle mani di James Whale, reduce dal successo ottenuto dal film bellico Waterloo Bridge (La donna che non si deve amare, 1931). Florey si rifarà di lì a poco dirigendo Murders in the Rue Morgue (Il dottor Miracolo, 1932, adattamento di un racconto di Edgar Allan Poe) girato in parte sui set in disuso del film diretto da Whale.
Mentre la Universal vede nel ruolo del dottor Frankenstein Leslie Howard, Whale ha in mente Colin Clive, attore di talento che ha già diretto l’anno prima in Journey’s End, ma che è inviso alla produzione a causa dei suoi problemi con l’alcol. La spunterà lui.
La sceneggiatura viene adattata da Garrett Fort e Francis Edward Faragoh, che si basano sulla storia adattata nel 1927 per il teatro da Peggy Webling e John L. Baderstone (ma ci ha già messo mano anche Robert Florey quando ancora sembrava che sarebbe stato lui a dirigere il film).
Per il ruolo della creatura, Whale contatta un giovanissimo John Carradine, che però rifiuta. La sua attenzione si rivolge quindi a un attore inglese dal nome d’arte di Boris Karloff (vero nome: William Henry Pratt, 1887-1969), che al tempo di Frankenstein aveva già lavorato in un’ottantina di film. Due cose di lui colpiscono Whale e lo convincono a sceglierlo: la struttura ossea del volto e lo sguardo, che il regista trovava “sofferente”. Il trucco per la creatura viene studiato da Jack Pierce (ma James Whale se ne attribuirà in più di un’occasione la paternità), responsabile delle sembianze del Dracula di Bela Lugosi e di altri mostri della Universal a venire. Molto probabilmente, il risultato è frutto di lunghe discussioni tra i due. Il trucco usato per la creatura, con le palpebre appesantite artificialmente per fare apparire lo sguardo meno penetrante, influenzerà molti esperti di trucco fino ai giorni nostri, con Rick Baker che lo considera il trucco migliore nella storia del cinema arrivando a dichiarare che non sarebbe mai stato in grado di ottenere un risultato come quello che si vede sullo schermo, ancora di più considerando gli scarsissimi mezzi dell’epoca.
Il trucco di Karloff richiede dalle tre alle otto ore ogni giorno, altrettante per riportare l’attore al suo stato naturale alla fine di ogni giornata di lavoro. Per evitare che Karloff venga fotografato nei suoi spostamenti nello studio gli viene coperta la testa.
Il risultato dei trattamenti della storia prende più di una distanza dall’opera originale. La ricca produzione permette anche soluzioni scenografiche (come il laboratorio di Frankenstein), studiate dal regista con il direttore artistico Hermann Rosse e con Charles Hall, che verranno copiate molte volte negli anni. James Whale, inoltre, si ispira al cinema espressionista tedesco, responsabile di un cambiamento fondamentale nel cinema per l’uso di luci e ombre, quando il cinema americano intendeva la luce solo come un mezzo per rendere visibili oggetti e persone al pubblico.
L’audacia della storia provoca fughe di pubblico dalle anteprime e la Universal, per coprirsi le spalle, gira un prologo che mette in guardia gli spettatori più sensibili. Non solo: viene eliminata anche la battuta di Frankenstein “Ora so come ci si sente ad essere Dio” per evitare accuse di blasfemia che hanno già scatenato i cattolici integralisti di mezza America. Non è l’unica scena ad essere tagliata in molti stati: anche quella in cui la creatura butta una bambina in un lago scompare da molte delle copie (verrà rimontata, salvo alcuni primi piani andati nel frattempo persi, nel 1987). Non è sufficiente: essendo la censura applicata in maniera diversa nei vari stati, si giunse a situazioni paradossali come quella relativa al Kansas, dove il film subì ben 32 tagli che ne dimezzarono la durata rendendo la storia incomprensibile.
È facilmente immaginabile cosa accadrà, al momento della riedizione del film nel 1937, sotto il codice Hayes, a una storia il cui personaggio principale ha l’ambizione di sostituirsi a Dio nella creazione della vita.
Questi scandali però non fecero che del bene al film, che venne preso d’assalto alla sua uscita. Arrivando a superare rapidamente il grande successo di Dracula e diventando uno dei film più visti della stagione 1931-32, con tanto di pubblico in piedi nelle sale delle grandi città.
Boris Karloff – che diceva di amare il suo personaggio al punto di considerarlo alla stregua di un amico – riceve grandi plausi e viene paragonato al grande Lon Chaney, paragone che lui rifiuta per modestia.
Curiosamente, trattandosi di un personaggio creato per essere spaventoso, la creatura è sempre stata molto apprezzata dai bambini, che in lui sembravano vedere prevalentemente lo spaesamento e l’innocenza. Non è così per il pubblico adulto che, non avendo mai visto una figura tanto inquietante sullo schermo, ne rimane terrorizzato.
La figura di Frankenstein rimane ad oggi una tra le più note ed amate unitamente a quella del Dracula, meno facile ad ottenere la simpatia del pubblico rispetto al suo successore, cinematografico. Se oggi il film ha perso molto del suo potere di spaventare, il suo fascino è rimasto immutato.
Il genere varato dalla Universal è stabilito e le altre grandi case di produzione cercano di entrare nella sua scia: la MGM realizza Freaks di Tod Browning, la Paramount Dr. Jekyll and Mr. Hyde. diretto da Rouben Mamoulian.
L’espansione del genere aumenta però le feroci critiche nei suoi riguardi anche per l’accusa di rappresentare un cattivo esempio per i giovani. Molte case di produzione faranno un passo indietro, la Universal no.
Mentre Frankenstein è già consegnato alla storia del cinema, ma al tempo nessuno se ne rende conto, Carl Laemmle Jr. ha appena lasciato la direzione generale della Universal e, con l’ambizione di poter lavorare in modo più creativo, ha avviato una sua unità produttiva all’interno dello Studio. Il grande successo di Frankenstein lo porta a decidere che il seguito del film sarà la sua prima produzione autonoma.
Molte idee sul seguito vengono bocciate, molti registi si avvicendando al progetto (tra cui, di nuovo, Robert Florey) per venire regolarmente sostituiti. James Whale, nel frattempo, ha diretto alcuni grandi successi per la Universal: da The Old Dark House (Il castello maledetto, 1932) a The Invisible Man (L’uomo invisibile, 1933), diventando uno tra i registi di punta dello Studio a dispetto del fatto che i suoi tentativi di uscire dal genere horror attraverso la commedia By Candlelight (A lume di candela, 1933) e il dramma One More River (1934) avessero ottenuto un’accoglienza tiepida. In quel momento, Whale sta lavorando al progetto di A Trip To Mars, film fantastico tratto da un romanzo dell’autore inglese R.C. Sherriff e a dare un seguito a Frankenstein non pensa proprio. Sarà Laemmle Sr. a sfilargli il progetto tratto da Sherriff di mano per fare un favore al figlio, che lo voleva al lavoro sul seguito.
Whale mette al lavoro sulla sceneggiatura dapprima Sherriff e quindi Balderston. In questa fase, il progetto si intitola The Return of Frankenstein. Karloff e Clive vengono richiamati nei ruoli già sostenuti. Per il ruolo del Dottor Pretorius Whale pensa a Claude Rains e quindi a Bela Lugosi. Il ruolo verrà invece assegnato a Ernest Thesiger, già autore di un libro sul ricamo e uso a vestirsi da donna. Torna anche Dwight Frye (già Renfield nel Dracula di Browning), il cui personaggio di Fritz era morto nel primo film. Qui interpreta il ruolo di Karl.
Più difficile la scelta per il ruolo femminile. Dapprima si pensa all’attrice tedesca Brigitte Helm, già in Metropolis di Lang, ma la scelta cade infine sull’attrice inglese Elsa Lanchester che, oltre ad apparire come moglie di Frankenstein, interpreta nel prologo Mary Shelley. Grazie al successo di Frankenstein, il seguito viene girato con maggiori mezzi.
Anche The Bride of Frankenstein, questo il titolo definitivo, fronteggia le accuse di blasfemia e, dopo un’anteprima, viene tagliato di ben 15 minuti (le scene tagliate sono ormai considerate perse). Quando esce nel 1935, il film è un enorme successo e il responsabile del suono Gilbert Kurland ottiene una candidatura all’Oscar. Nel tempo il seguito è stato considerato superiore a Frankenstein: la rivista Time lo ha incluso nell’elenco dei 100 migliori film di tutti i tempi.
Quattro anni dopo, Frankenstein avrà un figlio in The Son of Frankenstein (Il figlio di Frankenstein, Rowland V. Lee, 1942. Boris Karloff è ancora la creatura, Bela Lugosi Ygor), cui seguirà The Ghost of Frankenstein (Il terrore di Frankenstein, Erle C. Kenton, 1942. Bela Lugosi torna nel ruolo di Ygor, Lon Chaney Jr. è la creatura), Frankenstein Meets the Wolf Man (Frankenstein contro l’uomo lupo, Roy William Neill, 1943. La sceneggiatura è di Curt Siodmak. Bela Lugosi è il mostro), House of Frankenstein (Al di là del mistero, Erle C. Kenton, 1944. La storia è ancora di Curt Siodmak. Boris Karloff è il Dottor Gustav Niemann, Lon Chaney Jr. appare nel ruolo di Lawrence Talbot, John Carradine è Dracula), House of Dracula (La casa degli orrori, Erle C. Kenton, 1945. Lon Chaney Jr. appare nel ruolo di Lawrence Stewart Talbot/The Wolf Man, John Carradine in quello di Dracula, Glenn Strange è il mostro) e quindi l’affettuosa parodia Bud Abbott Lou Costello Meet Frankenstein (Il cervello di Frankenstein, Charles Barton, 1948. Lon Chaney Jr. torna nel ruolo di Larry Talbot/The Wolf Man, Bela Lugosi in quello di Dracula, Glenn Strange in quello del mostro).
Boris Karloff indosserà i panni del Barone Victor Frankenstein in Frankenstein – 1970 di Howard W. Koch.
Come era già accaduto con Dracula, anche per Frankenstein la casa di produzione inglese Hammer inizierà una propria serie composta da The Curse of Frankenstein (La maschera di Frankenstein, 1957, Terence Fisher. Con Peter Cushing e Christopher Lee nei ruoli, rispettivamente, di Frankenstein e della creatura), The Revenge of Frankenstein (La vendetta di Frankenstein, 1958, Terence Fisher, con Peter Cushing, sempre presente nella serie ad accezione di The Horror of Frankenstein, e Michael Gwynn nel ruolo della creatura), The Evil of Frankenstein (La rivolta di Frankenstein, 1964, Freddie Francis), Frankenstein Created Woman (La maledizione di Frankenstein, 1967, Terence Fisher), Frankenstein Must Be Destroyed! (Distruggete Frankenstein! 1969, Terence Fisher), The Horror of Frankenstein (Gli orrori di Frankenstein, 1970, Jimmy Sangster. L’unico film della serie a non avere Peter Cushing protagonista, ruolo qui interpretato da Ralph Bates), Frankenstein and the Monster from Hell (Frankenstein e il mostro dell’inferno, 1974, Terence Fisher, che vede il ritorno di Peter Cushing).
Tra le versioni maggiormente degne di nota dell’opera di Shelley, Frankenstein (1994) di Kenneth Branagh (con Robert De Niro nei panni della creatura e il regista in quelli di Victor Frankenstein) e la parodia Young Frankenstein (Frankenstein Junior, 1974, universalmente considerato il capolavoro di Mel Brooks) con Gene Wilder nel ruolo di Frankenstein, Peter Boyle in quello del mostro, Marty Feldman come Igor, e Cloris Leachman nel ruolo inventato di Frau Blücher.
RR
Fonti:
• The Frankenstein Files, scritto e diretto da David J. Skal, Universal Home Video, 1999
• Universal Studios Monsters: A Legacy of Horror, Michael Mallory e Stephen Sommers. Universe, 8 settembre 2009
• Monsters: A Celebration of the Classics from Universal Studios, Roy Milano, Jennifer Osborne, Forrest J. Ackerman. Del Rey, 26 settembre 2006.
• Jack Pierce: The Man Behind The Monsters, Scott Essman. CreateSpace, giugno 2000.
• James Whale: A New World of Gods and Monsters, James Curtis. University of Minnesota Press, ottobre 2003).
• Recensioni di Roger Ebert (Chicago Sun-Times), James Berardinelli (www.reelviews.net) e Mark Zimmer (www.digitallyobsessed.com)
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