I tre volti della paura > Mario Bava

I tre volti01

articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale – numero11, gennaio 2009 (pag. 28)

trama

Primo Episodio: Il telefono. Rosy (Michèle Mercier) riceve delle minacce telefoniche da parte di un ex amante appena evaso dal carcere. Per non restare sola, la donna si fa raggiungere da Mary (Lydia Alfonsi), una ex amica che dovrà aiutarla a superare la notte.

Secondo Episodio: I Wurdalak. Durante un viaggio, l’aristocratico Vladimiro d’Urfè (Mark Damon) trova riparo in una casa abitata da una famiglia che sta attendendo il ritorno del patriarca Gorca (Boris Karloff). Il vecchio, partito per dare la caccia ad un vampiro, deve far ritorno entro mezzanotte per dimostrare di non essere diventato a sua volta un Wurdalak. Allo scoccare dell’ora fatidica il cacciatore appare sulla porta di casa ma sarà davvero riuscito a non farsi contagiare?

Terzo Episodio: La goccia d’acqua. L’infermiera Helen Chester (Jacqueline Pierreux) è chiamata a vegliare sul cadavere di una vecchia medium. Mentre attende l’arrivo del dottore, sapendo di non essere vista, la donna sottrae alla defunta un prezioso anello. Ore dopo, nella propria casa, Helen inizia a sentire l’insistente rumore di una goccia d’acqua che continua a cadere. E’ l’inizio di un incubo che la farà pentire di aver sottratto il gioiello.

recensione

Dopo aver inaugurato la grande stagione dell’horror italiano con La Maschera del Demonio, film che gli aprì la strada verso la grande distribuzione oltreoceano attraverso la American International Pictures (AIP), Mario Bava torna al genere con un trittico del brivido che compendia i principali filoni che l’autore frequenterà nel corso della sua ventennale carriera, ovvero il Thriller, l’Horror gotico e l’Horror psicologico. Tre capitoli ambientati in altrettante epoche diverse che gli offrono il pretesto per rappresentare l’uomo che ha paura del proprio simile, ma anche del non-morto e naturalmente della morte.
Come l’opera del debutto che prendeva spunto da Il Vij di Gogol, anche questa volta il regista torna ad attingere alla letteratura romantica dell’ottocento offrendoci nel secondo episodio, quello più celebrato, una versione rielaborata di una novella di Aleksej K. Tolstoj (La famille du Vourdalak, 1847). A ben vedere una storia di vampiri piuttosto convenzionale ma Bava riesce a renderla memorabile lavorando sulla luce e i chiaroscuri, sull’uso dei colori e delle profondità di campo, e naturalmente ottenendo sorprendenti angolazioni di ripresa in set che non concedevano mai ampio spazio di movimento. Al di là delle indiscutibili prodezze stilistiche, anche sul piano della narrazione l’episodio colpisce ancora oggi per la crudezza di alcune scene come quella in cui un bambino vampirizzato chiede ai genitori di farlo entrare in casa. Non siamo ai livelli di Ma come si può uccidere un bambino? di Narciso Ibáñez Serrador, eppure la rappresentazione di Bava colpisce ancora oggi, soprattutto in quella fantastica zoomata in avanti che ci mostra il piccolo in ginocchio, di spalle e con le braccia aperte contro la porta sbarrata.
Mi fermo qui per non cedere alla tentazione di descrivere l’evoluzione di questa sequenza ma vi posso anticipare che soprattutto in questo momento del film il regista riesce con grande maestria a sovvertire ogni aspettativa.
Altra scena piuttosto forte e che nella versione americana (Black Sabbath) circola con un differente montaggio, è quella in cui il vecchio nonno tira fuori da una sacca la testa mozzata del Wurdulak catturato e ucciso. Trofeo che pochi attimi dopo ritroveremo appeso ad un palo situato nei pressi della fattoria. Difficile non apprezzare questo make-up di grande realismo.
I più attenti potrebbero divertirsi ad annotare tutte le somiglianze tra questa storia di Bava e quella raccontata da Stephen King in Pet Sematary ma altrettanto interessante potrebbe essere mettere a confronto il secondo episodio de I tre volti della paura con La notte dei Diavoli cult horror di Giorgio Ferroni tratto dallo stesso libro di Tolstoj.
Facendo un passo indietro e tornando al primo segmento del film, chiariamo prima di tutto le origini. Secondo i titoli di testa, il soggetto de Il telefono è accreditato a Maupassant, ma come ha affermato successivamente lo sceneggiatore Bevilacqua, sia nel caso dello scrittore francese, che in quello di Cechov, tirato in ballo come autore del racconto che ha ispirato La goccia d’acqua, i due celebri nomi servivano solo a “coprirsi le spalle”. Di fatto il primo episodio deriva da un scritto del praticamente sconosciuto F.G. Snyder mentre il terzo sembra essere stato ispirato da un lavoro di P. Kettridge, pseudonimo che cela l’italianissimo Franco Lucentini. Per fugare qualsiasi dubbio vi basterà leggere Dalle tre alle tre e mezzo, racconto incluso nell’antologia dell’Enaudi Storie di Fantasmi.
Nelle mani di Bava e dei suoi sceneggiatori, Il telefono si trasforma in un thriller di grande atmosfera e di un certo interesse soprattutto per l’ardita componente lesbica che traspare dal rapporto tra la protagonista e la sua ambigua amica. Il regista ovviamente suggerisce ma non mostra nulla, ma in America questo episodio è stato completamente epurato da ogni riferimento sessuale e rimontato in chiave fantastica. Una vera e propria opera di snaturazione che l’hanno reso molto più simile ad un episodio de I confini della realtà che al successivo cult baviano Sei donne per l’assassino, film con cui il mini thriller presenta diversi punti di contatto.
Ottime comunque le prove di Michèlle Mercier e Lydia Alfonsi ma bravissimo anche Elio Pandolfi che doppia la voce sussurrata che sentiamo attraverso la cornetta telefonica.
Se nel primo episodio il terrore si scatenava per mezzo di squilli del telefono che spezzavano il silenzio della notte, nel terzo i nervi della ladra protagonista vengono messi a dura prova dall’incessante cadere di una goccia che fuoriesce alternativamente da alcuni rubinetti sparsi per la casa. Ronzii di insetti, finestre che sbattono e improvvisi blackout provocati da un temporale, sono gli altri elementi che contribuiranno a spingere l’immorale infermiera verso la più totale alienazione. Parlando delle idee che hanno condotto allo sviluppo di questa storia, Bevilacqua ricorda ancora le primissime indicazioni del regista : “Voglio qualcosa che possa esprimere lo stato d’animo di una persona che torna a casa, una casa in cui vive sola, perché non ha nessuno. Lei torna a casa verso l’una, e quando si trova in penombra, la casa gli dà sempre l’impressione di essere come un amante, o una moglie, o un bandito che l’aspetta. C’è sempre un brivido quando ci si trova in questa situazione. Voglio che in quella casa ci sia questo brivido, che acquisti forma e naturalmente, più riesci ad allungarla meglio è” (Kill Baby Kill!).
Questo piccolo horror psicologico con struttura circolare era l’episodio del film in cui Bava si sentiva maggiormente rappresentato. Sicuramente riporterà alla memoria dei cinefili le migliori prove di Polanksi, a cominciare da L’Inquilino del Terzo Piano (altra pellicola in cui il finale ci riporta all’inizio della storia).
Attrice molto apprezzata dal regista, Jacqueline Pierreux (nota anche per essere la madre di Jean-Pierre Léaud, l’Antoine Doinel di François Truffaut) dopo questa partecipazione si distaccherà dal cinema tornando solo in occasioni sporadiche.
Nei panni della medium che terrorizza la protagonista c’è invece una semplice comparsa con il volto celato da una impressionante maschera creata da Eugenio Bava, padre di Mario con un passato da operatore e addetto agli effetti speciali.
Altro elemento che ha contribuito alla fama de I tre volti della Paura sono i monologhi di Boris Karloff che nella versione originale italiana aprono e chiudono la trilogia. Con la divertita complicità dell’attore che nel film recita anche nel ruolo del nonno dei Wurdalak e all’epoca era di nuovo sulla breccia grazie ai gotici di Roger Corman (The Raven, The Terror), il regista inventa infatti uno dei finali più sorprendenti e beffardi della storia del cinema, un epilogo dal sapore Pirandelliano con cui viene svelato senza alcun pudore l’arteficio della messa in scena. Anche in questo caso non scendo nei dettagli ma è comunque utile sapere che la scena è stata improvvisata direttamente sul set perché secondo Bava c’era eccessivo pathos nell’ultimo episodio e, dopotutto, era più “onesto” ricordare allo spettatore che nulla di quanto gli era stato mostrato doveva essere preso troppo sul serio.
Nella versione americana Karloff introduce purtroppo anche il secondo e il terzo episodio. Il tono ironico adottato dall’attore nei due siparietti sembra coerente con il gran finale ideato da Bava ma è anche vero che ne mitiga l’effetto.
Quanto alla colonna sonora di Roberto Nicolosi a Bava non piaceva molto. Almeno così dice il figlio Lamberto negli extra presenti nel dvd. Vero o no, gli americani gli hanno dato comunque ragione perché nella loro versione l’hanno completamente rimossa.
Per restare in tema musicale, proprio dal titolo americano dei I tre volti della Paura, il gruppo dei Black Sabbath ha tratto il proprio nome.

la critica ufficiale

“Insolita trilogia del fantastico, che tenta registi diversi, dal gotico al parapsicologico al thriller. Formalmente molto curato, e con momenti di autentica supense (specie nei primi due episodi). (…)”

Voto: ***

IL MEREGHETTI

“Capolavoro riconosciuto di Mario Bava con tanto di Boris Karloff nei panni del nonno vampiro in un episodio tra da I Wurdulak di Tolstoj. Ma gli altri due episodi non erano da meno. (…) Come ricorda con amore Joe Dante, “I suoi floridi movimenti di macchina e il suo schema di luci stilizzato hanno influenzato innumerevoli filmmakers, da Argento a Scorsese; mentre il suo sorprendente uso dei colori lo identifica come uno dei pochi registi di film a colori, piuttosto che di film cui capita di essere a colori”. Uscito in USA come Black Sabbath, distribuito dalla AIP e lanciato come veicolo per Boris Karloff che era in auge dopo una serie di film con Roger Corman, è il cult di intere generazioni di registi e cinefili.”

STRACULT di Marco Giusti

I tre volti della paura

Censura: Film per tutti; Anno: 1963; Durata: 89′; Regia: Mario Bava; Sceneggiatura: Marcello Fondato (sceneggiatura), Alberto Bevilacqua (sceneggiatura), Mario Bava (sceneggiatura), Ugo Guerra (sceneggiatura – non accreditato); Interpreti: Michèle Mercier, Lydia Alfonsi, Boris Karloff, Suzy Anderson, Mark Damon, Glauco Onorato, Rica Dialina, Massimo Righi, Jacqueline Pierreux, Milly Monti, Harriet Medin, Gustavo De Nardo; Fotografia: Ubaldo Terzano; Musiche: Roberto Nicolosi; Produzione: Emmepi Cinematografica / Galatea (Roma), Sociéte Cinématographique Lyre

il dvd

Produzione: Sinister Film; Distribuzione: Cecchi Gori Home Video; Codice Area: 2; Visto Censura: Film per tutti; Tipo DVD: 9 – Singolo lato, doppio strato; Audio: Italiano Dual mono; Sottotitoli: Italiano; Formato Video: 1.85:1 Anamorfico. Extra: Documentario: I trucchi del Maestro, Scene inedite, Spot televisivo, Trailer Cinematografico USA, Trailer Cinematografico Italiano, Intervista a Lamberto Bava, Intervista a Carlo Rustichelli, Intervista a Cameron Mitchell, Intervista a Mary Arden, Commento di Lamberto Bava e Luigi Cozzi, Colonna sonora di Roberto Nicolosi, Gallerie fotografiche, Booklet fotografico.

Note: Difficile fare di meglio. Ottima la resa video e copiosi gli extra. Tutte le interviste sono interessanti ma se volete ridere non vi potete perdere quella con il simpatico Cameron Mitchell. Imperdibile per ogni fan il documentario I trucchi del maestro che ripropone una vecchia partecipazione di Bava alla trasmissione di Luciano Rispoli “L’Ospite delle due” (1974). Oltre al regista intervengono Carlo Rambaldi, l’attrice Silvia Monelli e il critico Gianfranco Angelucci. Da seguire con attenzione anche il commento audio di Luigi Cozzi e Lamberto Bava.



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