Articolo pubblicato su RC NUMERO14 | maggio’09 (pag.26-33)
Il Mondo di Bruno Bozzetto
di Mario Verger
Prima parte: Bruno Bozzetto cinematografico
Bruno Bozzetto emerse subito poiché, giovanissimo, mandò un film al Festival di Cannes e vi fu un corrispondente italiano che scrisse: “Bozzetto meglio di Sophia”. La notizia rimbalzò su tutti i quotidiani italiani ed il suo nome divenne immediatamente famoso. Non trovo migliori parole per descrivere come questo straordinario autore si impose, appena ventenne, sulla scena del cinema di animazione internazionale capovolgendo completamente – ma mantenendone ugualmente i canoni – quello che era stato fino ad allora il cartone animato in Italia.
Era il 1958. Ed il film di cui parlo è Tapum! La storia delle armi, girato in 16 mm dal giovane Bozzetto, adoperando l’asse da stiro di sua madre, ‘riadattato’ a verticale con quintali di scotch che sorreggevano la cinepresa.
Tapum! metteva immediatamente in evidenza quell’ottica ironica e pessimista che accompagnerà la visione di Bozzetto durante tutta la sua carriera. La “storia delle armi” altro non è che la storia dell’evoluzione degli esseri umani basata sulla prevaricazione dell’individuo sui propri simili. In questo variato excursus sulla volontà di dominio e sul “progresso”, Bozzetto raccontò l’evoluzione umana nella sua innata tendenza catastrofica, dalle origini fino alla sua distruzione, per ricominciarne daccapo il processo.
Graficamente, il giovane Bozzetto si distinse immediatamente per il suo stile straordinariamente efficace e personale. I suoi disegni, pur essendo sapientemente stilizzati, si accompagnano sempre ad una gran freschezza d’espressione, poiché privati di ogni appesantimento stilistico, rendendoli “aerei” e spensierati senza che lo spettatore si senta condizionato da alcuna leziosità di contorno e forme.
Bozzetto, pur mantenendo alcuni elementi di semplicità dello stile italiano dell’epoca, si affacciò direttamente verso le nuove tendenze americane degli U.P.A., che avevano ideato uno stile molto più “asciutto” e geometrizzato per adattarlo ai costi ridotti di stop animation.
L’animazione in Italia fino ad allora era stata quella di Domeneghini, dei Pagot, di Rubino, di Gibba, ossia, si nutriva di quelle caratteristiche iconografiche di Biancaneve e i sette nani di Disney, “infarcite” di tutta la tradizione della pittura italiana del primo Novecento. E’ il caso di ricordare, però, che dal primo lungometraggio, Disney, o sarebbe meglio dire “la Disney”, era andata di gran lunga avanti: aveva visto la guerra e dopo i diversi successi riscontrati con Pinocchio e Fantasia aveva conosciuto anche la crisi; una crisi non tanto artistica quanto economica. Disney aveva assaporato gli scioperi per i salari considerati troppo bassi dai suoi dipendenti e contemporaneamente i costi dell’animazione erano aumentati a dismisura. Nel 1953, infatti, uno dei veterani della Disney, Ward Kimball, diresse il primo cortometraggio sperimentale in cinemascope, Toot, Whistle, Plunk and Boom, una storia molto rapida della musica – dalla preistoria a quella contemporanea – ed è proprio questo il film al quale il giovane Bozzetto si ispirò. Un’altra questione da chiarire è il grande fascino che Bozzetto subì da Disney e dalla sua Arte. Spesso si è sentito parlare di Bozzetto come “l’anti-Disney”, dando per scontato, evidentemente, che il regista milanese fosse in netta antitesi col Mago di Burbank, o, peggio ancora, non ne condividesse né idee né concetti. Tale equivoco, poi intelligentemente strumentalizzato per cercare di creare una ‘scuola’ italiana alternativa a quella d’oltreoceano, era nato quando Massimo Maisetti, uno fra i massimi studiosi di cinema d’animazione contemporaneo, pubblicò nel 1974 il saggio Bruno Bozzetto: l’anti-Disney.
In questo scritto, Maisetti aveva parlato peraltro di come Bozzetto si rifacesse direttamente al Disney di prima maniera di The Kondike Kid, che a sua volta si ispirava a La febbre dell’oro di Chaplin. Maisetti, infatti, spiegò che Bozzetto tende ad un discorso in cui la battuta non è mai fine a se stessa, ma conduce ad una riflessione realistica sull’uomo (1). In questo, Bozzetto pare estremamente vicino a Disney. Entrambi orientano le proprie tematiche sugli esseri umani e sulla loro maniera di agire; mentre Disney li rende “interpreti”, facendone emergere sentimenti, vizi e virtù, Bozzetto preferisce dirigerli dall’esterno, come un osservatore solitario che guarda minuzioso lo svolgersi di una scena da lontano. Entrambi, però, non fecero altro, l’uno, con la voglia di muovere l’anima degli attori disegnati e l’altro, con divertito sarcasmo, di mettere in evidenza le caratteristiche più intime dell’umanità.
Che Bozzetto sia di Disney un grande ammiratore ed i suoi film siano del grande Disney i diretti discendenti in chiave riletta, lo si intuisce con evidente facilità.
Io sono un misto di Walt Disney e Mc Laren, aveva detto Bozzetto nel 1986, e questi sono due personaggi assolutamente antitetici. Non si può stabilire con chiarezza da che cosa si viene influenzati, si ricevono degli stimoli e quelli più nuovi ti colpiscono soprattutto se ci si rende conto che sono alla nostra portata e che possiamo “farli” anche noi; quando invece ci troviamo di fronte a qualcosa di enorme
ci spaventiamo. Perciò consiglio sempre di non copiare Walt Disney (2).
Bozzetto, che si trovò a Cannes nel 1958 con Tapum!, ebbe modo di stringere amicizia con McLaren, il celebre maestro d’animazione canadese, con cui condivise quella geniale freschezza e spontaneità che caratterizzavano alcuni dei suoi primi film. Come ho detto – e fu lui stesso a confermarmelo – Bozzetto “partì” da Disney.
Inoltre, fin da giovanissimo guardò subito a ciò che offriva la scena internazionale: apprezzava Disney, amava McLaren, conosceva il cinema di Yoji Kuri; voleva, in poche parole, divenire ‘universale’. L’anno successivo, pur non avendo ancora iniziato un’attività professionale, andò in Inghilterra seguendo dei corsi di animazione tenuti da John Halas, il quale, notando le qualità del giovane e già conosciuto regista (Tapum nel frattempo aveva ricevuto diversi premi e consensi in ambiti internazionali) gli produsse La storia delle invenzioni (1959).
Per certi versi simile, ma più articolato e maturo, il nuovo film di Bozzetto appare molto più vicino al suo stile definitivo. Più che una storia del progresso, Bozzetto spiegò come i processi innovativi e le ideazioni nascano spesso da circostanze fortuite. Curioso il finale in cui l’uomo solo, in mezzo al caos cittadino, sogna un pianeta per stare lontano dalle sue invenzioni.
Prima di passare all’attività professionale di Bozzetto, ritengo sia il caso di ricordare alcuni suoi film giovanili.
Bozzetto si appassionò, sin da quand’era studente al liceo Beccaria di Milano, di cinema dal vero. Realizzò diversi cortometraggi a passo ridotto, con protagonisti amici e compagni di scuola. Spesso e volentieri succedeva che per averli a disposizione era molto difficile, tanto che decise di avere i suoi attori come e quando voleva, “disegnandoseli da sé”.
E’ del 1953, infatti, il suo primo film, un Donald Duck cartoon disegnato dapprima su un semplice quaderno a quadretti e successivamente ripreso con una cinepresa otto millimetri. Interessante è la scelta del papero disneyano di cui si intravede la preferenza con Topolino che, al contrario, è privo proprio di quei ‘difetti’ su cui Bozzetto baserà le sue tematiche, preannunciando in tal modo, anche se in forma ancora latente il famosissimo personaggio del signor Rossi.
Del 1957 è Fantasia indiana che in modo ancora rudimentale annunciava le parodie western bozzettiane, come nei Caroselli di Unca Dunca, e di West and Soda. Oltre ad una parentesi dal vero, durata per tre anni, con Il cerchio si stringe, Piccolo mondo amico, I gatti che furbacchioni e Filo d’erba, nel 1958 Bozzetto tornò all’animazione, stavolta con Tico-Tico, un micrometraggio inciso direttamente su pellicola 16 mm., e Partita a dama, realizzato a ritagli. In entrambi si intravede come Bozzetto avesse già appreso molto da McLaren.
Se il primo ricorda, infatti, Blinkity-Blank, il secondo non è dissimile di Rythmetic (entrambi del maestro canadese) in cui l’animazione di ritagli gioca molto sull’attenzione dello spettatore. Ma già in Partita a dama, le pedine, muovendosi da sole, hanno modo di mostrare la loro rivalità, giocando sull’antitesi umana esprimendo le problematiche che Bozzetto svilupperà di lì a poco.
Con il 1960 il regista milanese iniziò la sua attività professionale fondando la Bozzetto Film.
Il personaggio del signor Rossi, protagonista di una numerosa serie di cortometraggi, nacque a quanto pare abbastanza casualmente: Il signor Rossi è la caricatura di un signore che era allora il direttore del Festival del Film Artistico di Bergamo, raccontò Bozzetto, Egli rifiutò al Festival un mio film mentre in Selezione avevo visto dei film ben peggiori del mio. E’ così che nacque un Oscar per il signor Rossi, che è la storia di un uomo che, dopo aver visto il suo film rifiutato ad un festival, taglia, graffia, scarabocchia la pellicola e il film così ridotto vince l’Oscar (3).
E’ interessante notare che in Un Oscar per il signor Rossi, la mascotte bozzettiana è ancora in uno stato rudimentale, non avendo ancora acquisito quella sicurezza da “star” conferitagli nei film successivi: egli infatti è un omino piccolo, sperduto, paragonabile quasi al primo Mickey Mouse, a cui mancavano ancora guanti e vestiario.
Bisogna anche notare che, se il signor Rossi non era ancora diventata la creatura numero uno di Bruno Bozzetto, già aveva le carte in regola per esserlo: era la versione italiana sia dell’ispettore Clouseau della Pantera Rosa, sia di Gustavo dell’ungherese Jozsef Nepp. In una sola parola, Bozzetto aveva trovato la traduzione in lingua italiana di un vocabolario universale. Anche perché, negli anni ’60 era molto usato il personaggio di profilo e con entrambi gli occhi in prospetto, di cui l’Italia non aveva ancora un proprio ‘ambasciatore’. E Bozzetto adattò al signor Rossi tutti quei vizi e difetti, nonché abitudini, dell’italiano medio, mettendo una serie di elementi comuni, come il cognome comune, le aspirazioni comuni, i difetti comuni, i quali fecero di un personaggio “comune” il prototipo dell’italiano piccolo-borghese, creando, in altre parole, un “personaggio da un non-personaggio”. Sin dall’inizio Bozzetto descrisse il signor Rossi come un omino anonimo, subalterno, vittima della società e, nei primi cortometraggi, appare più minuto, quasi succube delle situazioni cui va incontro.
Del 1961 è Alpha Omega ed in questo film Bozzetto continuò a dimostrare in modo incisivo di volersi avvicinare ad disegno capibile ovunque. I “cartelli” iniziali sono tradotti in varie lingue e ciò per rendere l’opera più universale. Già a partire dai titoli di testa, la forza, l’estro ed il brio fanno capire il carisma del giovane regista milanese il quale sa aggiungere spesso un tocco di semplicità ironica; come quando appare scritto in un cartello: ‘mi hanno aiutato moralmente’, intravedendo sotto i nomi di chi lo accompagnerà in gran parte della sua carriera: Guido Manuli, Giancarlo Cereda e Roberto Scarpa.
Dopo questo cortometraggio, l’omino Alfa diverrà protagonista anche di una riuscita serie di Caroselli animati. Nella pellicola è narrata la vita di un uomo – dall’alfa all’omega – dall’inizio alla fine appunto, giocando praticamente su di un’unica inquadratura. La figura è imperniata su un esile corpo squadrato, sormontato da una pesante testa dai lineamenti stilizzati che, se per Renato Candia è simile alle false maschere primitive di Modigliani, della beffa di Livorno (4), per noi è assai più simile allo stile del giapponese Yoji Kuri, al quale, invece, Bozzetto fa inequivocabilmente riferimento. Straordinario gioiello d’arte, sia dal punto di vista compositivo sia come contenuto, Alpha Omega narra come il trascorrere del tempo, porti l’essere umano a consumarsi rapidamente dopo un’esistenza veloce e statica. Del 1963 è I due castelli, e presenta un’unica inquadratura con due montagne su cui sorgono due castelli adiacenti.
Interessante è la veduta totale, in cui si vedono i protagonisti piccoli quanto formiche. Troveremo spesso questa visione totale, lontana, che provoca l’effetto di un osservatore che, a distanza, si accinge a scrutare in silenzio il lento svolgersi di una situazione con tutti i tempi di realizzazione che il suo svolgersi richiede, creando una drammatica suspense tra scena e spettatore. Bisogna sottolineare l’interessante trovata grafica delle montagne tracciate in grigio ed i due castelli con i personaggi inchiostrati in nero, mentre il tutto è tracciato su fondo bianco. Oltre a questo notevole film, animato con Guido Manuli, (che non compare ancora come regista), Bozzetto ripropone il personaggio ideato qualche anno prima, in tre nuovi cortometraggi Il signor Rossi va a sciare, Il signor Rossi al mare e Il signor Rossi si compra l’automobile (5), rispettivamente del 1963, 1964 e 1966, in cui la creatura bozzettiana acquisisce le sue fattezze definitive.
Nei primi due (6) il personaggio bozzettiano appare meno inibito, anche se rigido, poiché ancora non è divenuto un protagonista completo cosa che invece si intravede pienamente nello straordinario Il signor Rossi si compra l’automobile, in un sofisticato complesso di colori ed effetti brillanti misti a giochi tonali, encomiabile per i movimenti e per il ritmo scattante di cui è impregnato. Rispetto ai tre film precedenti del signor Rossi, che seguivano i clichés dei cortometraggi animati dell’epoca, quest’ultimo risente felicemente dell’esperienza artistica di West and Soda; le scenografie di Giovanni Mulazzani nonché i personaggi con l’animazione si discostano ben poco esteticamente dal primo lungometraggio di Bozzetto, di cui parleremo tra breve. Anche il segno di contorno, dapprima più spesso e corposo è divenuto in quest’ultimo cortometraggio più incisivo e graffiante, accompagnato dalle morbide animazioni in cui si comincia ad intravedere sempre più – nelle fattezze e nei movimenti del signor Rossi – il mordente di Guido Manuli.
West and Soda è il primo importante lungometraggio in animazione prodotto in Italia dopo La Rosa di Bagdad e I fratelli Dinamite e può essere a buon diritto considerato come il “primo classico dell’età moderna”. Gli ultimi tentativi compiuti erano quelli condotti durante la guerra da Domeneghini e dai Pagot. Bozzetto mise in cantiere sin dal 1963 a soli 25 anni questo film, la cui lavorazione durò due anni, realizzando un vero e proprio capolavoro della storia animata sotto ogni profilo, specie se si pensa alla sua giovane età. E’ importante ricordare che West and Soda ebbe quale sceneggiatore, il noto teorico Attilio Giovannini, lo stesso che curò il soggetto e la sceneggiatura originale de I fratelli Dinamite. C’è di fatto che, per quanto il disegno fosse ‘asciutto’, Bozzetto riuscì incredibilmente a realizzare un film western con attori disegnati; una sorta di Mezzogiorno di fuoco animato.
I dialoghi, lo svolgersi della storia, la psicologia dei personaggi ne fanno un vero e proprio cult-movie del western-spaghetti, al pari dei film di Sergio Leone. Ermanno Comuzio, che definì West and Soda come “la disintossicazione dei luoghi comuni” parlando di uno “schema obbligato, quindi, che Bozzetto non si limita a prendere per il bavero nei suoi aspetti più scoperti, come succede nelle tante parodie con attori in carne e ossa, ma che rovescia completamente nella beffa feroce e nel ricorso all’assurdo: più che ai western da ridere, interpretati da attori comici, West and Soda fa pensare a quelli del cinema comico americano del periodo muto, che si reggevano come è noto non tanto sugli attori quanto sulle situazioni” (7)
Soprattutto in West and Soda emergeva tutta la struttura narrativa del lungometraggio tradizionale non disgiunto, però, a geniali trovate comiche. Più che riusciti sono i personaggi come la bionda Clementina, la cow-girl che, con tono sicuro e i pantaloni gonfi ma stretti dagli stivali, manda avanti da sé l’intero ranch all’interno dell’unico appezzamento di terra della grande vallata.
Johnny, il buono, una specie di Gary Cooper in versione spaghetti, è un esile giovanotto dal tono sicuro, sempre con il mozzicone di sigaretta “attaccato” al labbro e col cappello che, spavaldamente, gli copre il viso. Divertente è quando, immerso in una luce da palcoscenico, il protagonista rinnova guardaroba e pistola, trasformandosi in una star cinematografica del filone western.
Gustosi i richiami “attuali”: il latte, già imbottigliato, è custodito, come in frigorifero, nel fianco della mucca; il cavallo di Johnny mostra il contachilometri; il ronzino del Cattivissimo fora una “gamba” che gli viene rimessa in sesto perché è a terra. Altro particolare è la carrozza del Cattivissimo munita di un clacson da fuoriserie americana. Interessanti i personaggi di contorno che vivono nella fattoria come le mucche (8) “senza” i contorni, dove solo il viso è delineato dal tratto nero, rappresentate come tre zitelle pettegole di cui, Dolly, ha un fiocco in capo e un rossetto smagliante sulle labbra. Notevole è il cane Socrate, barbone di “nome” e di fatto, che, nonostante si aggrappi sempre alla bottiglia di whisky, è profondamente romantico.
Anche il Cattivissimo, doppiato da Carlo Romano, mostra la notevole ideazione grafica nell’occhio strizzato e nel sigaro sempre passato arrogantemente tra i denti, come anche i due “scagnozzi”, che sono il terrore del saloon e della cittadina western, sono più che riusciti: Ursus è in qualche modo più simile al Cattivissimo, Smilzo, dalla barba incolta e dai tratti accidentati e angolosi, trova specie nel duello finale, maggior protagonismo ed efficacia. Non si può, a tal proposito non ricordare la suspance data dal primo piano delle sue dita scarne, mentre lentamente cercano di avvicinarsi al calcio della pistola.
Se questi sono di Johnny i rivali, l’antagonista di Clementina è Esmeralda, la maliarda dal saloon, mandata dal Cattivissimo ad intrappolare Johnny per sapere, dopo essere stato ammaliato dalle sue doti femminili, dove si trova la miniera di pepite d’oro. Nella sequenza in questione è notevole la porta con la targa su cui è scritto E$MERALDA (invece di una ‘esse’ vi è il segno del dollaro), che si “apre” tridimensionalmente in fase di ripresa; come eccellente è lo sfilare dei veli colorati, vagamente flou, che si susseguono in sovrimpressione prima di giungere al salotto dove si trova la donna. I due vengono intravisti in finestra da Clementina, definita da Esmeralda come una “hostess da prateria”, la quale riparte, ingelosita in calesse a tutta velocità.
Oltre ad essere un continuo di trovate comiche e divertenti, il film non manca di accenti notevolmente realisti. L’invaghimento di Clementina verso Johnny appare evidente quando, al chiaro di luna, i due prendono il fresco alla terrazza della fattoria, ascoltando il suono lontano delle cicale. Non si può non notare l’eccellente resa che Bozzetto riuscì a dare in questo lungometraggio. Anche gli stati d’animo sono ottimamente descritti: Johnny, imperturbabile, se ne sta sdraiato con tono sicuro di sé mentre Clementina, più lontano, abbraccia un pilastro, sognando romanticamente l’amore ormai sbocciato col suo salvatore, accasciata in forma languida sul recinto della terrazza. Se Bozzetto avesse assunto graficamente un cliché realistico, non ci si sarebbe accorti che si tratta di “attori disegnati”. Ma egli non cerca di stupire tramite un segno accattivante; il suo è uno stile personale a tutti gli effetti; vi è anche un’ottima esecuzione degli effetti speciali, come il bagliore delle pepite d’oro e la polvere sollevata dai cavalli realizzate in sovrimpressione, come anche la luce abbagliante del sole.
Interessante è la sequenza, vista in lontananza, in cui il Cattivissimo cerca in tutti i modi ma invano di rovesciare un enorme masso per uccidere Johnny; questa scena, più bozzettiana, ricorda notevolmente alcune parti de I due castelli. Pieno di suspance è il duello finale, ricco anche di trovate; arguta e poetica la fine, quando tutti, Johnny, Clementina, le mucche e Socrate, vanno finalmente via con il calesse del Cattivissimo, verso un sole infuocato al tramonto sotto la bellissima musica western composta da Giampiero Boneschi.
Il film, girato in Eastmancolor, si avvalse, come Direttore delle animazioni e dei Lay-Out, di Guido Manuli, e del giovane Giuseppe Laganà, allora agli esordi; di Franco Martelli e Luciano Marzetti per la ripresa; mentre la direzione artistica e le scenografie vennero curate da Giovanni Mulazzani, Giancarlo Cereda e Libero Gozzini. Non si può non ricordare l’eccellente apporto che diede lo scenografo Mulazzani, con i suoi splendidi sfondi stilizzati, arricchendo notevolmente lo spirito artistico del film.
Un discorso differente, anche per l’originalità grafica, è presente in Una vita in scatola, del 1967, in cui Bozzetto, con uno stile diverso dal solito (preannunciando alcune circostanze nel disegno e nei colori che svilupperà negli anni ’70), racconta di come l’esistenza umana sia all’interno dell’habitat sociale, rinchiusa come un semplice cibo in scatola. Nel personaggio dai grandi occhi a mandorla non vi è contorno, apparendo come una sagoma grigia e spenta.
Il sogno di un bosco colorato che allontana i problemi quotidiani rimane un’utopia per il pover’uomo descritto nel grigiore della sua tristezza. Oltre alle novità grafiche, Bozzetto descrive con un pizzico di malinconia il dramma esistenziale e l’incapacità di sottrarsi ai doveri quotidiani; il senso civico e le costrizioni a cui l’individuo moderno deve attenersi vengono espressi con grande efficacia ed accompagnati dall’ottimo uso del suono “riverberato” durante le evasioni mentali del protagonista. E’ curioso osservare che, verso la fine degli anni ’60, i film di Bozzetto lasciarono un po’ di quel sarcasmo che caratterizzava aspramente le sue prime opere. I suoi film acquisirono un’atmosfera sempre più onirica e sperimentale, soprattutto in Ego del 1969, che vinse il Nastro d’Argento al Festival di Venezia.
In questo straordinario cortometraggio di carattere quasi sperimentale, Bozzetto, ormai maturo, dimostrò di essere consapevole delle sue eccellenti possibilità espressive, in cui l’uso vivace del colore adoperato in modo espressionista riesce pienamente a rappresentare la fase onirica vissuta dal protagonista.
Bozzetto ottenne risultati eccelsi sul piano artistico con figure spesso drammatiche di impiccagioni a cui si alternano (con notevoli effetti misti a caratterizzazioni più realistiche) immagini di Batman, Hitler, Stalin. Ottime le citazioni: l’inseguimento a Biancaneve, “riletta” in chiave bozzettiana preannunciante alcune ‘scelte artistiche’ di Guido Manuli, in un turbinio cromatico eterogeneo, che rende il film nuovo, ricco e pieno d’entusiasmo inventivo.
A distanza di soli tre anni dal precedente West and Soda, Bruno Bozzetto, alternando l’attività pubblicitaria a quella autoriale, produsse nel 1968 un secondo lungometraggio animato, dal titolo Vip mio fratello Superuomo. E’ interessante notare che il lungometraggio in 3D della Pixar, Gli Incredibili (2004) diretto da Brad Bird, è un chiaro e palese omaggio al secondo capolavoro di Bruno Bozzetto.
L’ambientazione e le tematiche sono ben diverse dal western-spaghetti animato e per certi versi più affini a quelle affrontate da Bozzetto nei suoi film d’autore. Il film inizia in maniera quanto mai bozzettiana: una veloce panoramica storica della presunta vittoria del bene sul male, più precisamente su quella del più forte, così come ai tempi di Tapum!
Una donna, in questo caso una drago-femmina, è oggetto di attenzione da parte di un cattivo drago sputafuoco. Solo l’intervento di un preistorico Vip, la salverà dalle grinfie dello spavaldo drago-bellimbusto di lei corteggiatore.
Interessanti, nelle fattezze iconografiche, alcune somiglianze con West and Soda: la drago-femmina è molto simile a Dolly, una delle tre mucche pettegole alloggiate presso il ranch di Clementina, sia per l’aspetto sia per l’abbigliamento, entrambe aventi un grosso fiocco rosso sulla testa che ne adorna il muso, personalizzandolo. Bisogna anche rilevare che i colori di Vip mio fratello superuomo sono assai più “caldi” di quelli di West and Soda. In Vip i coloratissimi e brillanti personaggi si muovono anche su fondi neutri o freddi. Questo contrasto era già fortemente evidente nel cortometraggio posteriore all’uscita di West and Soda, Il signor Rossi si compra l’automobile, che superò in modo eccellente gli altri film per lo stile maturo cui Bozzetto era giunto, preannunciando in modo latente le successive realizzazioni come Ego. Non mancheremo di rilevare, inoltre, come nello stesso preambolo della “Storia dei Vip” si vedano altrettanti “punti storici” ricorrenti nella filmografia bozzettiana; non mancano i feudi medievali (le cui medesime atmosfere si riscontrano ne I due castelli e nell’episodio di Sottaceti, ‘la guerra’), ed il tanto amato ambiente western.
A differenza delle musiche sontuose di Boneschi, la colonna sonora di Vip risentì felicemente delle note orecchiabili di Franco Godi e Johnny Gregory. Anche in questo, Bozzetto cercò di avere un buon “cast musicale”: alcune canzoni vennero interpretate da Herbert Pagani, mentre, come complesso, ingaggiò il coro vocale dei 4+4 di Nora Orlandi. Nonostante l’evolversi un po’ strampalato della vicenda, il film si rivela ricco di situazioni avvincenti puntando il dito sui retroscena occulti delle speculazioni affaristiche in modo simpatico e per nulla accusatorio.
Ripercorrendo brevemente alcune fasi del film, è interessante la maniera di spiegare attraverso disegni schematici e – tra le virgole – didattici, la stirpe dell’antica famiglia dei Vip, giunta odiernamente a due poli estremi: l’uno, Supervip, un superfusto mascherato sempre pronto a far del bene ma troppo sensibile al fascino femminile, anche perché ricambiato; l’altro, Minivip, piccolo, minuto e sgraziato, in balia delle situazioni e di una società di cui è succube; una sorta di ‘signor Rossi mascherato’ per intenderci, ma dal naso aquilino e dagli occhiali dalla montatura nera e spessa, molto usati in quegli anni dall’italiano-medio.
Il povero Minivip, dopo essersi ritrovato su una crociera dove vi è una festa in maschera conosce, per le circostanze di un naufragio, un curioso leone antropomorfo, suo compagno di sventura sull’isola deserta, che altri non è che una dolce ragazza mascherata da re della foresta.
Non mancano alcune trovate “sperimentali” affiancate ad un disegno “piatto”; originale ad esempio l’idea del leone “sfumato” (ossia anziché essere colorato omogeneamente, pur utilizzando lo stesso procedimento della campitura su celluloide, il colore è miscelato con altre tonalità); il risultato in proiezione è di un continuo movimento disomogeneo della sfumatura che, se per certi versi è tecnicamente imperfetto, per altri è notevolmente espressivo e ‘colto’. Soprattutto è da riscontrare come tale eterogeneità s’accordi squisitamente col resto delle immagini, rendendo l’opera più raffinata ed originale.
Infatti, in ogni film “commerciale”, Bozzetto cercò di corroborare sempre le sue creazioni con esperienze sperimentali. Durante il naufragio, Minivip e il leone si ritrovano a passar la notte in canotto, in un mare azzurro fiancheggiato da curiosi e originalissimi pesci marini. Sempre in Vip, nel palazzo dove alberga la mefistofelica Happy Betty, si vedono, in alcune inquadrature, dei volti trasfigurati dai toni aspri, molto simili alle esperienze pittoriche espresse in Ego.
Tornando alle caratterizzazioni grafiche dei personaggi di Vip mio fratello Superuomo, al contrario del precedente che vedeva, di Johnny, il suo antagonista nel famigerato Cattivissimo, qui l’anti-personaggio è la diabolica e sontuosa Happy Betty, proprietaria di una importante catena di supermercati. La grassa Happy Betty di Vip, consimile alla precedente Esmeralda, è resa più personale dal lungo bocchino con cui aspira le sigarette, e dalla rigonfia pettinatura “a cuore” che le sormonta il capo. Qui si può intravedere la passione bozzettiana per le donne prosperose (da Donna Rosa alla cantante lirica di Opera), nelle quali è altresì evidente il tratto ‘molle’ e ‘angoloso’ di Manuli.
Soprattutto nei personaggi antagonisti del secondo lungometraggio di Bozzetto è da rilevare un notevole ingegno inventivo; Happy Betty, al contrario della carrozza del Cattivissimo, ha, come mezzo di trasporto, un trono cingolato movibile che lo fa tutt’uno col personaggio. Anche le guardie del corpo, Schulz e il Colonnello, non sono da meno di Ursus e Smilzo; come ingegnosa è l’ideazione di Nervustrella, la buffa ragazzina usata da cavia da Happy Betty, dai grandi occhiali e con in capo un piccolo razzo atomico che la rende più stramba ed simpatica. Originale è lo svolgersi della vicenda ambientata in un’isola deserta (Bozzetto ama i luoghi “deserti” per le sue ambientazioni), che ha delle certe connessioni con delle trame poliziesco-fantascientifiche sulla scia di Agente 007-Licenza di uccidere, e il continuo incalzare di suspense, colpi di scena e trovate divertenti.
In sostanza, nei personaggi del suo secondo lungometraggio si nota, rispetto ai precedenti, maggiore originalità ed ingegno, nonostante che il film appaia più caotico vista la ricerca sperimentale condotta da Bozzetto. Vip mio fratello Superuomo non ha però superato West and Soda, se non tecnicamente, ma è comunque ricco di ‘pagine’ interessanti che lo vedono rispetto al primo, anche se in fase ancora di elaborazione, molto più articolato e maturo.
(Fine prima parte)
Mario Verger
Note:
(1)
M. Maisetti, Bruno Bozzetto, l’anti-Disney, Letture, Marzo 1974, pp. 251-254; A. Bastiancich (a cura di), Bruno Bozzetto 1958/1988, Genova 1988, p. 70.
(2)
Il cinema di Bruno Bozzetto: “Sequenze”, Verona 1990, p. 13.
(3)
Op. cit., p. 14
(4)
Renato Candia, Sul filo della matita. Il cinema di Bruno Bozzetto, Venezia 1992, p. 17.
(5)
Per i primi due cortometraggi vale il discorso di Alpha Omega. Furono girati, ricorda Franco Zambelli, da Bozzetto alla Corona. Anche loro risultano nella distribuzione della Corona.
(6)
Nei titoli di testa compare nella ripresa il nome di Elio Gagliardo.
(7)
Ermanno Comuzio, Piccola storia del disegno animato italiano, in “Cineforum”, n.153, marzo 1966, p. 234
(8)
Una somiglianza non da poco con le simpatiche vacche di West and Soda, emerge in uno degli ultimi film Disney, Mucche alla riscossa.
Prima parte: Bruno Bozzetto cinematografico
Seconda parte: Bruno Bozzetto televisivo
Terza parte: Bruno Bozzetto in Internet
Per tutte le immagini, © Bruno Bozzetto
Sito ufficiale di Bruno Bozzetto
Indice delle immagini:
(1) il giovanissimo Bruno Bozzetto con Norman McLaren, a Cannes nel 1958
(2) Tapum! La storia delle armi
(3) Una rarità: uno dei primi libri di Giannalberto Bendazzi su Bruno Bozzetto
(4) La storia delle invenzioni
(5) Il Signor Rossi
(6) Un Oscar per il signor Rossi
(7) Alpha Omega
(8) I due castelli
(9) Il signor Rossi va a sciare
(10) Il signor Rossi al mare
(11) Il signor Rossi si compra l’automobile
(12) West and Soda
(13) West and Soda
(14) Una vita in scatola
(15) Ego
(16) Vip mio fratello Superuomo
(17) Supervip
(18) Bruno Bozzetto