Double Take > Johan Grimonprez

Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale, numero30 (dic/gen 2011), pagg. 34-35

Double Take, l’autre c’est moi
Johan Grimonprez | Belgio, Germania, Olanda – digital beta – b/n e colore – 88’
di Emeric Sallon [traduzione di RR e AG]

Hitchcock incontra il suo doppio, un doppio più vecchio di lui di vent’anni. Da questo confronto si profila un’unica via di uscita: la morte di uno dei due. Nixon affronta Breznev nella corsa per il dominio nella Guerra fredda. Johan Grimonprez rende possibile il legame tra queste due storie attraverso un montaggio incredibile: ed è così che “Double Take” è nato. Conviene precisare sin dall’inizio che questo lungometraggio non si rivolge a uno spettatore amante del racconto coerente, delle storie unidimensionali. Se “Inception” o “Uncle Boonmee” dovessero esservi parsi complicati da comprendere, allora è meglio che cambiate strada, perché “Double Take” racconta sì delle storie, ma ne decostruisce i codici narrativi abituali. In alcuni casi, fino al limite del fastidio.

Proveniente dall’antropologia e, sin dalle prime opere, costruttore di una riflessione sull’immagine e sulla mediatizzazione che suscita nel nostro mondo, Johan Grimonprez è molto sensibile alla ricerca estetica. Egli realizza un film in bianco e nero, che mescola immagini d’archivio, spezzoni di film e qualche immagine originale (soprattutto quando filma il doppio di Hitchcock). Visivamente, tanto quanto narrativamente, “Double Take” è un labirinto sbalorditivo in cui ogni immagine diventa un punto di fuga entro il quale il film può inoltrarsi. Gli effetti sonori sono da par loro molto elaborati per contribuire alla restituzione di un malessere, un’ansietà legata al periodo affrontato. “Double Take” avrebbe potuto essere un film curioso ma limitato, non fosse stato altro che un oggetto visivo, ma Johan Grimoprez distilla dalla sua opera cinematografica una doppia riflessione sul nostro rapporto con la finzione e con la paura. Sarebbe un peccato ridurre il parallelo che risulta da “Double Take” (a ogni fase della Guerra fredda corrisponde l’uscita di un film di Hitchcock) alla semplice idea che i suoi film seguissero la Guerra fredda, che fossero una mera metafora del mondo. Egli disegna questo paragone ponendo la propria attenzione agli istanti in cui la realtà supera la finzione, indagando la relazione che lega lo spettatore con la finzione stessa. L’orrore e la paura, specificatamente il terrore, che procurarono i film di Hitchcock non eguaglierà mai l’angoscia reale, e fantasmatica, della Guerra fredda. Vedere “The Birds” pensando che gli uccelli rappresentino il riflesso della paura del conflitto nucleare, di un male che si insinua in ogni recesso, potrà offrire un altro significato al film, ma questo non sarà altro che un’aggiunta scolastica all’analisi del film, che nulla toglierà o aggiungerà alla grandezza del film stesso.
In quale momento Hitchcock cessa di essere un semplice regista per diventare un personaggio dei suoi propri fantasmi? In quale momento lo spettatore diventa egualmente partecipante attivo nella creazione di un’opera?

Il thriller metafisico che è “Double Take” mette dunque in scena, come vittima e colpevole, lo stesso uomo, creatore di un mondo di paura. L’uomo e il suo doppio si affrontano e l’immagine di Hitchcock, che diviene immagine del cinema in generale, non è che l’immagine stessa dell’uomo capace di inventare il suo proprio mondo. Le sequenze, prese singolarmente, altro non sono che installazioni (vi si trovano alcune riprese utilizzate in “Looking for Alfred”, opera diretta da Grimonprez nel 2005) ma, messe insieme, costituiscono una visione vertiginosa della nostra capacità di osservare il nostro tempo, di mescolare le (nostre) finzioni con la concretezza del mondo. “Double Take” apre su questa quarta dimensione in cui una figura può essere qui e laggiù nello stesso momento, senza che questo possa sorprendere. Le figure, del resto, non sono altro che esseri umani. Il caffè bollente nella piccola tazza di porcellana è un buco spalancato in cui annegano tanto lo sguardo quanto i personaggi; il cappello diventa una maschera da mimo, il sigaro si carica di significati diversi, le piume e gli uccelli evocano tanto la paura quanto il desiderio di evasione, le foglie secche che si muovono per il corridoio sono tracce di vestigia passate ed al contempo un annuncio funebre. Le immagini non sono innocenti in “Double Take”. La sequenza con il doppio, visivamente un po’ grossolane, costruiscono un discorso entro il quale l’uomo interpreta a volte Hitchcock, a volte il suo doppio, a volte il suo stesso ruolo. Io sono un altro, attraverso la mediatizzazione dell’immagine, nella misura in cui, come per l’Hitchcock del film di Grimonprez che si confronta con un altro sé più anziano, percepisco contemporaneamente le differenti identità dal mio mondo personale e di quello condiviso.

“Double Take” è un’opera fuorviante e complessa, al confine con lo sperimentale. Restando agganciato alla sua visione cinematografica attraverso il fluire del discorso tra Hitchcock, la Storia e la bomba H, Johan Grimonprez firma un’avventura sorprendente che fa appello tanto all’intelletto quanto ai sensi e presuppone una sola cosa: che non ci si perda per strada.

Emeric Sallon

Double Take
regia, sceneggiatura: Johan Grimonprez; soggetto: Tom McCarthy; fotografia: Martin Testar; montaggio: Dieter Diependaele; musiche: Christian Halten; con la partecipazione di: Ron Burrage (doppio di Hitchcock), Mark Perry (voce di Hitchcock), Delfine Bafort (cameriera); produttore: Emmy Oost; produttore esecutivo: Doris Hepp; case di produzione: Zap-O-Matik, Nikovantastic Film, Volya Films; lingua: inglese; paese: Belgio, Germania, Olanda; anno: 2009; durata: 80’

Johan Grimonprez (Roeselare, Belgio 1962). Ha studiato presso la School of Visual Arts e frequenta, a New York, il Whitney Museum Independent Study Program. Ha raggiunto fama internazionale con il suo film-saggio “Dial H-I-S-T-O-R-Y”. Presentato in anteprima al Centre Pompidou ed al Documenta X a Kassel nel 1997, ha anticipato gli eventi dell’11 settembre, raccontando la storia dei dirottamenti aerei a partire dal 1970 e di come questi hanno cambiato il corso del giornalismo. Il film è una commistione fra diversi linguaggi, utilizzando immagini televisive, film hollywoodiani, film d’animazione e spot pubblicitari. Il risultato è un mix fra realtà e finzione, che ci restituisce la “Storia” come una dimensione composta da molte prospettive suscettibile di manipolazione. Nel 2005 realizza “Looking for Alfred”, giocando con il ruolo del doppio attraverso simulazioni e inversioni di senso. Il punto di partenza sono le leggendarie apparizioni di Hitchcock nei suoi film, sovrapposte fra loro e generanti innumerevoli doppelganger che rimandano all’universo bizzarro del surrealista Magritte. “Looking for Alfred” ha vinto l’International Media Award (ZKM, Germania) e, nel 2006, l’European Media Award. Johan Grimonprez è attualmente docente presso la School of Visual Arts (NY), vive e lavora fra Bruxelles e New York.

 

 



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