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Flesh
regia di Paul Morrissey (USA/1968)
recensione a cura di Fabrizio Fogliato

Flesh (id., 1968) è il primo film girato in totale autonomia da Paul Morrisey; film di cui cura anche sceneggiatura, fotografia e montaggio con il sodale Jed Johnson. Il film che rappresenta anche il primo successo mondiale per la “Factory” di Andy Wharol, venne girato in sei sabati pomeriggio, stette in cartellone per un anno intero in un cinema di New York e fece il giro degli Stati Uniti: costo complessivo dell’operazione: un pugno di dollari, per l’esattezza 3’000. Distribuito in completa autonomia e indipendenza dallo stesso Morrisey, il film arriva in Europa e scoppia il putiferio: a Londra la polizia fa irruzione in una sala e arresta tutti gli spettatori e in Germania sorprende i distributori con un incasso record, il secondo dell’anno dietro a Easy Rider (id., 1969). Perché tutto ciò? Perché Paul Morrisey mette in scena l’uomo “cosificato”, l’oggetto del desiderio, la perfezione anatomica, con una naturalezza, una purezza ed un minimalismo che sconvolgono ancora oggi.

Joe Dallesandro è carne (come recita il titolo) da plasmare, da toccare, da annusare come un oggetto, un soprammobile che sta bene ovunque lo metti: non a caso in ogni inquadratura riempie di emozione lo spazio, colora l’atmosfera e solletica l’istinto. Uomo o donna, giovane o vecchio, amico o sconosciuto, non ha importanza, l’importante è toccare il suo corpo statuario e adorarlo come fosse una divinità dell’antica Grecia (e nel film molti sono i rimandi al culto del corpo dell’Ellade). Il suo corpo non è mai o-sceno (nell’accezzione ellenica, cioè fuori scena), perché è l’attore presente e naturale che dà vita ad ogni fotogramma. È vero, si prostituisce, ma lo fa con una naturalezza e con un’indifferenza simbiotici al fragore e alla confusione delle strade della Grande mela.

Le immagini “pubbliche” della 42ª strada sono il giusto corollario all’interno del quale si muove una società apatica e indifferente. I discorsi non si sentono, coperti dal frastuono del traffico e la solitudine degli individui appare in tutta la sua tragedia. A tale proposito vale per tutte la scena con i due travestiti (uno dei due doppiato nella versione italiana da un allora quasi sconosciuto Vladimir Luxuria), dove il discorso pubblico, animato dall’interesse scopico del gossip, diventa prima discorso fisico (il blowjob), poi reale (il seno nudo di Gloria) ed infine individuale (la lettera). La giornata da “vivere” con l’obiettivo dei 200$ per far abortire l’amica della moglie è lo sfondo necessario per narrare l’oblio dell’esistenza: al termine del film (e della giornata) Joe si ritrova nudo e riverso sul letto come nella prima scena, ma con il capo voltato dalla parte opposta (a destra), come a chiudere il cerchio di un’esistenza ciclica e meccanica, dove anche il vendere il proprio corpo non regala altro che noia (la scena a casa dell’artista).

Nonostante tutto Joe è puro, perché nella sua carne c’è il retaggio e l’essenza del passato, come testimoniano le ripetute pose plastiche ed atletiche cui è costretto a casa dell’artista. Non è contaminato né dal mondo, né dal denaro, ed anzi nell’incontro con David, sembra rendersi conto (per un attimo) della sua condizione, quando afferma: «Chiedere soldi è una punizione per loro e un’autopunizione per me». Per Morrsey quindi, il corpo è “Sacro”, e nonostante sia sottomesso a qualunque degrado rimane unico e insostituibile nella sua nudità, come testimonia la scena di Joe nudo che gioca sul tappeto con il figlio: in un silenzio che parla, l’infanzia e la tenerezza di Joe emergono con tutta la loro potenza, prima di sprofondare nell’inferno che fuori lo attende e dove persino le parole diventeranno inutili, volgari e fastidiose: puro rumore.

Fabrizio Fogliato

 

 

Flesh
Regia, sceneggiatura: Paul Morrissey
Fotografia, montaggio: Paul Morrissey, Jed Johnson
Interpreti: Joe Dallesandro (Joe), Geraldine Smith (Geri), Patti D’Arbanville (Patti), Candy Darling (Candy), John Christian (costumista di Joe), Jackie Curtis (Jackie), Maurice Braddell (l’artista), Geri Miller (Terry), Louis Waldon (David), Barry Brown (ragazzo di strada)
Case di produzione: Factory Films
Rapporto: 1.37 : 1
Paese: USA
Anno: 1968
Durata: 105′

 



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