Kazuo Nakamura

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Kazuo Nakamura
Il “Michelangelo” dell’animazione giapponese

di Mario Verger

(La più grande vittoria di Jeeg Robot – © Toei Animation)

Premessa: in ricordo del grande Roberto Ferrari
Avete mai fatto attenzione alle prime puntate delle serie giapponesi, in particolar modo quando compare la mano di un animatore più bravo, che sembra dare più carattere ai personaggi e segue l’intero episodio o gran parte di esso, e a cui spesso, quindi, nel corso della serie vengono affidate le puntate più difficili?
Prendiamo la prima puntata di Jeeg Robot o di Golion della Toei Animation, o passando alla Nippon Sunrise, la prima puntata di Daitarn III, così realistico rispetto alle successive. Cos’hanno in comune? Kazuo Nakamura, un Maestro dell’Anime giapponese, che è anche uno dei maggiori character designer del Sol Levante, il quale ha spesso rielaborato i personaggi dei Manga di Nagai per le versioni Anime televisive, o le storie di Tomino per gli adattamenti animati. Lo troviamo anche ad aver realizzato, per l’occasione, entrambe le famose sigle, quella avvincente iniziale e quella in chiusura di Jeeg Robot d’Acciaio, oltre che la supervisione e gran parte delle puntate più importanti, compresa la prima. Nonostante l’importanza di questo indiscusso e straordinario capo animatore, in Italia egli è stato praticamente ignorato, se non riconosciuto e amato dai più appassionati ed esperti!
Voglio raccontare la circostanza di come riuscii, dopo anni, ad identificarlo, come voglio raccontare della straordinaria persona, oggi in Giappone alla Tatsunoko Production, che è riuscito ad indicarmelo.
Bisogna tener presente che due decenni addietro la situazione italiana era molto diversa da ora: non esisteva internet, non si viaggiava peraltro sui motori di ricerca internazionali, e quindi notizie erano praticamente inesistenti.
All’epoca, inoltre, non esistevano riviste o cataloghi da consultare. Bisogna anche dire che negli anni ’90 si era già fatto un grosso passo avanti sugli Anime giapponesi in Italia: quando uscirono, alla fine degli anni ’70, furono contrastati da genitori, educatori e perfino politici. Storica rimase l’interpellanza parlamentare dell’On. Silverio Corvisieri contro la violenza di Goldrake: in quel periodo giornalisti ed educatori con estrema superficialità propalavano che i cartoni giapponesi venivano realizzati al computer e per di più fatti male, liquidati come ‘robetta’ di quart’ordine, e spesso relegati come prodotti perfino scadenti e di “destra”….
Ma si sa, l’italiano, nonostante dica il contrario, è lento nel comprendere il diverso e la sua diversità. Ci volle un intero decennio per far si che i “giapponesi” si integrassero e venissero accettati oltre che dai ragazzi anche da chi non li conosceva appieno, cioè dagli adulti…
Il primo che ruppe questo circolo chiuso, soprattutto ripetuto a macchinetta da una certa élite perfino di “sinistra”, fu il giovane giornalista di “Paese Sera” Luca Raffaelli, che ne parlò molto bene in diverse occasioni, raccontando a più riprese dello straordinario incontro che egli ebbe in Giappone a metà degli anni ’80 col “Dio del Manga” Osamu Tezuka, tanto che nel decennio in avanti, a metà degli anni ’90, poco prima del successo televisivo del suo programma cult per bambini Go Cart, Raffaelli pubblicò il primo testo, Le anime disegnate (1), spiegando moltissimo della logica del cinema d’animazione giapponese messo addirittura a confronto con la scuola americana; un primo, indispensabile libro, rimasto veramente un classico della letteratura dell’animazione internazionale, oltre che un testo-base per il cultori del genere.
Il secondo, alle soglie del terzo millennio, Mazinga Nostalgia, è scritto, pare da un ammiratore del grande Luca visto che riprende degli spunti del precedente arricchendoli in mille e più modi, dal sociologo Marco Pellitteri, che ha recentemente pubblicato altri testi (3) sull’argomento. Ancora studente universitario egli portò come tesi di laurea Mazinga Nostalgia, la quale si avvalse della prefazione del suo relatore, il prof. Alberto Abruzzese. Un classico anch’esso con la pregiata presentazione del famoso sociologo, che prosegue, ampliando, lo studio antecedente. Molto quindi è finora stato detto partendo da Raffaelli e poi da Pellitteri: io stesso ho recentemente preso parte a un curioso e interessante libro (4) appartenente alla collana da quest’ultimo studioso diretta per la Tunué, I Lapilli.
Non loro, visto che hanno trattato con grande competenza l’argomento, ma personalmente ho quasi sempre notato in altri che ne hanno parlato la quasi totale mancata riconoscibilità per stili personali e la conseguente classificazione per generi.
Il grave errore è mettere insieme gli anime per “categorie”: sport, orfani, robot: come se nell’arte i pittori fossero riconoscibili non per “stili” ma per “generi”: ritratti, nature morte, paesaggi!
Questo parallelo già basterebbe allo studente a far capire quando si ragiona per “generalità” anziché per “individualità” a quali grossolani errori di valutazione si può giungere…
Troverete qui uno spaccato del tutto diverso, un modo di ‘leggere’ i disegnatori degli Anime non dai ‘nomi’ scritti bensì dalle loro ‘mani’, dai sentimenti espressi, dalle loro ‘anime disegnate’, come le ha giustamente definite Luca Raffaelli.
Torniamo a come identificai Nakamura, e allo straordinario animatore accennato.
Durante l’estate del ’90 mi passarono fra le mani delle fanzine, quali Yamato e Manga-zine, le quali negli anni a seguire si evolsero nelle riviste professionali. Non ricordo in quale delle due testate ma in una erano spesso pubblicati dei robot coi relativi piloti, realizzati a chiaroscuro da una mano a dir poco eccezionale! Vidi la firma: Roberto Ferrari. Strano – un italiano – pensai. Sarà il solito fanatico pieno di arie – pensai ancora.
Non so se nel frattempo lo conobbi di persona, ma senz’altro tre anni dopo all’anno integrativo del liceo artistico di Via Ripetta (io l’avevo già fatto prima) andai a prendere il mio amico Valerio e mi parlò, con la ragazza, di questo ragazzo bravissimo in classe sua che disegnava anche lui cartoni animati: proprio Roberto Ferrari, il quale, quel pomeriggio tardo, mi mostrò una cartellina piena dei suoi straordinari disegni. Mi raccontò inoltre di provenire dal III liceo artistico, a Casal De Merode, e ricordo che era di una gentilezza e di una semplicità veramente come poche.
Ma ecco l’aneddoto su Nakamura:
Nel ’94 mi trovavo fuori ad un negozio di fumetti e non so perché – ma non l’avessi mai fatto – mi fermai a parlare con un gruppetto di ragazzi che sembravano esser preparati sull’animazione giapponese.
Ad uno dissi che non bisognava guardare l’apparenza ma soffermarsi sulla sostanza: molti robot non erano disegnati dagli autori di cui portano il nome sui titoli della sigla; ad esempio, gli dissi, che il disegnatore che realizzò la prima puntata di Jeeg Robot era lo stesso che animò la prima puntata di Daitarn III. Il giovanotto in questione “riconobbe” subito l’autore, dicendolo con tono sicuro e forte: “Tomino”. A questo punto i conti non mi tornavano. Ma ciò che per me era più agghiacciante era che di questo sedicente esperto, confortato da tutti gli altri del gruppo che gli davano perfino ragione, notavo dalle espressioni confuse del viso che non riusciva neppure a “visualizzare” il ricordo della prima puntata di Jeeg! Da quel che “vedevo” capivo che questi “esperti” che sapevano “a memoria” nomi, pronunce giapponesi, storie, con una presunzione accecante, sapevano tutto il contorno ma mancava loro semplicemente la sostanza. Cosicché, tentando ancora di convincerlo delle mie buone motivazioni, lui, incalzato dagli altri, mi insisté col nome di Tomino, ancora più certo; fra l’altro notai le loro espressioni, tra ricordi sfumati di dilettanti e un orgoglio che non volevano abbandonare, vedendo con mio sconcerto che il loro volto assumeva una smorfia sgradevole, la quale era rivolta a me soltanto perché difforme dalle loro cieche e ottuse convinzioni! Inoltre volevano convincermi perfino alzando la voce, con tono secco, di autoconvinzione, e quasi stavo per convincermi: in fondo se sono molti ad intendersene, se ne intenderanno – ero arrivato a supporre. E, non raccogliendo la simpatia istintiva di quel gruppo, avvertii che era meglio andarmene altrimenti – credetemi – sulla base di “competenze” altrui c’erano le premesse affinché il tutto sfociasse in una litigata!
Ad un certo punto, prima di congedarmi, si aggiunse un altro ragazzo arrivato in ultimo o appena uscito dal negozio: era proprio Roberto Ferrari! Col quale mi compresi subito, ripetendogli i miei dubbi, tanto che egli riconobbe subito l’autore della prima puntata di Daitarn, molto diverso dalle altre puntate, il quale inoltre aveva firmato Jeeg Robot, compresa la prima puntata e molte altre serie; mi disse anche, e questo l’avevo al momento scordato – che era anche l’autore di Golion, che aprì la strada in America al robot Voltron. Esatto, si è proprio lui, lo riconosco: Kazuo Nakamura.
Aggiungendo anche che Voltron è quello su cui in seguito, visto il successo, hanno realizzato i Transformers, aprendo il mercato americano a quello giapponese.
Mi spiegò infatti che Tomino non c’entrava niente, essendo uno degli autori del Daitarn, ma non l’animatore in questione come supposto dall’altro ragazzo.
Mi disse di due animatori giapponesi che spesso lavorano in coppia, Yoshiyuki Tomino e Yoshikazu Yasuhiko: io lo chiamo ‘Yas’ – disse Ferrari con affetto.
Mi parlò poi molto di Yoshikazu Yasuhiko, che è quello che ha ideato Gundam; al che gli dissi che somigliava molto ai personaggi di Kum Kum. Esatto – disse ancora – è lui, che lo ideò qualche anno prima.
Ferrari, gentilissimo ed eccezionale come al solito, mi capì subito e non potrò scordare come si allargò la morsa di quel “circoletto” di esperti i quali ormai iniziavano a divagare, a cambiare convinzione, o ad avere espressioni nei miei riguardi sempre più astiose, ecc.
Ma a me non importava; continuai a parlare con la medesima passione con Roberto Ferrari, professionalmente parlando, e ci si capiva subito! Fra l’altro, cosa che a me fece molto piacere, mi disse d’aver seguito i miei cartoni animati in televisione, soprattutto, ricordo, mi parlò d’aver visto Forever Ambra, della quale gli piacque la mia versione in cartone animato programmata qualche tempo prima su Blob. Un grosso riconoscimento per me, soprattutto se espresso da un genio come lui! Ferrari è molto, molto più bravo di me, la sua bravura è qualcosa di veramente eccezionale, unica direi! E quel che è giusto è giusto riconoscere! Dire un esperto è poco: un genio!
Ferrari ed io non ci incontrammo per molto tempo, un tempo all’interno del quale ho realizzato i più disparati cartoon, la maggior parte dei quali, con molta fatica e senza raccomandazioni, proprio per la televisione italiana: la Rai TV.
Passò un decennio. Nel 2005, precisamente al Cinema Admiral a Piazza Verbano dove avveniva la presentazione di una ‘Serata Galà dell’Animazione’ promossa de I Castelli Animati, il Festival Internazionale del Cinema d’Animazione diretto da Luca Raffaelli: quella sera il cinema era a dir poco pieno, si vedevano all’entrata l’organizzatrice Emanuela Marrocco con accanto la traduttrice inglese Liz Fairs; Raffaelli era in sala e, nell’affollatissimo ingresso, in un punto, riconobbi proprio Roberto Ferrari accanto a Yoko Ippolitoni, una curiosa ma bella ragazzona italo-nipponica, figlia dell’animatrice giapponese ma naturalizzata italiana Yoshiko Watanabe, allieva di Tezuka.
Non vedevo Ferrari da un decennio: incredibile! Quasi mi spaventava: sempre più o meno uguale, un volto diafano, quasi orientale; delle mani, elastiche, lunghe e abilissime, e con una sensibilità eccezionale. Mi mostrò alcuni suoi disegni; sempre più eccezionali. In passato noi si era accennato a Luca Raffaelli, il quale, specie agli inizi, conosceva tutti i “giovani”. Venni a sapere in quell’occasione, chiedendogli se Raffaelli, in sala a presentare, avesse già visionato le tavole, che lo stimava molto sì, ma non lo conosceva di persona! Incredibile, un genio come lui della pratica non aveva ancora fatto conoscenza con un altro genio della teoria! E lo disse con la massima modestia!
Vedendo i suoi disegni mi accorsi che è ancora più bravo di quando l’avevo lasciato; egli ha un’umiltà incredibile, non si era fatto scrupolo, col rischio di sciuparli, di sfogliarmi i disegni contenuti nell’enorme cartellina che aveva con sé, con l’entusiasmo di un esordiente e l’umiltà che si riscontra solo nei grandi, grandissimi maestri! E che si presentava con un’enorme cartella alla serata indetta da Luca Raffaelli e dopo vent’anni di carriera internazionale ancora non lo conosceva personalmente! Spiazzante la sua semplicità. Non un finto umile, ma una persona di rara sincerità e di una bravura che veramente ha dell’incredibile!
Mi disse d’esser contento che sono rimasto io fra i pochi in Italia ad insistere col cartone animato tradizionale visto che hanno quasi tutti smesso; mi raccontò che lui, non essendoci sbocchi nel nostro paese, è da anni emigrato in Giappone, lavorando addirittura come animatore alla Tatsunoko, facendo avanti e dietro, anche se vive là, ed essendo da poco tornato per le feste natalizie. Ottimo. Ci salutammo scambiandoci i numeri di telefono, essendo però lui in Italia solo per le vacanze, spiegandomi che dall’anno nuovo al cellulare sarà nuovamente irraggiungibile. Lo sentii quindi dopo pochi giorni per fargli gli auguri di Natale. Mi comunicò il suo indirizzo email, al quale inviai una valanga di tavole dei miei cartoon, le quali commentò con una pazienza incredibile, una ad una, con una competenza nei giudizi poche volte. Mi raccontò inoltre dei ritmi di lavoro delle serie giapponesi; lì si guadagnava benino in Yen ma che erano ritmi per noi allucinanti, dalla mattina alla sera, anche se lui era abituato. E sempre parlando di alcuni vecchi film d’animazione giapponesi venni a scoprire finalmente due nomi che mi avevano appassionato sin dall’infanzia: Akira Daikubara e Gisaburo Sugii.
Prima di salutarci egli mi indicò un video che ha realizzato interamente da solo nientemeno in Giappone per la Tatsunoko!
E da allora non ci si è più sentiti; a casa non risponde nessuno e il cellulare è staccato.
Questo straordinario artista ha lavorato per la Tatsunoko Production, per la Namco e la Square Enix.
Poi visionai il video: la Tatsunoko l’ha nominato character designer nonché animatore principale ed è un tributo a Gatchaman, Kyashan, Tekkaman e Hurricane Polymar; dire che è fenomenale è poco. Basti dire che è portato in palmo di mano in Giappone. Roberto Ferrari. Un vero Dio.

Mario Verger

Kazuo Nakamura
Il “Michelangelo” dell’animazione giapponese

di Mario Verger

Dalla Toei Animation alla Mushi Production

Kazuo Nakamura nasce a Nagasaki (letteralmente “lunga penisola”), città giapponese capoluogo dell’omonima prefettura, situata sulla costa sud-occidentale dell’isola di Kyūshū.
Da notare che spesso negli Anime robotici compare la caratteristica isola proprio in onore alla cittadina natale del grande animatore giapponese.
La città, come si sa, viene scelta come secondo bersaglio sul quale gli Stati Uniti sganciano la bomba atomica Fat Man durante la Seconda Guerra Mondiale il 9 agosto 1945, e la famiglia è costretta a rifugiarsi a Tokyo.
Figlio di un commerciante col pallino della meccanica e dell’ingegneria del porto naturale dell’isola di Kyūshū, fin da bambino dimostra una spiccata propensione per il disegno.
Dopo aver terminato le scuole medie, il giovanissimo Kazuo Nakamura viene assunto alla Toei Animation, mentre stanno realizzando il lungometraggio Saiyuki (1960) [Tit. USA: Alakazam the Great; Tit. It.: Le tredici fatiche di Ercolino] diretto da Taiji Yabushita, Daisaku Shirakawa su creazione originale del grande Osamu Tezuka.
Essendo neanche ragazzo il suo nome ancora non figura come assistente alle macchine, visto che alla Camera risultano accreditati i soli nomi di Kanjiro Igusa e Shintaro Miyamoto; ma nel successivo lungometraggio Anju to Zushiōmaru [Tit. it.: Robin e i due moschettieri e mezzo] (1961), diretto dal maestro Taiji Yabushita e dal suo allievo Yugo Serikawa, sempre su soggetto di Osamu Tezuka, il nome di Kazuo Nakamura è accreditato come operatore cinematografico (Photography) assieme a quelli di Akira Tokyo e Seigo Otsuka.
Nel successivo lungometraggio del 1962, Arabian night Sindbad no boken [Tit. USA: Arabian Nights; Sinbad the Sailor; Tit.it.: Simbad il marinaio], per la direzione dell’animazione di Sanae Yamamoto e la sceneggiatura di Osamu Tezuka, Kazuo Nakamura compare come primo operatore alla Camera assieme a Sugiyama Kenji.

(Saiyuki – © Toei Animation)
(Anju to Zushiōmaru – © Toei Animation)
(Arabian night Sindbad no boken – © Toei Animation)

Da Astro Boy a Rocky Joe

Il sogno di Tezuka. Forte dell’esperienza e del successo come mangaka e reduce dall’apprezzata prova di regia data soprattutto col lungometraggio animato Saiyuki per la Toei Doga nel 1960, Osamu Tezuka decide di dedicarsi all’animazione in modo indipendente, tanto da assumere il giovane Kazuo Nakamura, che parteciperà alla maggior parte delle sue produzioni. È così che l’anno successivo nasce la Tezuka Osamu Productions Doga-bu, ribattezzata nel 1962 Mushi Production. La nascita del nuovo studio su iniziativa di un autore rispettato come Tezuka provoca una vera diaspora di animatori dalla Toei, e così intorno a questi si ritroveranno in breve nomi eccellenti quali Kazuko Nakamura, Gisaburo Sugii, Shigeyuki Haiashi, Eiichi Yamamoto, Eiji Tanaka, Osamu Dezaki, Akio Sugino, Shingo Araki, Yoshiyuki Tomino, Yoshikazu Yasuhiko, e molti altri.

(Tetsuwan Atom – © Mushi Production)

Nel 1963 viene realizzata la prima serie televisiva animata giapponese con episodi da 30 minuti, Tetsuwan Atom (noto come Astro Boy all’estero), tratta dall’omonimo manga di Tezuka, venerato in Giappone come il “Dio dei Manga”, serie con cui si gettano le basi dell’industria dell’Anime. Tetsuwan Atom si rivelerà un clamoroso successo (193 episodi trasmessi dal 1963 al 1966), fino a vendere i diritti alla rete televisiva statunitense NBC, tanto che il celebre Osamu Tezuka ricevette i complimenti da Walt Disney in persona. Dopo W 3 – Wonder three, seconda serie animata a vedere la luce negli studi Mushi, nel 1965, segue a ruota un nuovo rivoluzionario progetto: la prima serie a colori, Jungle Taitei (Kimba il leone bianco), tratta anch’essa da un suo vecchio manga, i cui migliori episodi vengono rimontati nel lungometraggio Leo, il re della giungla, che valse a Osamu Tezuka il Leone di S. Marco alla XIX Mostra del Cinema per Ragazzi di Venezia.
Altre due serie vengono prodotte nel 1967, la rielaborazione in chiave scherzosa del Sayuki, The Monkey [Goku no daiboken] e La Principessa Sapphire [Ribbon no kishi].
Grande è stata la partecipazione di Nakamura in Rocky Joe [Ashita no Jō] (1970), della Mushi, per la regia di Osamu Dezaki, col character design di Shingo Araki per la prima serie e Akio Sugino per la seconda.
Dezaki, un maestro dell’Anime formatosi alla Mushi fonderà, col fratello maggiore Tetsu e Gisaburo Sugii, lo studio Art Fresh.
Dopo affidata dalla Mushi la regia generale di Ashita no Jō, che divenne subito un cult, ma che nonostante il successo di pubblico viene interrotta anticipatamente, Dezaki è tra i fondatori dello studio di animazione Madhouse nel 1972, passando da un progetto all’altro sino a diventare uno dei più importanti registi per la Tokyo Movie Shinsha, realizzando Anime di successo e innovativi quali, Jenny la tennista [Ace o nerae!] (1973), Remì e le sue avventure [Rittai anime ie naki ko] (1977), Lady Oscar [Versailles no bara] (1979), e molti altri.

(Rocky Joe – © Mushi Production)

Dezaki è riuscito ad imprimere un segno caratteristico a tutta la sua opera, sia per lo stile, caratterizzato da inquadrature trasversali e spesso “oblique”, dal segno forte e caratteristico. A lui si deve l’introduzione negli Anime di soluzioni registiche innovative come lo split screen e l’uso di fermi immagine su disegni particolarmente curati, da lui stesso definiti “cartoline ricordo”. E’ da notare come spesso i personaggi sono fermi a pensare, magari, vicino a delle finestre, e da un lato del fotogramma, in sovrimpressione, con la tecnica dei filtri a cross-screen, vengono modulati i raggi in entrata, fitti e pieni di luce; come anche scene nelle quali è adombrata parte della scena; Dezaki ha dato anche ampio rilievo ai vari piani sequenza scenografici, specie in Remì con particolari giochi prospettici che creano un’atmosfera suggestiva, drammatica e altamente spettacolare; Shingo Araki, a cui si deve il character design della prima serie, è un animatore straordinario; molti ricorderanno alcuni episodi finali di Goldrake, o molte puntate specie la prima di Danguard, o I Cavalieri dello Zodiaco, come la stessa Lady Oscar: dal segno forte, come Nakamura, ma con figure più slanciate e romantiche, ha fondato lo Studio Jaguar nel 1966 e, insieme a Michi Himeno, la Araki Production nel 1975.
L’altro Character designer è Akio Sugino. Più vicino allo stile di Dezaki, è stato più volte suo collaboratore: il suo stile è caratterizzato dall’eleganza del design, da un disegno ben architettato e da un segno maturo.
La grande espressività degli occhi, e la bellezza dei suoi personaggi femminili è piuttosto rinomata, collaborando a più riprese con Dezaki fino a diventare uno dei suoi collaboratori più stretti e fidati.
Entrambe le serie di Rocky Joe vantano un’ottima realizzazione tecnica: mentre la prima propone un design più fedele al fumetto originale, che risente maggiormente, soprattutto nei volti, della scuola di Osamu Tezuka dell’animazione ridotta a stop animation, nella seconda i personaggi sembrano generalmente più adulti e presentano corpi più slanciati. La prima serie inoltre presenta un tratto più marcato e “sporco” che in alcuni episodi raggiunge quasi l’effetto della tecnica a carboncino. Nella seconda, per converso, la regia di Dezaki è giunta alla sua maturità e vi si riscontrano i suoi stilemi più frequenti, dai giochi di luce alle inquadrature storte ed angolate dal basso.
Nakamura prende parte ad alcuni fra i migliori episodi, come anche a lui dobbiamo molte delle battaglie sul ring, portando la serie ad un livello di maturità sempre più elevata man mano che la storia si svolge soprattutto verso le ultime puntate; molti effetti, dietro la sapiente regia di Dezaki, sono opera ed ideazione di Nakamura: quando Joe viene messo a tappeto con gli occhi accennati che si muovono appena, i muscoli delle guance che si snodano per i ganci, certi effetti animati in negativo ed in dissolvenza il rientro in scena in positivo, l’alone dei guantoni di pugilato, ossia effetti animati ad aerografo amalgamati al segno a Xerox, spesso a lapis, spesso perfino a carbone, come ancora le tracce del disegno perfino a pennello ben nutrito d’inchiostro prima della riproduzione su cells; tecniche e stili che producono tensione e suspense, i quali portano una sola e straordinaria firma: Kazuo Nakamura.
Dopo il fallimento nel 1972 della Mushi Production, Nakamura viene assunto alla Daiichi Douga, che produsse la serie Fantaman [Ogon Bat] (1967), presso cui aveva già preso parte alle serie Bem, il mostro umano [Yokai Ningen Bem] (1968), dal sapore lovecraftiano e, successivamente, qualche anno prima di fondare la Nakamura Pro. Kazuo lavora alla Oh! Production, uno studio indipendente dove, grazie ad uno dei fondatori, l’animatore Kazuo Komatsubara che ottiene proprio dalla Toei Animation l’appalto per la serie TV Devilman, che lo lancerà anche come character designer di Ufo Robot Grendizer, Nakamura ha modo da fargli da assistente fino a diventare Key Animator, realizzando diverse puntate di Ryu, il ragazzo delle caverne [Genshi Shounen Ryuu] (1971), dove ha prestato la sua maestria, sicuramente nel penultimo, il 21° episodio [Bianchi alla riscossa].

(Ryu, il ragazzo delle caverne, 21° episodio “Bianchi alla riscossa” – © Toei Animation)

Kazuo Nakamura lo troviamo nuovamente col suo inconfondibile tratto, ancora un po’ semplice e arcaico, nella serie Toei firmata, come character designer, dall’altro elemento di punta della Mushi, Shingo Araki; serie tratta dal manga creato da Mitsuteru Yokoyama, dal titolo “Babil Junior” [“Babiru Ni-Sei”] (1972).
Nakaura, come di consueto, dà molta importanza alla caratterizzazione del protagonisti: il discendente di Babil, Koichi; del malvagio Yomi, che preannuncia il futuro ministro Ikima di Jeeg; dello pterodattilo Ropuros vista l’esperienza in Ryu; e del robot Poseidon; animando per la Toei Animation diversi fra i più significativi e più riusciti episodi.

(Babil Junior – © Toei Animation)

Nel distaccamento della Toei Animation lavorerà per diversi anni alternandosi con la Nippon Sunrise finchè nel 1974 fonderà con suo fratello Akira (Saijou Akira) la Nakamura Production, dove nel corso di un decennio animerà le più straordinarie serie robot, quali, Devilman, Mazinger Z, Great Mazinger, Getter Robot, Magune Robo Ga-kin, Kotetsu Jeeg, Daiku Maryu Gaiking, Muteki Choujin Zanbotto 3, Muteki kōjin Daitān, Mobile Suit Gundam, Mirai Robo Darutaniasu, Uchuu Taitei God Sigma, Hyakujuou Goraion, etc.
Nakamura viene riconosciuto come uno dei più importanti Production Designer, lavorando per i principali studi di animazione del Sol Levante.

Alla Dynamic Productions coi robot Nagai

Kazuo Nakamura aveva da poco partecipato alle animazioni di Ryu, il ragazzo delle caverne, la serie Anime della Toei Animation che vedeva Kazuo Komatsubara in veste di character designer per la trasposizione animata del manga dell’allievo di Tezuka Shotaro Ishinomori, e per la serie di Shingo Araki Babil Junior, quando viene nuovamente chiamato per la prima serie di Go Nagai, Devilman [Debiruman] (1972), la quale riscuote in Giappone un enorme successo, al cui animatore viene affidata la direzione dell’animazione di diverse fra le più riuscite puntate.
Nakamura ed altri dei migliori professionisti che lavorarono agli Ufo Robot già facevano parte della Dynamic Productions, un’azienda giapponese produttrice di Anime spesso in collaborazione con la Toei Doga, di cui il mangaka Go Nagai fondò la Dynamic Planning Co. nella quale verranno realizzate tutte le serie Anime ispirate alle sue opere.
Chi è attento, potrà notare anche la mano di Nakamura in Mazinga Z [Majingā Z] (1972), il primo dei robot giapponesi di Go Nagai, più semplice e lineare dei successivi nello stile, caratterizzato dal segno a Xerox quasi con effetto di lucidatura “a pennello”; di questa serie, con annesse numerazioni di cui quella italiana varia da quella originale, gli episodi animati da Nakamura sono i seguenti:
03 – Operazione distruzione Mazinga [Jap: 03 – Mazinger Z shoometsu sakusen]; 07 – Deimos F-3, robot scomponibile [Jap: 09 – Deimos F3 wa akuma no otoshigo]; 14 – L’ultimatum di Ashura [Jap: Chitei kikaijuu Holzon V3]; 25 – Una vittoria in extremis [Jap: 29 – Daigyakuten Mazin Power!!]; 31 – Gli specchi abbaglianti di Desma A-1 [Jap: 35 – Shinigami kikaijuu Desma no mooshuu]; 36 – La vendetta del conte Blocken [Jap: 41 – Oreta tsubasa oozora no shitoo]; 48 – La doppia trasformazione di Fayzer V-1 [Jap: 53 – Nidan henshin!! Mekuramashi kikaijuu]; Episodio Inedito – [Jap: 58 – Zensen kichi jigokujoo!!].
Koji Kabuto è molto riconoscibile nella firma di Nakamura; il segno sembra meno grafico, più nutrito d’inchiostro, quasi a pennello; le bocche sono ben diverse dalla sua consueta maniera d’animarle; e anche i personaggi sono più semplici dei successivi, sia nelle inquadrature sia nel realismo (ricordano ancora le ultime produzioni Tezuka del decennio addietro); come la difficile uscita del robot dalla base, fra chiaroscuro intrecciato e colpi di grafite che fanno bella mostra sul robot che emerge dall’Istituto per la ricerca dell’energia fotoatomica. per la ricerca dell’energia fotoatomica.

(Mazinga Z contro Devilman – © Toei Animation)

Le animazioni di Nakamura si rivelano un successo, tanto che la Toei in collaborazione con Dynamic Planning gli affida numerose sequenze del mediometraggio Mazinga Z contro Devilman [Mazinger Z tai Devilman] (1973) per la regia di Tomoharu Katsumata, affiancando il Character designer Kazuo Komatsubara nelle animazioni principali; Special cinematografico che uscì nei cinema italiani nel dicembre ’78 montato nel film Mazinga contro gli Ufo Robot, assieme ad altri mediometraggi animati, ancor prima della programmazione italiana di Mazinga e Getter Robot.

(Mazinga contro gli Ufo Robot – © Toei Animation)

Come di sua realizzazione sono diverse puntate suddivise nella versione italiana di Space Robot e Jet Robot della serie [Getter Robot] (1974), nelle quali il segno di Nakamura è decisamente più maturo rispetto all’antecedente Mazinga Z.
Gli episodi di Space Robot animati da Nakamura sono:
09 – Il glorioso capitano Rador [Jap: Eikoo no Captain Radora]; 11 – Combattimento mortale [Jap: Gekitotsu! Drill tai Drill]; 15 – Ballata per Yuhko [Jap: Yuuko ni sasageru Ballad]; 22 – La tragedia di Getta Q [Jap: Higeki no Getter Q]; 29 – Diluvio infernale [Jap: Koozui jigoku no shitoo]; 35 – Il debole amore di Musashi [Jap: Musashi! Otoko wa tsurai]; Episodio Inedito [Jap: Sugatanaki kyooryuu kuubakutai]. Gli episodi di Getta Robot invece sono: 07 – La ricerca dell’aereo misterioso [Jap: Tsuiseki! Kuroi jettoki]; 10 – Attacco all’Isola dei Demoni [Jap: Akuma no shima o koogeki seyo]; 13 – Il laboratorio sospeso ad un filo [Jap: Koomori bakudan! Kiki ippatsu]; 17 – Episodio Inedito [Jap: Koro yo Ashita ni hoero!].
Come ancora il segno e lo stile diventa più affinato nel successivo Il Grande Mazinger [Gureto Majinga] (1974), dove Tetsuya Tsuruji è rappresentato col tipico stile di Nakamura; decisive variazioni vengono ad esso apportate: segno grintoso, naso a punta (contrariamente a quello del protagonista che, stranamente, è lievemente “gibboso”); capelli con basette a tre punte quando solitamente è con la basetta cadente e “rettangolare”, per intenderci; come anche il grande Mazinga, molto più grafico ed elaborato, dal chiaroscuro intrecciato, per il quale Nakamura escogita, oltre i colpi d’aerografo, anche l’uso di veri e propri retini trasferibili, perfino grattati e modificati dopo la stampa Xerox. Come anche l’uscita dalla Fortezza delle Scienze ed altre spettacolari scene, comprese le esplosioni, gli vengono ripetutamente affidate, spesso riciclate in molti episodi come perfino in altre successive serie.
Nel grande Mazinga gli episodi animati da Nakamura sono i seguenti: 11 – Shiro impara la lezione [Jap: mezamero shiroo!! ai naki tatakai no ketsumatsu!!]; 19 – Giovane sangue sulla neve [Jap: Yuki yo wakai chishio o somenuke!!]; 26 – Il segreto del dottor Kabuto [Jap: Maboroshi no chichi!! kabuto hakase no himitsu!!]; 32 – Il mistero della mente di Mazinger [Jap: Tetsuya yo toke!! shin no nazo o?!!]; 37 – Assassino alle tre del mattino [Jap:
Gozen san ji kabuto hakase o ansatsu seyo!!]; 43 – La fortezza delle scienze [Jap: Matta nashi!! kagaku yoosai kenkyūjo!!]; 48 – Operazione attacco speciale [Jap: Tokkoo sakusen!! sayaka shutsugen!!]; 53 – Tetsuya e Koji all’attacco [Jap: Idai na yūsha!! faito tetsuya. dasshu kabuto ji!!].

(Il Grande Mazinger – © Toei Animation)

Nell’episodio 19, Yuki yo wakai chishio o somenuke!!, Nakamura dà ottima prova delle sue eccezionali capacità di sceneggiatore oltre che di direttore dell’animazione; la puntata è incentrata su Jun, e i cui annessi ricordi della ragazza, orfana, di quand’era piccola, i quali scolpirono la sua psiche essendo “diversa” poiché scansata per via del colore della pelle: una puntata eccezionale, sia per il significato psicologico, sia per i ricordi che danno un tono quasi misterioso evidenziando i segreti evinti nella puntata dedicata alla protagonista femminile della serie; un episodio non stereotipo, denso di pathos, anche molto curato dal punto di vista del disegno e dell’animazione.
Come nel 53°, Idai na yūsha!! faito tetsuya. dasshu kabuto ji!!, lo stile di molti episodi di Mazinga Z di Nakamura viene rielaborato in modo più complesso in una delle ultime puntate della successiva serie. Come anche l’uscita di Mazinga e Venus, la quale emerge dalle vedute prospettiche delle cascate (si vedano le similitudini con l’episodio di Jeeg che esamineremo tra breve) ed altre fra le più spettacolari scene che gli vengono affidate: ormai Nakamura è un Maestro assoluto dell’Anime giapponese.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Jeeg Robot d’Acciaio: il trionfo Toei

Kazuo Nakamura non parteciperà al coevo Atlas UFO Robot Goldrake [UFO Robot Grendizer], dal momento che Go Nagai lo sceglie come Character design per la trasposizione animata del suo ultimo manga di successo, con la susseguente impegnativa lavorazione di Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio [Kōtetsu Jeeg] proprio in quel periodo, entrambi prodotti dalla Dynamic Planning della Toei Doga.
Nakamura seguirà con particolare impegno la serie Toei affidatagli, sia nella ricerca del design sia della sceneggiatura, come nell’animazione; seguendo, anche come regista, le puntate più difficili o importanti, fra le quali la prima; realizzando appositamente le famose sigle d’apertura e chiusura; animando le scene con Hiroshi, il quale, unendo i pugni saltando in aria, da umanoide si trasforma nella testa di Jeeg Robot d’Acciaio, sia nella prima che nella seconda versione; come anche il famoso aggancio della testa di Jeeg ai componenti magnetici; l’uscita del Big Shooter dalla base spaziale; come ancora Nakamura realizza personalmente parte delle battaglie dove vi sono particolari scene di recupero fra le quali le esplosioni.
La regia principale è di Kazuo Nakamura, mentre degli altri episodi di Yoshio Nitta, Kazuya Miyazaki, Masayuki Akehi, Yugo Serikawa, Tomoharu Katsumata; mentre la direzione dell’animazione è di Masamune Ochiai, Yoshinori Kanemori, Sadayoshi Tominaga, Takeshi Shirato, Eiji Uemura, Yoshinobu Aohachi (alcuni registi e animatori presenti in entrambe le serie).
Da notare inoltre che Serikawa fece la regia ad alcuni fra i migliori episodi di Jeeg, quando è da ricordare che il giovanissimo Nakamura faceva l’operatore nel ’62 a Anju to Zushiōmaru, per la coregia proprio di Yugo Serikawa.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Le Inquadrature

Spesso i personaggi compaiono di tre quarti, o dal lato sinistro o destro dell’inquadratura scena, o ancor più spesso si vedono sbucare dal basso verso l’alto, o da inquadrature soggettive, o a piani americani.
Prospettive aberrate, ma sempre ben calibrate nelle linee, matematiche diremo, accidentali, ecc, sono esse le caratteristiche principali delle sue impostazioni nelle inquadrature cinematografiche di partenza.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Lo Stile

Il segno è corposo, robusto, quasi un po’ da fumetto, con tratti forti e vigorosi rinforzati da tratteggi, spesso incrociati talvolta col chiaroscuro quasi abbozzato.
I tratteggi, spesso incrociati, sono grafici; si noti ad esempio la scena iniziale nella quale risorge dopo millenni la Regina Himika, anche con un effetto di variazione da fase a fase, modificata in dissolvenza incrociata con ampie prospettive, dal primo piano fino ad arrivare a vedere la testa molto più piccola, da basso verso l’alto, in un’unica scena animata. I personaggi invece realizzati a mezzo busto, spesso sono robusti, coi muscoli delle spalle e braccia evidenziati a fitti tratti chiaroscurali, mentre la testa presenta una leggera sproporzione per dargli un tono più realistico e di maggior soggezione. Come anche, quando sono interi, per dare maggiori suggestioni prospettiche, Nakamura realizza la testa molto piccola sormontata da un corpo robusto e spesso imponente.
Un’altra caratteristica è, quando si vedono gambe e piedi correre frontalmente, che la suola in primo piano diventa enorme mentre la gamba protratta all’indietro appare piccolissima.
Spesso i giovanotti animati da Nakamura sono particolarmente vigorosi, con muscoli in evidenza, tratteggiati in pesanti masse chiaroscurali e segno forte.
Un’altra tecnica spesso usata sono le angolazioni, spesso coi visi di tre quarti; gli occhi e le palpebre si muovono in lieve apertura e chiusura alternate, a cicli animati; come le iridi, ben fatte, hanno almeno due o più grandi ellissi le quali donano luminosità ed eloquente espressione visiva: si veda, ad esempio, la più riuscita Miwa come tutte le protagoniste femminili di Nakamura, da Sayaka a Mai. Spesso, sempre al livello degli occhi, sono spesso usati per la comunicazione primissimi piani, che se da un lato portano a un considerevole risparmio, dall’altro sono di sicuro ed eccellente effetto. E quando c’è maggior tensione emotiva, notate, pochissimo movimento ma, a ciclo, gli occhi ballano e brillano lievemente; così le pieghe del viso, rughe e muscoli accennati, spesso si muovono a ciclo, dando oltre ad una facilità nel recupero lasciando il personaggio in semimovimento, una sensazione di tensione nervosa ed emotiva di notevole effetto; come anche le mani, tendini e muscoli, sono sempre evidenziati, come ancora le nocche in fuori, elastiche e nodose, sanno bene esprimere la presa (come anche sono da evidenziare, molto accurate, le mani in acciaio dei suoi robot); da notare nei personaggi le unghie, anziché corte come spesso sono nei cartoon, più leggere, le quali seguendo la forma del dito giungono alla base del polpastrello, tanto da dare impressione di serietà e realismo. Le bocche sono spesso ferme e arcuate nella conformazione e si vedono fitte righe, arcuate a parallele, che accennano al fondo del palato.
Anche nei personaggi scherzosi, Nakamura non tira via: ad esempio, nei bambini quali Shiro, o in Mayumi e Shorty, spesso evidenzia con una linea arcuata e lievemente abbozzata la rotondità volumetrica subito sopra al naso, con gli occhi ovali, simmetrici ed espressivi; come anche in quelli adulti come Boss, Nuke e Mucha, o Musashi, o i successivi Don e Pancho, sono essi sempre strutturati, come anche le loro versioni robot quali Boss Robot e Mechadon, ben studiati nel design, estremamente gradevoli e perfettamente realizzati, altrettanto come i principali.
Spesso i personaggi compaiono da sinistra a destra, ovvero da un lato all’altro dell’inquadratura in pochissimi fotogrammi (da 6 a 12 f/g), quando sono in tensione emotiva con pochi movimenti a ciclo sulle linee del volto, con risultati stranamente molto significativi ed eloquenti perfino sul piano spettacolare.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

La Tecnica

La tecnica è in realtà molto semplice: essa sembra essere presa da quella di Tezuka; chiara nelle’esemplificazione della comunicazione fra scena e scena e anche lievemente fumettistica. Il lavoro sembra essere pianificato a monte: molto metodico e già ben strutturato in fase di storyboard e lay-out; c’è un considerevole risparmio, ma svolto in modo calibrato ed intelligente nei cicli e nelle animazioni essenziali, le quali, spesso corroborate da animazioni di grande effetto, con disegni che in pochi fotogrammi passano da piccoli fino a uscire fuori campo, tendono a raccontare lo svolgersi della storia; anche le impostazioni grafiche, ricavate dai lay-out di partenza, sembrano molto ben studiate in ogni dettaglio; sembra che Nakamura curi anche il bozzetto sottostante, impostando anche le annesse scenografie; ho esaminato recentemente, fotogramma per fotogramma, le sue straordinarie animazioni: spesso i suoi splendidi movimenti che raccontano così bene le emozioni umane, sono costituiti da stranissime animazioni, le quali, prese singolarmente non si direbbe che in proiezione diano l’avvincente effetto che noi conosciamo; spesso sono primi piani, che passano in velocità, con deformazioni plastiche, anche nelle figure più realistiche, le quali proiettati cinematograficamente danno allo spettatore l’emozione d’aver impresso sentimenti ed emozioni senza pari ai suoi attori disegnati.
Un vero regista dei suoi film, con disegni spesso faticati nella loro geniale ideazione, i quali trasudano ancora le linee d’abbozzo; a suo modo Nakamura uno studioso anche molto all’antica, un vero anatomopatologo dell’arte del ‘900, un Leonardo da Vinci nello studio dall’immagine dal vero o un Michelangelo Buonarroti nella ricerca scultorea, del Sol Levante.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Effetti speciali

Spesso non mancano suggestivi effetti speciali che accompagnano le sequenze animate di Kazuo Nakamura: una fra queste in Jeeg è la computer–room dove si trova all’interno della quale l’enorme computer con l’immagine virtuale del prof. Shiba; noterete l’atmosfera della stanza del computer: un rosa soffuso che sembra avvolgere l’intero ambiente, colori dei personaggi compresi; non manca quindi l’uso di gel colorati applicate ai potenti fari della Verticale Cinematografica o direttamente sul carrello sottostante la loupe.
Come ancora, noterete che il prof. Shiba è molto nitido e opaco rispetto al fondo sottostante, molto luminoso, realistico e con un effetto quasi a cristalli liquidi; tecnica usata spesso dalla Tatsunoko, con l’aggiunta di vetri smerigliati e doppie impressioni con più lampade sottostanti, sfocatura e gelatine multiple.
Grande importanza è data dagli effetti su cells: la trasparenza delle lenti degli occhiali accennata ad aerografo; linee a vortice realizzate anch’esse ad aerografo dei personaggi che compaiono dalla roccia; fari delle auto o delle moto, accesi e brillanti, con spesso ausilio in fase cinematografica della tecnica a sovrimpressione in cross-screen a filtri smerigliati per la realizzazione di luci particolarmente forti o dell’effetto sole, quasi accecante (si veda quando Koji Kabuto e Akira vanno in moto in Mazinger Z contro Devilman); medesima tecnica, si noti, è usata quando, estratta una spada, essa, giunta al fisso fotogramma, brilla con un piccolo punto a stella a quattro o sei punte, le quali compaiono, roteando, entrando e uscendo in fondou. O anche, in scene di notevole suspense per i protagonisti buoni, o quando compare qualche personaggio dall’aria ambigua brilla improvvisamente l’occhio con la stella a punta rotante dalla luce vivida, effetto altresì realizzato con la sovrimpressione dei filtri a stella, di cui Nakamura è maestro.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Effetti grafici

Gli effetti grafici sono molteplici. Si può notare ad esempio, quando nella prima puntata si riesumano gli antichi mostri Haniwa, essi si risvegliano comparendo direttamente dal suolo di roccia, disegnati su acetato con accenni di tratteggio a lapis senza colore e mossi in dissolvenza incrociata i quali prendono colore solo nei fotogrammi finali, semplicemente posti sul fondale scenografico. Spesso per amalgamare il personaggio alla scena viene usato un effetto flou ottenuto ad aerografo e animato, col disegno, sul cell.
Linee arcuate e prospettiche di combattimento (le quali si alternano con qualche fotogramma vuoto con lieve effetto a “intermittenza”,
sia realizzate ad aerografo chiaro (v.di Trider G7), sia spesso a doppi tratti, rapidi ed espressivi, con l’aggiunta di tratti ottenuti a matita dermatografica bianca (v.di le linee d’aria in movimento dei leoni in corsa di Voltron, o Jeeg Robot quando corre di profilo; particolari riscontrabili entrambi nelle rispettive sigle), o semplicemente, con grande impatto grafico, senza matita grassa chiara, coi semplici segni grafici che segnano, quasi graffiando, i movimenti non impressionati ma accennati graficamente con lievi accentuature in poche ma significative fasi di animazione, con deformazioni plastiche degli arti in movimento (v.di. ad esempio la trasformazione di Daitarn III). Come ancora, i lampi in sovrimpressione, ottenuti con un acetato aerografato di giallo sovrapposto ad intermittenza sui volti. Come anche l’animazione a ciclo della neve, o le gocce di sudore fisse, tecnica quest’ultima caratteristica delle serie Tezuka della Mushi.
L’acqua è spesso (vedi il Big Shooter quando esce dal mare) realizzata “sopra”, con la tecnica del pennello asciutto che dà un senso più corposo alle varie ondate aerografiche sottostanti; la pioggia, tratteggiata in linee prospettiche e cicliche, va a terra con aggiuntivi e spruzzi a pennello per dare l’idea che essa cada al suolo (v.di la prima puntata di Jeeg con l’incontro di Hiroshi e Don alla gara automobilistica, fra pioggia, lampi e rombi d’auto; sequenza resa ancor più incalzante da un “acquazzone”, animato sul doppio lato dei cells a mano); come similmente, ad acetato definitivo, sul lato del segno (e non quello sottostante dove si colora) vengono aggiunti singolarmente effetti, in animazione, per evidenziare il fango, terriccio, ecc, a pennello semiasciutto. La polvere della terra (le cosiddette “nuvolette” nei cartoon americani) è anch’essa realizzata ad aerografo; come anche la pioggia che cade in prospettiva vista dall’alto, o anche seguendo le prospettive accidentate di varie inquadrature angolari, diagonali e trasversali.
Hiroshi inoltre è leale ed anche un po’ ingenuo; il più goffo Don viene aiutato da Pancho il quale nascosto nel pubblico fa in modo di tirare da un cannone una buccia di banana che fa andare fuori strada la macchina di Hiroshi Shiba e, dopo essere scalzato da più auto che lo investono, miracolosamente si rialza e, ripresa l’auto, sorpassa l’auto dello scorretto e maldestro rivale Don Yoseki.
E la pozza d’acqua dove il pilota caduto a terra, rialzatosi, si specchia, con un’inquadratura in diagonale è di sicuro impatto: le celluloidi con Hiroshi sono riprese in sovrimpressione ad un livello di densità inferiore, ottenuto attraverso le diverse gradazioni d’apertura del diaframma cinematografico, cosicché da dare l’impressione dì un vero busto riflesso nell’acqua.
Tuta gialla da corridore, con linee che seguono quelle dei muscoli, e casco rosso con una punta d’aerografo al di sopra di esso e l’evidenziatura del vetro per segnarne delicatamente la trasparenza; mani con le nocche evidenziate dall’elasticità dei guanti che stringono bene il volante, ben disegnato e con le ondulazioni sottostanti nel design realistico. Cerchioni in lega ben studiati dagli originali; copertoni delle ruote, robusti e massicci, per dare l’impressione di solidità all’auto, dov’è ben studiato il battistrada con tracciati pieni di linee in movimento nere a Xerox, le quali seguono in animazione le curve ellittiche d’accompagno durante la corsa, con tratti a ciclo aggiuntivi a dermografica bianca, e, nel punto dove esse spingono sul suolo, ben evidenziate altrettante, forti e vigorose, tracce trasversali che segnano la bruciatura sull’asfalto.
Come anche nei sorpassi, le macchine, quella in secondo che poi diventa in primo piano e viceversa, subiscono, durante gli incalzanti cicli di animazione, il cambio di inquadratura da diagonale sinistra a diagonale destra, il tutto risolto in animazione, con la scenografia che in questo frangente rimane in orizzontale.
Notasi anche l’idea rielaborata in Grand Prix dove le ruote giocano un ruolo fondamentale: alle due ruote ne vengono aggiunte altre due montate accanto, in parallelo, per dare un maggior solidità ad un’autovettura che deve avere un tono speciale, ma al contempo, senza andare su modelli grafici irreali se non semi-fantascientifici…
Il tutto corroborato da cicli di pioggia fitta, lampi in sovrimpressione e non, pozze e acqua dipinta sopra con aggiunte a pennello semi asciutto, cells in animazione delle automobili con sopra velature ad aerografo, con bolidi da corsa che durante il rally vanno da piccole ad enormi sino ad oltrepassare in pochissime fasi il fotogramma, per ritornare a cambiare obliquamente prospettiva; un assemblaggio micidiale, a più livelli di cells e con più tecniche, di enorme impatto visivo che solo il grande Nakamura sa offrire.
Vedasi anche quando, sempre nella prima puntata di Jeeg, il prof. Shiba viene frustato dai soldati Haniwa con le fortissime linee arcuate in animazione a Xerox nere e a dermografica bianca, lasciando perfino il segno rosso sul viso, quest’ultimo realizzato ancora a sprazzi di aerografo; il tutto con un realismo incredibile nella figura, rigidità nella struttura disegnativa ma corroborata, come “segreto del mestiere”, da elasticità in poche ed essenziali fasi, con l’aggiunta di brevi ed evidenti “segni” d’espressione perfino presi dalla scuola d’oltreoceano!
Si può dire che Nakamura sia il più “rigido” e il più “elastico” animatore al contempo; spesso il personaggio è animato spostando il disegno precedente, e spesso il personaggio cambia prospettiva da fotogramma a fotogramma: una genialità incredibile, che solo un grande maestro come Kazuo Nakamura, può intuire ancora prima che la sua fantasia sia trasportata sullo schermo.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Le trasformazioni e le esplosioni

In diverse serie giapponesi Nakamura è stato chiamato come singolo artista per realizzare alcune sequenze particolarmente difficili: le trasformazioni dei piloti e dei robot, come anche le esplosioni dei vari mostri nemici; spesso si notino alcune animazioni ben riuscite le quali vengono riciclate anche in serie che non appartengono allo stesso autore.
Segni molto grossi, a grafite, con sprazzi di rosso vivo per le battaglie.
Bagliori e scariche elettriche, dapprima realizzate unicamente a aerografo, poi arricchite dal segno grafico della dermografica bianca, fino ad aggiungervi, sempre tracciate a matita grassa, sfere ellittiche e punte stellate – anche per pochissimi fotogrammi per l’effetto lampo –, poi aerografati: vedi le più elaborate e recenti trasformazioni di Golion-Voltron.

(La stessa esplosione animata da Nakamura in due serie diverse: nel Grande Mazinger e nella sigla di Jeeg Robot – © Toei Animation)

Episodi

Gli episodi di Jeeg realizzati da Nakamura sono i seguenti: 01 – Il risveglio dei mostri [Jap: Seiki no Magne Robot Kootetsu Jeeg]; 05 – Macchie solari [Jap: Muchakucha Mekadon Daifunsen!!]; 11 – Lotta senza quartiere [Jap: Shitoo! Build Base kooboosen]; 14 – All’ultimo istante [Jap: Mezamero Jeeg – Ikari no hangeki!!]; 18 – Transfert di memoria [Jap: Kyoofu! Shinnyuu suru kitsunebi]; 27 – Odio implacabile [Jap: Makka ni moero!! Shin Cyborg]; 32 – Rivolta al centro della terra [Jap: Himika ni sasageru ikari no hanran!!]; 37 – Missione senza ritorno [Jap: Flora shoogun wa teki ka mikata ka!?]; 40 – Raggio Omega [Jap: Kokoro wo musubu ai no pendant]; 43 – Preso in ostaggio [Jap: Hangyakusha!! Flora shogun no saigo!].

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Prendiamo il 27° episodio, Odio implacabile [Tit. Jap: Makka ni moero!! Shin Cyborg], in assoluto uno degli episodi meglio riusciti sia per la difficoltà della sceneggiatura sia per la difficoltà dell’animazione.
Nel regno Yamatai, la Regina Himika sta cercando col ministro Ikima di capire il motivo dell’immortalità di Hiroshi, il cui segreto dev’essere necessariamente legato alla campana di bronzo. Hiroshi nel frattempo si sottopone ad allenamenti massacranti. Dall’alto verso il basso e, in controcampo, dal basso verso l’alto, una potente cascata (vedasi l’uscita di Venus nel Grande Mazinga) letteralmente dipinta nel ciclo che compone l’animazione, ammorbidita dall’effetto flou dell’aerografo e corretta da tratti a pennello asciutto: un capolavoro! Ma sotto, a subire la dura prova c’è Hiroshi Shiba, un incredibile doccia sotto le cascate sembra essere, come risultanza di un durissimo allenamento, fra le resistenze di lui, la preoccupazioni della madre Kikue e la voce del prof. Shiba in sovrimpressione, che lo incoraggia a resistere questa e altre prove. Le inquadrature sono accidentate, quasi vaporose nell’effetto finale; poi i primi piani delle scarpe da tennis (quasi arcuate e con effetti plastici di movimento), vedasi la pioggia a goccia, fitta e delicata (cicli di diverse gradazioni ripresi dalla prima puntata sempre dello stesso animatore), mentre dalle suole al terreno vi appare in aggiunta l’effetto bagnato col pennello sul retro del cell. E le vedute in prospettive non mancano nelle varie angolazioni, quando Hiroshi si allena sul terreno bagnato lungo la fitta pianura boscata. Qui Nakamura si sbizzarrisce: il personaggio, rispetto alla prima puntata è ormai ben conosciuto e consolidato; tenta deformazioni prospettiche, per dargli più robustezza e accentua l’ampia capigliatura per dar l’idea dei capelli folti e bagnati.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Si notino gli allenamenti sportivi col lancio del martello, di come varia la prospettiva anche da fotogramma a fotogramma, di come la palla viene ad essere schiacciata ed ellittica durante le varie rotazioni prospettiche passando centralmente nel campo cinematografico con le relative linee di forza lasciate nell’aria (in Daitarn III tracciate graficamente e qui riprodotte a colore più chiaro, fino a cadere, Hiroshi, molto ravvicinato al campo di ripresa). Notasi l’effetto della forza delle mani, dei muscoli e dell’espressione contratta degli occhi sotto la guida del padre, che cerca di temprare il corpo e lo spirito del giovane figlio. Ma gli allenamenti stremano il ragazzo che viene ricoverato d’urgenza. I barellieri però non conducono il paziente alla base ma presso una sinistra clinica privata più vicina al luogo dell’incidente, nella quale il comportamento di medici e infermieri è alquanto sospetto. Da notare il dottore: un medico umano, si, ma di proporzioni notevoli: spesso visto con inquadrature trasversali e piani americani: si tratta in realtà del ministro Ikima.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Interessante che la madre si confida col marito nell’elaboratore elettronico della base antiatomica dove il prof. Shiba, ha spiegato egli stesso nella prima puntata, aveva immagazzinato tutti i suoi dati nell’eventualità di una disgrazia: in altre parole, un clone virtuale del marito morto, ma pur sempre un marito, al quale chiedere conforto e consiglio.
Troviamo per la prima volta un rapporto veramente stretto fra i mostri di Yamatai e gli umani di Jeeg; sdraiato sul grande letto di ferro, Hiroshi è fermo e delineato da chiaroscuri vigorosi e forti muscolature, mentre il dottore, rimasto solo, si rivela il potente ministro della Regina Himika, tenendogli fermo il viso mentre tenta di tenere aperto l’occhio, con grande suggestione nella scena mentre gli fa una potente iniezione anestetica (vedasi il design della siringa e la macchia rossa eseguita ad aerografo iniettata sull’avambraccio).

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

Gli occhi di Hiroshi da bianchi diventano rosa. Di grande effetto è l’idea della radiografia, per la quale il letto ove è incatenato Hiroshi si apre spostandosi in ortogonale, con le varie prospettive che raffigurano l’emblematica scena. Come anche l’ottimo effetto della lastra radiografica Nakamura le realizza, sopra la lucidatura a Xerox, col delineo ad inchiostro chiaro con campitura aerografata per raffigurare l’effetto in negativo fotografico dello sterno ove è custodito il segreto della campana di bronzo. Sentendo in lontananza la voce di Miwa e capendo che ormai c’è qualcosa di strano, il mefistofelico chirurgo si rimette quella che era nientemeno che una maschera: il suo camuffamento per i parenti e conoscenti di Hiroshi, quando essi vengono nella clinica stregata. Hiroshi, vedendo Miwa, non riesce nemmeno a parlare, vorrebbe ma è come drogato dalla sostanza iniettatagli. Mentre Ikima sta per ucciderlo col bisturi, rientra improvvisamente la ragazza: grandi effetti animati: il bisturi diventa un pugnale, con segni a matita dermografica bianca i quali accennano al lancio; le spade dei soldati che animano nell’aria, con segni bianchi e rosa del raggio laser sparato dalla pistola di Miwa; vedasi ancora la scena in cui Miwa inietta a Hiroshi una sostanza in grado di inibire l’anestesia che lo bloccava e, mentre sta per essere colpita da un soldato Haniwa, lei gli lancia la siringa nell’occhio. Hiroshi si sveglia definitivamente, gli occhi da rosa, in dissolvenza incrociata, tornano bianchi e lui, alzando il busto dal letto (petto e muscoli molto accentuati), unisce i pugni direttamente in primissimo piano e saltando in aria e trasformatosi nella sua forma umanoide, con calci e colpi di karate mette KO i soldati Haniwa fuggendo dalla clinica maledetta.
Hiroshi rincorre Ikima, il quale tenta di colpirlo con la spada, ma ha la meglio, e tenta di tagliargli la testa; la scena è di grande effetto; quando la situazione sembra a favore di Hiroshi interviene Mimashi, che libera Ikima dalla morsa in cui è bloccato.

(Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio – © Toei Animation)

E’ il turno di Mimashi che, ottenuta la fiducia della Regina, affronta il giovane corpo a corpo, in una sequela di inquadrature trionfanti, per le loro esagerazioni prospettiche, per l’effetto scenografico, per le vedute dall’alto, laterali, angolari, dall’impressione mastodontica. Ma qando Hiroshi sembra sconfitto dall’attacco congiunto dei due nemici il padre lo convince a trasformarsi in uno stadio superiore, raggiungibile proprio grazie agli estenuanti allenamenti dei giorni precedenti. E dopo un salto in aria Hiroshi raggiunge un nuovo stadio, con una corazza metallica che protegge il suo corpo per trasformarsi nuovamente in Jeeg, in una delle più eccezionali puntate di Kazuo Nakamura dell’animazione giapponese.

(La più grande vittoria di Jeeg Robot – © Toei Animation)

Jeeg contro i mostri di roccia

Nel 1979 la Eole Financiere, la stessa società che fece i rimontaggi cinematografici di Ufo Robot Grendizer [La più grande avventura di Ufo Robot – Goldrake all’attacco!; Goldrake l’invincibile; Goldrake addio!] fa uscire nei cinema italiani un film di montaggio unendo i diversi episodi della serie Toei nel lungometraggio Jeeg contro i mostri di roccia – La più grande vittoria di Jeeg Robot: pessimo montaggio, episodi presi qua e là fra la maggioranza neanche tra i migliori, scelta dei combattimenti sbagliata, ecc… Meno male che almeno la prima puntata con le straordinarie animazioni di Nakamura che fa da introduzione al film è quasi intatta, salvo la parte finale; film che, con tutti i guasti, rimane un ricordo indimenticabile nella versione cinematografica della serie TV Jeeg Robot, Uomo d’Acciaio.
All’epoca si pensava fosse un film d’importazione del Sol Levante, visto che spesso la Toei rimontava talvolta gli episodi migliori di una serie per farne una versione cinematografica, ma in questo caso parrebbe di no visto che recentemente la STORM ha pubblicato in cofanetto i film di montaggio usciti in sala e di cui aveva acquistato regolarmente i diritti dai presunti legittimi proprietari (Eole Financiere), società audiovisiva svizzera di Ginevra, oggi in liquidazione. Pare che quando i nodi sono venuti al pettine, quei film 30 anni fa non erano stati autorizzati da nessuno, e abbiano così smesso di pubblicare nuove edizioni. Ma bastava ascoltare la traccia audio dell’epoca per capire come il montaggio non potesse essere stato eseguito da un altro negativo inviato della Toei. Già si poteva intuire dalla pessima selezione delle sequenze, svolta in modo approssimativo e da non addetti all’animazione, ma soprattutto dal doppiaggio, il quale non è stato certo ridoppiato per l’edizione cinematografica poiché è il medesimo delle copie italiane passate in TV: esso è infatti preso dal mix delle copie 16 mm (queste all’epoca le copie cedute per i passaggi televisivi), le quali poi opportunamente “gonfiate” in 35 mm per l’occasione. Vi sono comunque dei rimaneggiamenti: nel 1° episodio della serie, Il risveglio dei mostri, nella gara automobilistica, l’annuncio sulla gara di formula uno è doppiato da uno speaker mentre nel film ciò è un sabotaggio dovuto a un piano di Himika; si vede infatti che a suggerirlo è Hikima (nella scena in questione il ministro è doppiato da Vittorio di Prima anziché Aldo Barberito), accanto alla Regina Himika doppiata sempre da Anna Teresa Eugeni; mentre si sente la voce sempre di Romano Malaspina che doppia una nuova battuta di Hiroshi, il quale spiega che fortunatamente il padre è salvo, anche se dovrà vivere in una capsula antiatomica, e sarà degno della sua fiducia vincendo il gran premio automobilistico! Stravolgendo con questa battuta il senso originale della trama, visto che dal film viene tolta la parte, breve ma molto significativa, in cui il prof. Shiba all’interno della capsula della sala computer spiega esplicitamente a Hiroshi che quello che vede è in realtà un’immagine virtuale di se stesso, avendo immagazzinato tutti i dati della sua persona nell’eventualità che la Regina Himika avesse la meglio su lui.
Inoltre si può vedere che queste poche scene di raccordo, le quali servirono ai distributori italiani per modificare la trama, vennero estrapolate dalla serie e non dalla prima puntata, essendo di gran lunga inferiori qualitativamente alla bravura di Nakamura.
Vennero inoltre tolte le sequenze dove si vede che è Pancho a nascondere sotto il telo un cannone, come non appare che è Don, avendo la peggio in gara con Hiroshi, a richiamarne l’attenzione.
Ma il sonoro del restante appare identico, addirittura delle battute si accavallano, come i rombi dei motori, uguali a quelli della puntata, segno che il sonoro della serie e le nuove battute sono state rimixate per la versione in 35mm.
Ciononostante il lungometraggio della Eole Financiere preso dagli episodi italiani di Jeeg della Minerva Trading e distribuito dalla Italian Pictures si è rivelato una pietra miliare nella storia italiana del robot.
Ma quasi nessuno ricorda che i lungometraggi su Jeeg Robot furono in realtà due, entrambi anche stampati poi in versione completa in 5 bobine da 180 mt. cadauno in Superi 8.
Nei crediti del poster cinematografico del film c’è scritto: ‘Colore Technospes’, e ciò fa intendere che le stampe delle copie siano avvenute nel suindicato laboratorio cinematografico di sviluppo e stampa; come la sigla è stata nuovamente titolata per la versione cinematografica: si noti nel ‘cast’ il nome di Miwa che nel manifesto è semplicemente Miva, quando fra i principali ‘interpreti’ viene indicato Pancho mentre manca il nome di Don, segno certo di un pressappochismo all’italiana; da notare inoltre che nel film viene indicato il laboratorio di Titoli e Truka: ‘Studio Mafera’: due fratelli, Stefano e Aldo Mafera, i quali all’epoca titolavano in italiano la maggior parte delle serie giapponesi.
Un’ulteriore curiosità: sul poster viene indicato che la canzone ‘Jeeg Robot’ cantata da [un singolo e non un gruppo!] ‘Superobot’ è incisa su dischi R.C.A.: trattasi di un tipico pastrocchio all’italiana: la canzone all’interno del film è quella che compare anche nella serie televisiva ed è invece cantata da Roberto Fogù, in arte Fogus, con i Fratelli Balestra, per la casa discografica CLS-Cam, con testo rielaborato dall’originale giapponese da Paolo Moroni, Paolo Lepore e Marcello Casco, e con gli arrangiamenti di Carlo Maria Cordio e la realizzazione del M° Detto Mariano, che fece anche la musica di Gundam.
La canzone indicata sulla locandina invece non si trovava sul film in questione, come indicato dal poster, bensì sul retro del disco originale del Grande Mazinger, con testo degli stessi autori, cantata come voce solista dal cantante inglese naturalizzato italiano Douglas Meakin dei Superobots [al plurale] ed edita invece quest’ultima dall’RCA.
Si è venuto a sapere solo di recente che gli adattatori italiani utilizzarono la musica originale di Michiaki Watanabe senza che l’autore ne sapesse niente.
La straordinaria sigla italiana di Jeeg è stata realizzata sulla base giapponese, come quella di Ryu, il ragazzo delle caverne, scritta sempre da Moroni e cantata da Fogus, con gli stessi arrangiatori fra i quali Paolo Lepore, il quale affidò la canzone della sigla di chiusura alla giovane figlia Giorgia Lepore, che assieme al fratello Davide, oggi entrambi affermati doppiatori, avrebbero interpretato in Rai nell’autunno 1979 la serie a pupazzi, Le fiabe incatenate.

(Roberto Fogù, in arte Fogus)

Gadget e curiosità

Come fatto intuire Jeeg Robot contese a lungo il primato di Goldrake, soprattutto perché dalla sua prima uscita, 1979, viene fuori un fiorente merchandising: la doppia versione del disco, come spiegato; l’album delle figurine Panini; i quaderni degli ‘Auguri Mondadori’; i trasferibili di Jeeg; il gioco da tavola Clementoni; come anche i film in Super 8: oltre alle versioni complete dei due lungometraggi, come accennato, vengono stampate alcune fra le singole puntate edite dalla Ersa in cofanetti da 2 bobine da 120 mt., e altre da spezzoni da 60 mt. cadauna.
La linea di giocattoli giapponese Takara realizzò proprio sulla base del successo di Jeeg Robot diversi modellini a magnete sfruttando l’idea degli arti e dei vari componenti del corpo.
Nel 1977 negli Stati Uniti, sulla scia di questo successo, la Mego, ditta americana nel settore delle action-figures, acquista dalla Takara i diritti per creare un nuovo prodotto sulle basi del Jeeg da affiancare ai prodotti già esistenti della serie giapponese Microman. Da Microman a “Micronauts” il passo è breve: i primi due personaggi fantascientifici sono creati unendo le parti del corpo smontabili e collegabili tramite calamita di Jeeg, cambiati con due nuovi volti ispirati dal successo cinematografico dell’epoca, Star Wars, ed ecco cosi apparire il nero Baron Karza, ispirato dal personaggio di Darth Vader, e il bianco Force Commander, ispirato in volto dai caschi delle guardie imperiali viste sempre in Guerre Stellari. Anche qui in Italia sbarcano i Micronauti grazie all’importatore Linea Gig, dove la serie raggiunge il culmine della popolarità all’epoca dei personaggi Baron Karza e Force Commander (con le relative cavalcature Andromeda e Oberon) e la Gig, distributrice sia dei Micronauti che di altri prodotti Takara (come i Transformers), prende accordi con questa per produrre dei nuovi personaggi distribuiti quasi esclusivamente sul territorio italiano, come King Atlas e Green Baron (essenzialmente identici a Karza e Commander, con solo la forma della testa differente ed uguale tra loro, rispettivamente di colore rosso e verde). Minore distribuzione ebbero successivi prodotti come Red Falcon (che aveva un maggiore numero di accessori e proponeva un corpo differente da quello degli altri modelli).

(Gakeen, il robot magnetico – © Toei Animation)

Verso l’America: fra Toei e Sunrise

Dopo la rottura di Go Nagai con la Toei relativa a Gaiking, il robot guerriero [Daikū Maryū Gaiking] (1976), serie improntata dal Character design Akio Sugino, visto che la casa di produzione non avrebbe riconosciuto a Nagai le royalties escludendo il suo nome dai credits, vi fu una lunga diatriba giudiziaria fino alla riappacificazione avvenuta negli anni novanta, cosicché la Toei Animation pensò a una nuova serie sullo stile Nagai, dal momento che le precedenti erano state rielaborate per le versioni animate dai loro principali character designer: Komatsubara, Nakamura, Araki, Sugino, tenendo presenti le progressive variazioni giunte come il team formato ormai da cinque piloti. Ne è uscito fuori Gackeen, il robot magnetico [Magune Robo Ga・Kīn] (1976), il quale presenta diverse analogie, compresi i componenti magnetici, col precedente Jeeg Robot d’Acciaio. Character designer Kazuo Komatsubara, con la direzione artistica di Tadanao Tsuji, e gran parte dei registi come i direttori delle animazioni sono i medesimi di Jeeg e Gaiking.

(Gackeen, il robot magnetico – © Toei Animation)

Se la prima puntata di Magune Robo Ga・Kīn è affidata stavolta al character designer e regista principale Komatsubara, che si occupa anche della trasformazione di Takeru nell’Uomo Magnete Plus e di Mai nell’Uomo Magnete Minus per congiungersi nel robot magnetico Gackeen (si noti che molto hanno i personaggi di Takeru e Gackeen con Actarus e Goldrake, nonostante un po’ modernizzati: sopracciglia all’insù e occhi languidi e molto incisi nella forma delle folte ciglia attorno), la seconda puntata, Moero Mou!! Gousei Juu O Uchikudake!!, è invece molto conforme allo stile di Nakamura: i cicli delle onde, nei primi minuti di proiezione, sono estremamente fitti ed elaborati; inquadrature viste dal basso verso l’alto con prospettive accidentali; notasi ancora la differenza fra il prof. Kazuki e Mai realizzati da Nakamura e gli stessi personaggi realizzati da Komatsubara; Takeru Hoyo è più robusto e vigoroso e qui assomiglia molto più a Hiroshi Shiba.

(due inquadrature in “stile Nakamura” di Gackeen e Jeeg – © Toei Animation)

Anche i cicli delle onde del mare così complessi sono ottenuti con la seguente tecnica: lucidati a matita dermografica bianca (come l’elettricità attorno ai leoni di Golion durante la trasformazione) e colorati dal retro; sopra, a cell asciutto, molte linee sottili che seguono le onde sono segnate sempre a matita grassa per dare l’idea del fondo marino; il tutto con sopra, animate, spuntinature con piccole stelle a 4 punte ottenute coi vetri riflessi a cross-screen riprese su cartoncino nero in sovrimpressione; tecnica, come si è detto, a cui Nakamura sembra ricorrere spesso.
Gli episodi, con la direzione dell’animazione affidata a Nakamura e la regia di Masayuki Akehi di Gackeen sono: 02 – Takeru, distruggi il mostro [Jap: Moero Mou!! Gousei Juu O Uchikudake!!]; 08 – Le parole del padre [Jap: Chichi Ga Oshie Ta Kokoro To Waza]; 14 – Takeru, esegui gli ordini! [Jap: Mou! Shiren O Norikoero!!]; 19 – Rivincite nella tempesta [Jap: Arashi No Naka No Ritaan. Macchi!]; 26 – Una nuova arma [Jap: Shin Heiki Kattaa. Furaggu Toujou!!]; 32 – L’invincibile carro armato corazzato Gakeen!! [Jap: Muteki!! Ga. Kiin Shigeru Sensha!!]; 38 – Due cuori che ardono insieme [Jap: Futari no kokoro ga hitotsu ni moe ta].

(God Titan – © Knack)

Fu proprio durante la lavorazione di Magune Robo Ga・Kīn che alla Toei/Dynamic stavano studiando il nuovo soggetto di Nagai, God Titan, con Kamatsubara e Nakamura reduci dall’impegno in UFO Robot Grendizer e Kōtetsu Jeeg come character designer principali ma, dopo l’estromissione dai titoli in Daikū Maryū Gaiking, oltre a far causa alla Toei Animation, il celebre mangaka interruppe bruscamente i rapporti portando il nuovo soggetto alla Knack, contando ora sull’apporto di Eiji Tanaka, animatore storico della Mushi Production dell’epoca di Tetsuwan Atom ed elemento di punta della Tatsunoko, il quale dopo Judo Boy [Kurenai Sanshirō] (1968) e L’ape Magà [Konchu Monogatari Minashigo Hutch] (1970), aveva firmato per la più recente casa di produzione le serie di Astroganga [Asutoroganga] (1972), la cui canzone originale è cantata da Ichiro Mizuki (lo stesso famoso cantante degli Anime Toei), e Don Chuck il castoro [Don Chuck monogatari] (1975), per studiare la nuova serie God Titan, che si evolvé in Gloizer X [Guroizā X] (1976).

(Groizer X – © Knack)

(Planetary robot Danguard Ace vs the army of insect robots – © Toei Animation)

Kazuo Nakamura, dopo Gackeen, realizza uno dei due mediometraggi basati sul successo della serie di Leiji Matsumoto e animata da Shingo Araki, Danguard Ace [Wakusei Robo Danguard Ace].
Planetary robot Danguard Ace vs the army of insect robots [Dangard Ace tai Konchuu Robot Gundan] (1977), è uno Special nella migliore tradizione Toei, per il quale Nakamura realizza un autentico capolavoro animato, arrivando perfino a migliorare, personalizzandoli col suo inconfondibile stile, i già perfetti personaggi ideati da Araki, col quale aveva già lavorato ai tempi della Mushi in Rocky Joe.
I personaggi sono molto consoni agli originali improntati dal suo degnissimo e altrettanto illustre collega. Simili, per certi versi, i due Maestri dell’animazione Toei: uno più vigoroso e forte nelle linee e nel tratto, l’altro più femminile e delicato nel design sinuoso; Arin e Nova appaiono lievemente più simili a Hiroshi e Miwa, anche se pienamente attinenti ai model-sheet originali di Shingo Araki, come il Capitano Dan rievoca il successivo Niki Lanz della difficile prova di Grand Prix, ossia, per entrambe le serie, il mistero dell’identità celata dell’uomo mascherato, nelle versioni animate interpretate da Kazuo Nakamura.
Alcune fra le migliori scene dello Special vengono reinserite innumerevoli volte durante le puntate della serie televisiva: Nakamura partecipa, fornendo animazioni principali e lay-out, a diversi episodi, firmando una o due puntate in proprio di Danguard Ace; inoltre, la famosa sequenza animata della trasformazione è sua; come anche la scena dell’astronave che esce dall’interno della Base Jasdam con le ruote in primissimo piano: v.di le consuete animazioni, in soggettiva, delle ruote e degli interni del Daitarn o della Base di Jeeg, con la Mach Patrol o il Big Shooter realizzati da Nakamura il quale, con lo Special su Danguard contribuisce molto a migliorare l’iniziale design ancora incerto e arcaico del robot, antecedentemente improntato da Araki. Come anche è sua l’eccellente animazione dell’astronave che, frontalmente, esce dalla piattaforma della Base Jasdam, la quale si allontana in prospettiva muovendosi assieme a tutto lo sfondo, terraferma e mare compresi.
Non è facile notare le differenze tra i due autori, specie nel modo di disegnare il robot, ma è interessante notare che Nakamura realizza gli occhi del Danguard più languidi e a rombi, come le labbra più carnose rispetto al modello di Araki, anche se è ad esso molto simile.
La maestria di Kazuo Nakamura la si può ammirare, oltre che nello splendido mediometraggio, soprattutto nel 29° episodio di Danguard Ace, non eccezionalmente curato come lo Special, intitolato Un meraviglioso rivale [Jap: subara shiki raibaru]; episodio nel quale si viene a sapere che il famoso “Progetto Prometeo” venne iniziato dal padre dell’altro pilota e rivale di Arin, Toni, assieme al protagonista della puntata, il dott. Randolph, uno scienziato dalle lenti affumicate anni ’70 e dolcevita con barba, bionda e a punta, alla “Ikima”, un personaggio quasi americano.

(Il Danguard animato da Kazuo Nakamura)

Un’altra straordinaria serie Toei portata ad un livello di estremo realismo grazie a Kazuo Nakamura è Grand Prix e il campionissimo [Arō Enburemu Guranpuri no Taka] (1977), nonostante la firma di molti valenti direttori e animatori, fra i cui registi compaiono i nomi di Rin Taro, Yugo Serikawa, Kozo Morishita, e la direzione dell’animazione affidata a nomi quali Takeshi Shirato, Kenzo Koizumi, Toshio Mori e Kazuo Komatsubara, col character design di Akio Sugino, gran parte delle animazioni delle gare automobilistiche sono affidate proprio alle eccellenti animazioni di Kazuo Nakamura, dopo la già “collaudata” prova di Hiroshi in Jeeg.

(Grand Prix e il campionissimo – © Toei Animation)

Anche le “doppie ruote” vengono aggiunte durante i nuovi modelli d’auto, senza giungere né ad auto galattiche, né a semplici autovetture, ma ad autentici bolidi da corsa resi ancora più realistici dalle realizzazioni animate del Maestro del Sol Levante; le animazioni di Nakamura sulle auto le conoscete; gran realismo, giochi di prospettive centrali e obliqui; giochi di segni neri in animazione sulle ruote, corroborate da segni tracciati a dermografica bianca, aerografo sui vetri per determinarne il realismo, linee di forza che segnano il metallo dell’auto (vedi sia in Jeeg sia in Daitarn III), e grande effetto nella corsa.

(Grand Prix e il campionissimo – © Toei Animation)

Protagonista della serie è Takaya Todoroki, giovane pilota automobilistico che sogna di diventare un campione di Formula 1. Dopo un incidente, il sogno sembra infranto, ma un uomo misterioso lo ingaggia per la scuderia Katori Motors.

(Grand Prix e il campionissimo – © Toei Animation)

Questi non è altri che il leggendario pilota Niki Lans (evidente omaggio a Niki Lauda e al gravissimo incidente che lo lese nel ‘76), rimasto ferito in un incidente, tanto da presentarsi nella serie col volto coperto da una maschera che copre le ustioni del volto devastato (un’idea che, per altri aspetti, ritroveremo in Danguard Ace col Capitano Dan e Arin, dove un uomo in apparenza severo e dall’identità misteriosa fa da padre istruttore al giovane protagonista), dove, oltre al primo episodio, alla Nakamura Pro. il creatore di Jeeg Robot d’Acciaio diresse in realtà gran parte delle puntate della fortunata serie automobilistica.

(Grand Prix e il campionissimo – © Toei Animation)

Nel 1° episodio, Verso la gloria [Eikō he dasshu!], si noterà più facilmente la sua mano verso la fine della puntata quando l’uomo misterioso siede in ospedale accanto a Takaya, al letto reduce dal grave incidente, per raccontargli la storia di Niki Lanz: la sequenza è interamente realizzata da Nakamura, con l’assemblaggio di più tecniche soprattutto attraverso l’ausilio del Rotoscope: qualche spezzone e brano di gare automobilistiche, fra cui proprio il filmato originale del terribile incidente d’auto a Niki Lauda, in cui si vede l’animazione della Ferrari, ripassata al Rotoscope su un visore o in moviola, con su scritto al lato ‘Niki Lauda’; o le scene delle diverse auto in corsa corroborate della combustione del fuoco perfino dipinto sopra il cell ad aerografo e tempere, ottenendo un risultato direi sperimentale attraverso un effetto perfino onirico; ripasso che si desume essere tracciato a penna su foglio bianco con più sovrapposizioni di cells: vedasi, ad esempio, il volto fasciato di Niki Lanz, mentre sovrapposto ad esso cammina in lontananza il pilota, con dissolvenze successive ed effetti ad aerografo; oltre alle varie effige dei bolidi a motori, appaiono, realizzati su cells, raggi con sfere concentriche aerografate (vedi i successivi Daitarn e Voltron), che rapidamente passano in animazione sulla Ferrari; come, nella scena successiva, vi troviamo molto dell’inconfondibile stile Nakamura, quando il pilota in veduta centrale si mette il casco, e con le mani nodose, si abbassa il vetro per coprire il volto; come molte animazioni della sequenza in questione sono la sovrapposizione del Film-Guide con delle animazioni aggiuntive. Come gli sprazzi delle frenature delle ruote dipinte sopra; vedi anche l’effetto acqua del Big Shooter, del quale ho richiamato l’attenzione nel paragrafo precedente.

(Due animazioni di Nakamura a confronto: Niki Lanz e Hiroshi Shiba – © Toei Animation)

Come abbiamo visto la bravura di Nakamura diviene di grande apporto e prestigio alle serie Toei, specie quelle di Nagai, e più precisamente egli ha potuto esprimere la propria poliedrica e geniale personalità in Kōtetsu Jeeg, alternando la sua attività di libero professionista con un altro importante studio d’animazione del Sol Levante, la Sunrise, nel quale sono stati prodotti robot molto diversi ma di certo non meno interessanti.
Alla Nippon Sunrise infatti, vengono realizzate serie robotiche le quali presentano uno stile molto difforme, sia nel design sia nella psicologia e, diciamoci la verità, tutto sommato un po’ concorrenziali verso i robottoni Toei. Anche se poi vi è anche la Tatsunoko, coi suoi eroi e le sue serie per bambini; la Knack ed altre, e spesso i vari disegnatori, registi e sceneggiatori, si alternano, con uno spirito di collaborazione sconosciuto nel nostro paese, portando un po’ ovunque un po’ del loro stile e delle loro acquisizioni modificate ormai nella valenza esperienziale acquistata nei vari studi e nelle varie epoche di propria formazione: molti, specie della Sunrise, provengono infatti dal vecchi studi Tezuka della Mushi, il cui elemento di punta fu il celeberrimo mangaka, non scordiamolo, dei primissimi films Toei accanto al suo fondatore Taiji Yabushita con Sayuki.
Nella Nippon Sunrise, spiccano due autori di particolare valore che spesso lavoreranno assieme: il duo Yoshiyuki Tomino e Yoshikazu Yasuhiko (che spesso si firma con lo pseudonimo di ‘Yas’), i quali, visto che apporteranno progressive innovazioni, contribuirono notevolmente all’evolversi della storia dell’Anime giapponese.
Nel 1973 Nakamura collabora con la neonata Nippon Sunrise a Zero Tester assieme ad altri animatori allontanati dall’ormai fallita Mushi Production. Il character designer, Yoshikazu Yasuhiko, è lo stesso di una precedente serie Mushi di discreto successo, Jane e Micci [Sasurai no Taiyō] (1971); mentre l’ancora non molto conosciuto Yoshiyuki Tomino iniziò a collaborare agli storyboard di Astro Boy e in ultimo di Heidi, fino a firmare la regia di Toriton [Umi no Triton] (1972); dopo il successo del piccolo cavernicolo Kum Kum [Wanpaku Omukashi Kumu Kumu] (1975), i due realizzano nello stesso anno una prima serie robotica con la direzione artistica di Tadao Nagahama intitolata Raideen [Yuusha Raideen].
Yoshiyuki Tomino [Eps. 1-26] firma assieme a Tadao Nagahama [Eps. 27-50] la regia della nuova serie Sunrise differente dai modelli Toei; la serie, risalente nientemeno al 1975, è un successo, tanto che è scelta per i giocattoli dei robot in plastica, anche nei modelli alti 60 cm., assieme a Goldrake e Gaiking, distribuiti in Italia e negli Stati Uniti dalla ditta Mattel.
Dopo il notevole successo di Raideen, Nagahama passa ad ideare nuove serie in coproduzione fra la Sunrise e la Toei, nelle quali si alternano Tomino e Yasuhiko, fra cui, Combattler V [Chōdenji Robo Combattler V], Vultus 5 [Chōdenji Machine Borutesu Voltes V] e General Daimos [Tōshō Daimosu], i quali costituirono un archetipo per il real-robot per eccellenza: Gundam.

(General Daimos – © Nippon Sunrise & Toei Animation)

Saburo Yatsude (o anche Hatte Saburo) è uno pseudonimo collettivo dietro il quale si cela lo staff di artisti che hanno lavorato presso la Nippon Sunrise e anche alla Toei Animation creando diversi Anime di genere mecha e tokasatsu.
Il manga di General Daimos venne scritto da Sauro Yatsude ma fu disegnato da Mitsuteru Yokohama, ciò che si ripeterà nel 1980 per God Sigma. Pochissimi sanno che esiste una serie nipponica di Japanese Spider-Man (interpretato da Shinji Todo) affidata nel 1978 dalla Marvel Com. americana alla Toei Animation, per la quale venne affiancato il robot Leopaldon firmato proprio da Saburo Yatsude che fece la fortuna della Bandai, la società produttrice di giocattoli del Sol Levante, riguardo il supereroe americano e il mecharobot.
Per la Sunrise è la volta del grande successo di Zambot 3 (1977) [Muteki Chōjin Zanbotto 3], serie ideata dai registi Yoshiyuki Tomino e Yoshitake Suzuki, coi personaggi creati del Character designer Yoshikazu Yasuhiko: notasi che il protagonista Kappei, simile più a un ragazzino, somiglia lievemente allo stile ‘spoglio’ e un po’ ‘scherzoso’ del piccolo moccioso Kum Kum; come anche si rileva che si è puntato su un genere molto disomogeneo dai robot Toei, più scherzoso e non curante, anche nel tratto meno marcato e più lineare, per certi versi più realistico e in alcune puntate quasi drammatico oseremo dire; serie relativamente alla quale all’ex collega della Mushi o meglio al suo studio, la Nakamura Pro., viene affidata la puntata 20 [nome orig.: Kessen zen’ya], anche se del maestro c’è veramente poco e niente se non qualche traccia di lui ripassata da qualche Lay-Out, nonché a Nakamura vengono affidate le trasformazioni principali di Zambot 3, ma ripassate in definitivo dai suoi collaboratori.
Ma Zambot diventa una premessa embrionale a una delle serie più straordinarie mai realizzate in Giappone, che segnò un successo senza precedenti rimanendo un simbolo nell’animazione giapponese, Mobile Suit Gundam (1979) [Kidō Senshi Gandamu]; per la quale viene affidata a Kazuo Nakamura parte della lavorazione della serie, dove uno dei più validi collaboratori della Nakamura Pro., Shuji Morimoto [Eps. 14,16,19,24] lo aiuta a realizzare ben 5 magnifici episodi, oltre ai combattimenti armati, a tratteggiare la psicologia del giovane pilota Peter Rei, e alle difficili e più complesse trasformazioni robotiche della straordinaria serie; come anche, agli episodi più impegnativi, ci pensa Nakamura [Eps. 12, 18, 23, 28, 33, 37, 42], alternandosi con altri direttori dell’animazione quali Kazuo Tomizawa, Kazuo Yamazaki, Kazuyuki Suzumura, Manabu Oizumi, Yoshinobu Aobachi e lo stesso Yoshikazu Yasuhiko che firma la prima e altre importanti puntate della sua serie.

(Mobile Suit Gundam – © Nippon Sunrise)

Come, sempre alla Nakamurra Pro., vengono affidate alcune puntate e sequenze [Eps. 21, 27] de L’invincibile robot Trider G7 [Muteki Robo Toraidaa Gi Sevun], prodotto dalla Sunrise nel 1980 dopo il successo di Gundam, sulla scia iconografica di Daitarn III, serie nella quale il giovane Watta è una rielaborazione più seria di Kappei e più scherzosa di Banjo; Nakamura per quanto senza troppo impegno traccia le numerose trasformazioni animate robotiche del Trider (ripassate in definitivo poi dai suoi collaboratori), adeguate esse alle esigenze delle agenzie che fanno da sponsor cercando giocattoli sempre più adatti ad una linea tecnologica in evoluzione.

(L’imbattibile Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Il successo Sunrise: Daitarn III

Ma torniamo all’anno prima: precisamente a L’imbattibile Daitarn III [Muteki kōjin Daitān 3], creato da Yoshiyuki Tomino nel 1978 poco prima di Gundam; serie che stranamente non godette di molto successo in patria ma divenne uno degli eroi più amati nel nostro paese.

(L’imbattibile Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Avrete senz’altro notato come Haran Banjo possiede una grafica lievemente scherzosa, quasi noncurante, specie nelle espressioni irregolari del viso; come d’altronde buona parte delle serie Sunrise, come anche il gigantesco robot che spesso assume durante il combattimento delle modifiche facciali, serie e scherzose, non presenti nelle produzioni Toei.

(L’imbattibile Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Avrete altresì notato come specie nella prima puntata e in altre, le quali si ricordano per maggior drammaticità nelle inquadrature e cura nelle animazioni, il personaggio di Banjo sia molto più “serio” e molto dissimile da modulo consueto, come anche il Daitarn sia improntato molto più seriamente, specie durante la trasformazione della Mach Patrol all’interno del gigantesco robot: ebbene tutto ciò proviene dalla geniale mano di Nakamura.

(Lord Sandrake e Haran Banjo – © Nippon Sunrise)

Prendiamo il 1° episodio: Arriva Banjo [Jap: Demashita! Haran Banjoo], notiamo che il protagonista Haran Banjo (per quanto leggermente più in caricatura rispetto ai models Toei) è estremamente realistico; occhi “orizzontali” e grandi, un po’ alla maniera di Hiroshi; naso ben fatto e a punta, vedi anche quello di Tetsuya; spesso la parte centrale, anziché laterale, del naso è segnata a tratteggio (un’altra caratteristica è spesso che, con le ombre, contrariamente agli altri animatori, questa parte centrale è scura e quella laterale è chiara); le guance sono volumetriche e trattate a lieve chiaroscuro; i capelli e le punte corvine sono lunghe e ben studiate nella loro disposizione.

(L’imbattibile Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Per quanto manchi il realismo di Jeeg (i personaggi spesso presentano una struttura meno realistica ma accentuati da lievi deformazioni, come ad esempio le gambe snelle e allungate, più vicine a un design moderno), essi sono costruiti con molta anatomia, ben evidenziati nelle zone chiaroscurali, perfino sfumate con forti contrasti e con accenti quasi da fumetto; ombre segnate sotto al collo e alle pieghe dei vestiti, simili a tratti a china, spesso incrociati, elaborati a matita e spesso per quanto riprodotti a Xerox “graffiati” in fase di lucidatura definitiva su cells.

(L’imbattibile Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Haran Banjo, che riecheggia un po’ James Bond, è contornato da due belle ragazze, una bionda e una castana, molto diverse fra loro: la svampita e sexy che ricorda Marilyn Monroe, Beauty Tachibana, e l’affascinante ex agente segreto dell’Interpol, Reika Sanjo.

(Un confronto fra le due versioni di Nakamura: Tetsuya Tsurugi e Haran Banjo – © Toei Animation, Nippon Sunrise)

Il veicolo di Banjo si modifica: in configurazione “Auto” è apparentemente una semplice auto e in configurazione “Aerosistema” esso si trasforma in aeromobile. La Mach Patrol di Nakamura, si noti, non è dissimile dai suoi Big Shooter o alle portentose auto da corsa guidate da Takaya Todoroki.
La Daitarn Astronave che arriva frontalmente da molto lontano per poi avvicinarsi: vedi l’animazione analoga del Big Shooter. Qui il segno è mantenuto forte, grafico, perfino contiene i tratti dell’abbozzo, e sono evidenziate le linee del movimento.

(Il segno a getto di Nakamura della prima puntata di Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Alcuni movimenti, dovendosi trattare di macchinari robot, sono ottenuti attraverso lo spostamento diagonale dell’inquadratura cinematografica, mentre altri, animati direttamente a mano; le mani con le nocche evidenziate dai guanti da pilota di Haran Banjo molto in stile Nakamura, sono molto simili a quelle dei successivi protagonisti di Voltron.

(Il Big Shooter e la Mach Patrol di Nakamura – © Toei Animation, Nippon Sunrise)

Questa serie ha un impatto più grafico di Jeeg: in Daitarn i tratti che accennano al metallo, spesso sono chiaroscurati in nero anziché schiariti ad aerografo; il percorso interno dell’astronave Daitarn ove è percorso dalla Mach Patrol aeromobile, somiglia molto all’interno della Base antiatomica nei cui sotterranei scorre il Big Shooter fino ad uscire dall’acqua; come i vari “percorsi” interni, spesso arcuati e circolari, percorsi in velocità e in angolature prospettiche dai due veicoli con tutte le linee di forza che ne susseguono, animate le quali convergono esse in prospettiva fra loro.

(Un confronto: Amaso e Yara di Nakamura – © Toei Animation, Nippon Sunrise)

Come tutto il resto della trasformazione in robot, dagli alettoni, agli arti, alle gambe movibili, sono realizzate con un realismo impressionante; movimenti tecnici e articolati, basati su alcuni modellini giocattolo originali che fanno da base per le difficili trasformazioni animate nelle quali Nakamura si è di volta in volta egregiamente cimentato.
Spesso vengono evidenziate anche nel Daitarn le varie linee d’aria, le quali accompagnano i movimenti rendendo il robot perfino più realistico, come nel potente megaborg Lord Sandrake, esse si evidenziano quando questi arma la mazza ferrata modificata nelle varie fasi in tutte le sue variazioni prospettive in animazione.

(L’imbattibile Daitarn III – © Nippon Sunrise)

Uno degli episodi realizzato da Nakamura, dal design elaborato e realistico, è 4° episodio: L’energia tutta per me [Taiyoo wa ware ni ari]; mentre, ad esempio, nell’episodio 8°, Yara, la donna Meganoide [Honoo no sensha ni chiru jiira], Nakamura dà ottime possibilità rievocando con uno stile lievemente più scherzoso, (vedasi le proporzioni dei personaggi lievemente meno realistiche) con il Comandante Yara alias Marina, che riecheggia per stile persino i mostri dell’Impero Yamatai di Jeeg Robot, precisamente il ministro Amaso rielaborato nelle forme rocciose dell’imponente megaborg, il quale possiede anche un non so che della Regina Himika di Kazuo Nakamura.

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

Il primo robot americano: Voltron sbarca negli Stati Uniti

Prima di parlare di come si è generato il successo televisivo di Voltron negli Stati Uniti d’America, che grazie a Kazuo Nakamura ha aperto le frontiere all’Anime giapponese tracciando la strada per i futuri Transformers, bisogna ricordare com’è nato il primo, Beast King GoLion [Hyakujūō Goraion].

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

In realtà, prima di Voltron, l’animazione giapponese era già approdata con discreto successo negli USA con una serie animata di 130 episodi intitolata Force Five, in onda su alcune reti locali statunitensi della East coast fra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ’80. Negli Stati Uniti, questa serie è apparsa in primo luogo solo nel New England e in Virginia, anche se ha fatto brevi apparizioni in altre parti, come Dallas, Texas e San Jose, California. E’ stata anche mostrata a Toronto, in Canada. La trasmissione era prodotta da Jim Terry e dalla sua compagnia di produzione, la Jim Terry Productions, Inc., e consisteva in cinque serial d’importazione giapponese dei robot giganti (prodotti originariamente nella metà degli anni 1970 dalla Toei Animation ) in risposta alla popolarità degli Shogun Warriors, la collezione di giocattoli di cui, in realtà, la Mattel è stata uno degli sponsor.
La serie, ottenuta montando insieme 26 episodi presi da cinque diversi Anime giapponesi e trasmessa dal lunedì al venerdì, con un episodio di ciascuna serie al giorno, era composto dai seguenti titoli (titolo statunitense e tra parentesi quello originale):
Gaiking [Daiku Maryū Gaiking], Planetary Robot Dangard Ace [Wakusei Robo Danguard Ace], Starvengers [Gettā Robo G], Grandizer [UFO Robo Gurendaizā], Spaceketeers [SF Saiyuki Sutājingā].
Originariamente, al posto di Spaceketeers/Starzinger era prevista la messa in onda del Grande Mazinga, ma gli accordi per l’acquisto di questa serie fallirono e così fu sostituita con Starzinger.

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

Ma torniamo a Golion/Voltron. Avevamo in precedenza accennato agli autori che si firmano sotto lo pseudonimo di Saburo Yatsude, i quali idearono dapprima il robot Daltanious [Mirai Robo Darutaniasu] (1979), per la regia di Tadao Nagahama, una coproduzione Toei Animation/Sunrise, molto più vicina allo stile di quest’ultima, realizzata poco prima della scomparsa del regista: Nagahama è morto nel ’80 a causa di un virus contratto durante un viaggio oltreoceano, che aveva contagiato anche la moglie la quale invece è sopravvissuta.
Successo a cui fa seguito God Sigma [Uchū Taitei Goddo Shiguma], (1980), serie realizzata dalla Academy Seisaku per la Toei Animation.
Alla Nakamura Pro. viene affidata la difficile trasformazione (per quanto poi ripassata in bella dai suoi collaboratori) dei robot Antares e Beralios nel composito robot Daltanious, con la parte centrale del corpo a forma della testa di leone; mentre, per la successiva serie, visto che i robot Bandai venivano ideati con sempre maggiore sofisticatezza prima che gli sponsor finanziassero la serie, accadde la stessa operazione: sempre a Nakamura è affidata l’originale della trasformazione nel gigantesco robot dove le gambe sono asimmetriche nel disegno e nei colori poiché formate da due diversi automi, fino al principale veicolo pilotato da Toshiya che formati i tre robot sono unificati in God Sigma.

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

Nel 1981, la Toei Animation Co. porta a termine la serie di 52 episodi, Beast King GoLion [Hyakujūō Goraion], il cui character designer è ancora una volta Kazuo Nakamura. Molto diversa, però, stavolta da Jeeg anche per le varie influenze nel design delle ultime produzioni robotiche dovute agli sponsor, i quali impongono modelli sempre più sofisticati e moderni.
Gli autori sono sempre lo staff di Saburo Yatsude; la regia principale è affidata a Hiroshi Sasagawa, famoso regista degli Anime Tatsunoko; e la direzione dell’animazione è affidata a Nakamura e al suo studio, che ormai vanta molti dipendenti, la Nakamura Pro.
Lontani sembrano i tempi di Jeeg Robot, qui vi sono tutti gli elementi per sfondare con un nuovo successo televisivo e commerciale, compreso il nuovo mecha robot composto dall’assemblaggio di macchine a forma di cinque leoni.
I personaggi, se pur spersonalizzati dalla grinta del maestro, risentono abbastanza dello stile originale di Nakamura, ora modernizzati e resi più aderenti a un linguaggio che preannuncia una “globalizzazione”: segno più nitido, personaggi meno nipponici, atmosfere più all’americana.

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

Come ancora, seguendo la precedente evoluzione, i protagonisti sono cinque (nome statunitense seguito tra parentesi da quello originale): Keith [Akira Kogane], Hunk [Isamu Kurogane], Sven [Takashi Shirogane], Pidge [Tsuyoshi Seidou], Lance [Hiroshi Suzuishi]; la Principessa Aurora [Fara Hime], occidentalizzata perfino rispetto ai precedenti modelli giapponesi di protagoniste femminili, e Koran [Raydeel], che sostituisce il vecchio stereotipo dello scienziato delle serie Toei col più moderno maggiordomo consigliere delle serie Sunrise, come Garrison di Daitarn III in versione più seria; fra i nemici, Re Zarkon [Imperatore Tai Bazaal], il Principe Lotor [Synkrain], la Strega Haggar [Honesha], Yurak [Sadak]: una serie di cattivi, per alcuni aspetti più umanizzati ma molto caratteristici come personaggi che si rivelano un’ottima commistione fra i nemici della Sunrise più umani e i mostri della Toei Animation.

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

L’idea di GoLion viene allo stesso Nakamura, che già aveva tracciato le basi delle animazioni-chiave delle trasformazioni dei precedenti robot quali Daltanious e God Sigma: un moderno e sofisticato esemplare, non più con un corpo centrale con la testa da leone come in Daltanious ma bensì formato da cinque leoni, unendo l’idea di robot leggermente diversificati e di colori diversi come in God Sigma: un super robot GoLion, che ha fatto svoltare il mercato dei giocattoli giapponesi, dopo gli anni ’70.
Stavolta la tecnica, per quanto vista oggi è molto artigianale, all’epoca appariva come una clamorosa novità: vi sono assemblate molte lavorazioni; i campi energetici attorno ottenuti a dermografica bianca e colorata da retro, con una velatura sovrastante d’aerografo, i quali fluiscono ad intermittenza attorno ai leoni durante le metamorfosi in robot; gli arti meccanici che ritraendosi, lanciano dei bagliori (ottenuti in doppia impressione); tocchi di dermografica bianca sui corpi per definirne il metallo; aerografatura lievemente scura lungo gli arti per dare rilievo ottenendo maggior volumetria (effetto meno ricercato negli Anime precedenti perché difficile da ottenere nell’amalgama del movimento e perfino stancante). Spesso l’animazione della trasformazione è accompagnata da forti linee orizzontali parallele tracciate sottostantemente al robot componibile a matita grassa; i leoni robot si compongono, oltre alle gambe anche agli arti, mentre le braccia, innestandosi sino al punto di congiunzione, creano l’effetto a negativo (ripetendo il disegno e colorandolo, invertendo a rovescio positivo/negativo i colori e ripreso per pochi fotogrammi a intermittenza) dove i diversi colori rosso/verde, giallo/blu, bianco/nero creano ottimi spunti per l’effetto d’inversione tonale.
Come dal leone nero, il principale, trasformandosi, dalla testa fa emergere il viso della nuova creazione Toei; dagli occhi partono linee in prospettiva intersecate con sfere aerografate, vedi la precedente esperienza di Daitarn III, vedi anche il palato dei leoni robot con le linee che scorrono all’interno (caratteristica tecnica di cui ho già accennato), che riecheggia l’esperienza alla Mushi in Kimba, come del resto anche quando corrono al suolo frontalmente i cinque leoni. Animazione composta da una serie d’effetti finalizzati alla trasformazioni, che se avrete notato, fanno parte di tutti gli effetti speciali e grafici del grande Kazuo Nakamura.

(Beast King GoLion – © Toei Animation)

Successivamente (1981-83) verranno creati i tre Anime che origineranno l’adattamento americano Voltron. Lo staff di Saburo Yatsude ha firmato il soggetto di tutte e tre le serie prodotte dalla Toei Animation e precisamente: Golion [Hyakujūō Goraion] (1981), regia di Hiroshi Sasagawa; Dairugger XV [Kikō Kantai Dairagā Fifutīn] (1982), regia di Kozo Morishita; e Arbegas [Kōsoku denjin Arubegasu] (1983), regia di Kozo Morishita e Masayuki Akehi.
Inizialmente prodotto da una joint venture tra la World Events Productions e la Toei Animation, la serie TV originale è in onda in syndication dal 10 settembre 1984 al 18 novembre 1985. Il programma è stato intitolato Voltron: Defender of the Universe.
La serie originale è stata creata da Peter Keefe nel 1983 utilizzando materiale che aveva concesso in licenza da cartoni animati giapponesi, Anime quali Beast King GoLion e Armored Fleet Dairugger XV. I produttori non avevano alcun mezzo per tradurre la serie giapponese in inglese, quindi hanno ipotizzato le trame, adattato con diverse modifiche la storia, i nomi originali, e creato nuovamente il dialogo, modificando le scene più violente e aggiungendo il remix audio in formato stereo.
La serie è stata un immediato successo negli Stati Uniti, superando il mercato syndication per i programmi per bambini a metà degli anni ‘80.
La serie Voltron è composta dai 52 episodi originari della serie Hyakujūō Goraion, dai 52 episodi della serie Kikō kantai Dairugger XV, e da altri 20 episodi di Golion realizzati dalla Toei nel 1984 appositamente per il mercato occidentale su commissione della World Events, per un totale di 124 episodi divisi in tre stagioni. Nei piani dell’editore americano la serie avrebbe dovuto ricomprendere anche un terzo anime, Kosoku denjin Arubegasu (Arbegas), ma il minore successo di pubblico ottenuto con la seconda stagione della serie, ricavata da Dairugger XV, convinse gli autori a desistere e a commissionare i nuovi episodi di Golion alla Toei.
Voltron: The Third Dimension, un remake della serie originale, è stato fatto nel 1998 con immagini generate al computer.
Nonostante che la serie Voltron riunisca due serie, il robot di Nakamura diventa un simbolo per gli americani, aprendo poi la strada ai successivi robot di coproduzioni giapponesi e americane, come Transformers, e a vari sequel, film 3D e nuove serie cult.

Altre produzioni della Nakamura Production

La Nakamura Production è situata a Tokyo ed è tutt’oggi attiva con circa 80 dipendenti. La produzione artistica di Kazuo Nakamura e della sua Nakamura Production è ormai sterminata; occorrerebbe ancora troppo spazio per segnalare la sue realizzazioni e collaborazioni ma basterà ricordare, en passant, i molti dei nuovi episodi di Gundam, come il remake ormai risalente all’’84, mai pervenuto in Italia, della nuova serie di Go Nagai, God Mazinger: l’intera direzione dell’animazione è affidata alla Nakamura Production.
Vari OAV di molti Anime, o anche film per il cinema fra i quali Dragon Ball Z Movie 10, Pokemon: The First Movie, come molti altri special della serie; la versione di Tekken: The Motion Picture, X-Men (TV), e l’animazione per l’Anime series Cowboy Bebop.

(Tekken: The Motion Picture – © Nakamura Production)

A Kazuo Nakamura dobbiamo inoltre le migliori animazioni dei ragazzi in moto di una Tokyo che appare in una sterminata metropoli notturna per il capolavoro di Katsuhiro Otomo, Akira.
E, per la Walt Disney Home Video [accreditato ora come Nakamura Productions] l’affermato studio dell’artista giapponese realizza egregiamente sequel quali, Il ritorno di Jafar (1994), Pooh’s Grand Adventure: The Search for Christopher Robin (1997), Pocahontas II: Journey to a New World (1998), Hunchback of Notre Dame II (2002).

(Akira – © Katsuhiro Otomo)

Voltron: il mito Nakamura in America

La società americana World Event Productions (WEP) ha intentato una nuova citazione legale contro la casa di produzione giapponese Toei Animation per una causa relativa alla proposta del film a live-action del remake della serie Voltron. Nel 1981 lo studio giapponese, Toei Co. ha creato la serie Beast King GoLion [Hyakujūō Goraion], serie Anime di giovani piloti che combattono contro l’impero dei conquistatori alieni con l’aiuto di cinque leoni meccanici che si combinano per formare un robot Toei che ha anche creato un’altra serie Anime televisiva dell’anno successivo con un robot combinato chiamato Mechanized Fleet Dairugger XV [Kikō Kantai Dairagā Fifutīn].
La società americana di comunicazioni di Koplar ha concesso in licenza i diritti di Golion e rilasciato un adattamento ribattezzato con il nome di Voltron: Defender of the Universe. Nel 1984 Dairugger XV in seguito sarebbe adattato sempre sotto il nome di Voltron.
Secondo la società di produzione WEP di Koplar, la Toei e la WEP avrebbero redatto una serie di accordi nel 1985 oltre l’uso di Golion e Dairugger XV, per il franchise su Voltron. La WEP ha prodotto una serie animata in computer spin-off chiamata Voltron: The Third Dimension nel 1998, e una disputa tra WEP e Toei è sorta. La WEP ha intentato una causa contro la Toei nel 1999, ma questa causa è stata risolta nel 2000 con nuovi accordi.
Il 9 agosto 2007, il quotidiano del settore, Variety entertainment industry, avrebbe riferito che la New Regency era vicino a firmare un accordo con The Mark Gordon Company per un film a live-action su Voltron. Secondo una lettera che è stata presentata nel casellario giudiziale, l’amministratore delegato della Toei, Mr. Masayoshi Endo contattò il presidente della WEP Mr. Ted Koplar il 18 gennaio 2008 circa l’articolo della Variety. La lettera diceva in parte:

«Congratulations! We, however, were surprised with the fact that Toei has not been contacted in connection with this movie planning. As you remember, we had a dispute in the past and settled it in 2000, and now we have no dispute for the animation of Voltron or Golion, which are now all yours.
We, however, do not think that the settlement and the assignment made thereunder shall have given you an exclusive right for live-action movie for Voltron. As you know, in our business, animation and live-action are completely different products and traded separately.
We are especially concerned about the marketing of the possible live-action film in Japan, and we expect you would contact us in due course to deal with this matter».

La WEP ha intentato una causa contro la Toei nel febbraio 2008. Nella nuova denuncia, la WEP sostiene che a causa delle richieste della Toei al progetto del live-action film, «New Regency investigated the existence of possible third-party claims in and to the Golion and/or Voltron properties».
La WEP continua: «Through that investigation, New Regency identified an artist or author, Kazuo Nakamura, who may possess rights that encumber the Golion and/or Voltron properties and that interfere with World Events’ full and lawful enjoyment of the Golion and Voltron properties».
Nakamura è stato il character designer di Golion e, quindi, il direttore dell’animazione nella prima serie Voltron.

(Voltron: Defender of the Universe – © WEP/Toei)

Il 17 agosto, la Variety ha rivelato che la New Regency non aveva più in programma di produrre il progetto cinematografico su Voltron e mai avrebbe effettivamente firmato un accordo. Essa ha aggiunto che la New Regency non poteva «wrap up a deal with Voltron’s rights holders [WEP], delaying any further development of the pic».
Secondo i documenti depositati in tribunale dalla WEP, l’azienda «has lost at least one development deal that would have resulted in a live-action motion picture» a causa dei potenziali diritti di Nakamura su Golion e Voltron.
La WEP ha depositato una citazione giuridica che è stata modificata per la Toei. La WEP è alla ricerca di una dichiarazione legale su cui i diritti appartengono a WEP e su cui i diritti appartengono alla Toei o Nakamura.
The Hollywood Reporter riportava la notizia che Charles Roven, Richard Suckle e Steve Alexander dell’Atlas Entertainment hanno acquisito i diritti del film a live-action su Voltron, tratto dalla serie animata della World Event Productions (WEP) con Jason Netter della Kickstart Entertainment.
La WEP ha adattato la serie televisiva nel 1984-1985 da due robot Anime Toei Animation: King of Beasts Golion e Armored Fleet Dairugger XV.

(Voltron: Defender of the Universe – © WEP/Toei)

La New Regency, con la 20th Century Fox a base della società di produzione, una volta negoziato con la WEP e la Mark Gordon Company per il live-action Voltron i diritti nel 2007, tuttavia non avrebbe mai effettivamente firmato un accordo, e altre società sono state autorizzate a negoziare per i diritti.
La WEP disse in una causa nel 2008 che la New Regency scoprì che l’ex character designer Kazuo Nakamura «may possess rights» relativi a Golion e così alla prima serie di Voltron.
Sembra esserci un po’ di luce in fondo al tunnel del live-action su Voltron, che avevamo annunciato circa un anno fa e di cui abbiamo segnalato a fine agosto il passaggio di produzione dalla New Regency, società del gruppo Fox, alla Relativity Media, che nelle settimane successive ha affidato la regia al praticamente sconosciuto Max Makowski.
Riuscirà questo giovane regista nato a Rio de Janeiro a soddisfare le direttive della Relativity Media che, con un budget ridotto, gli chiederà di creare un film dal forte impatto visivo (sulla linea di 300 di Frank Miller) e soddisfare le aspettative dei fan?
La sfida è ardua ma potrebbe essere determinante la sceneggiatura del film che i redattori di ‘Latin Review’, da cui è partita la notizia, i quali lo hanno letto e definito addirittura «un maledetto capolavoro».

(Voltron: Defender of the Universe – © WEP/Toei)

Si dovrebbe trattare dello script di Justin Marks (He-Man, Green Arrow, Street Fighter: The Legend of Chun-Li), che ha riavviato la storia della serie, ambientandola questa volta fra il Messico e una New York devastata da una invasione aliena in cui cinque sopravvissuti si uniscono contro gli oppressori alla guida di Voltron, un enorme robot formato da cinque leoni meccanici.

Lo scorso anno, il progetto passa nuovamente di mano. I nuovi produttori sono Charles Roven (Il cavaliere oscuro), Richard Suckle (The International) e Steve Alexander della Warner Bros, che optano per cestinare tutto quanto prodotto fino ad allora, incluso lo script di Justin Marks, che prevedeva una storia post-apocalittica ambientata tra una New York devastata e il Messico. Qui, cinque sopravvissuti a un’invasione aliena si univano alla guida di un potente robot formato da altrettanti leoni meccanici per contrastare la minaccia extraterrestre.

(Voltron: Defender of the Universe – © WEP/Toei)

Il progetto viene azzerato e affidato a nuovi sceneggiatori e a un nuovo regista (che sostituirà il praticamente sconosciuto Max Makowski). Lo scorso luglio la WEP vende la licenza alla Atlas Entertainment, restando tuttavia coinvolta nel progetto e portando avanti la volontà di completarlo. Videogames e giocattoli vengono pianificati per trainare una nuova serie animata in produzione su Voltron, attualmente intitolata Voltron Force. Il futuro del franchise secondo Jeremy Corray, direttore del reparto sviluppo della WEP, prevede anche una possibile edizione in Blu-Ray per la serie animata storica, una serie OAV dai toni più crudi sul modello di The Animatrix e Batman: Gotham Knight, nuovi comics e tanto, tanto merchandise.
E’ stata recentemente realizzata la serie Voltron Force: 26 episodi, mix di grafica 2D e 3D, prodotti dalla Kickstart di Los Angeles in associazione alla newyorkese Classic Media, un riavvio del famoso franchise degli anni 80 creato negli USA dagli esperti adattatori americani specializzati, proponendo una schermata con il ridisegnato team dei piloti. Lo screenshot, lo vedete, dopo il salto trentennale, il confronto con il vecchio character design, opera di Kazuo Nakamura.
Attualmente pare che il Voltron live-action stia realmente partendo con una nuova, colossale produzione. C’è comunque da dire che Kazuo Nakamura ha veramente cambiato il corso della storia del cinema di animazione mondiale, diffondendo le sue geniali creazioni in tutto il mondo occidentale, nell’UK, fino all’Australia e, varcando l’oceano, egli ha aperto definitivamente la strada al mercato giapponese a tutte le importanti produzioni americane con un incredibile merchandising negli ultimi decenni, diventando, con la Nakamura Production, uno degli studi di fiducia nientemeno che della Walt Disney, il cui regista ha influenzato a livello planetario la storia del cinema d’animazione internazionale: il maestro giapponese Kazuo Nakamura.

Mario Verger

Note:

(1) Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi, Castelvecchi, 1995; Minimum Fax, 2005

(2) Marco Pellitteri, Mazinga nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation 1978-1999, Prefazione di Alberto Abruzzese, Castelvecchi, 1999

(3) Marco Pellitteri, Il Drago e la Saetta, Tunué, 2008

(4) Matilde Tortora, Le donne nel cinema di animazione, Contributi di: Signe Baumane – Massimo Becattini – Paolo Di Girolamo – Ursula Ferrara – Andrea Fontana – Gibba – Marcel Jean – Yves Josso – Regina Pessoa – Julie Roy – Davide Tarò – Matilde Tortora – Nunziante Valoroso – Mario Verger, Tunué, 2010

Mario Verger ringrazia:

Paolo D’Alessandro dell’Associazione Culturale 3dproduction
www.3dproduction.it

Link:

Kazuo Nakamura su Anime News Network

Nakamura Production su Anime News Network

Nakamura Production su IMDb – Internet Movie Database:

Nakamura Production – Official website (Japanese):

Nakamura Production
[Compagnia: Limited company Nakamura production
Fondata: Luglio 1974
Indirizzo: 171-0052 Toshima Ku Minami Nagasaki 5−20−11]



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Ci sono 12 commenti...

  1. Rosario

    Ringrazio Mario per il suo notevole impegno sulla comunicazione che ci consente di addentrarci meglio sul mondo dell’animazione attraverso un’analisi comparativa della tecnica utilizzata. L’articolo evidenzia un’approfondita ricerca sul lavoro e l’arte di Kazuo Nakamura e ci segnala l’animatore R.Ferrari, bravo artista poco conosciuto. E’ interessante questo viaggio nel tempo che ci racconta l’appassionante storia dell’animazione giapponese il suo successo negli Stati Uniti, elementi utili a capire meglio il grande impatto culturale che hanno avuto gli anime in Italia.

  2. luca papeo

    ciao Mario, ti faccio i miei complimenti per questo straordinario articolo, ricco di storia dell’animazione e interessantissime valutazioni tecniche sul modus operandi del mitico kazuo! :)

  3. Domenico

    finalmente qualcuno competente che analizza e scandaglia con precisione
    anatomica e accuratezza nei particolari tutte le fasi e le evoluzioni di una comunicazione, quella degli anime a cavallo degli anni 70/80, che ha segnato il modo di parlare ma soprattutto disegnare per tutto l’occidente ;)

    quanti grazie dovro’ mettere alla fine questo articolo per avermi finalmente donato il gusto di vedere e assaporare da vicino tutte la fasi della creazione dei frames di questi cartoni? ,,
    beh, il risultato e’ stato … “orgasmatico”
    ciao Mario e complimenti Vivissimi e sinceri ;)

  4. Gemini

    Per me Nakamura e’ I’ll piu’ grande direttore dell’animazione (o piu’ semplicemente disegnatore) di tutti I tempi, nessun altro puo’ paragonarsi a lui, lo definisco l’essere supremo..Io stesso lo avevo notato gia’ da tempo in quanto sono un esperto in materia e un suo grandissimo fan. Peccato che in Daitarn 3 abbia realizzato solo 3 episodi (1,4 e 8).Forse perche’ la allora neo Nippon Sunrise non poteva permettersi un genio come lui, affidando I’ll resto degli episodi a disegnatori per nulla all’altezza. Infatti, oggi non riesco ad apprezzare graficamente I’ll Daitarn proprio per gli orrendi episodi realizzati dagli altri disegnatori.In particolare mi riferisco a quelli superdeformati realizzati dall’ormai defunto Yoshinori kanada, come gli episodi n.2, 6, 12, 16, 22, ecc. – veramente inguardabili.I restanti episodi, a parte l’ultimo, presentano un design piatto e senza stile. E’ troppo I’ll divario tra I’ll maestro Nakamura e gli altri disegnatori.

  5. DarkAryn

    p.s. la puntata 19 del grande mazinga, che io sappia prende spunto dall’episodio sceneggiato nel Manga da Ota, indi non dovrebbe essere farina del sacco di Nakamura. :)

  6. Lauraslittlecorner

    Gran bell’articolo. L’ho molto apprezzato. Avevo sempre notato anche io quelle cose, tratti, stili.

  7. Sacha Mariani

    Il più grande d sempre
    Se amiamo gli anime jap degli anni 70 (i migliori) lo dobbiamo anche agli animatori/disegnatori che trasferivano in video le idee e i disegni d Nagai & Co..
    Ma su tutti c’era soprattutto lui che realizzava gli episodi + belli delle serie in cui veniva coinvolto.
    *Ep 19 del Grande Mazinga è proprio del nostro Nakamura

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