Jasmine vive a New York ed è sposata con Hal, ricco uomo d’affari. Tutto sembra filare al meglio sino a quando non si scopre che Hal è in realtà un truffatore. Questa scoperta porta alla rovina finanziaria della famiglia ed al crollo psicologico di Jasmine, la quale decide di trasferirsi dalla sorella a San Francisco.
Frase di rito quando si scrive su Woody Allen da 15 anni a questa parte: “Il cinema di Allen è così, prendere o lasciare”.
Non serve a molto discutere sulla profusione di luoghi comuni, sull'”inutilità” del progetto (ma un film dev’essere “utile”?), sulla ripetitività di certi elementi (uno su tutti, il jazz nella colonna sonora). Se si va a vedere un suo film, si sa cosa ci si potrà aspettare, e si fa prima a gioire per le inaspettate novità che a lamentarsi per le prevedibili consuetudini.
E quando tra le consuetudini possiamo contare anche su un’eleganza formale ineccepibile, un ottimo senso del ritmo, dialoghi sempre straordinariamente ingegnosi, una salutare brevità (98 minuti), una capacità ormai più che rodata di trattare argomenti seri con grande leggerezza, una direzione degli attori ineccepibile, e scelte di cast ancora più ineccepibili (Cate Blanchett è semplicemente perfetta), allora non si ha troppa voglia di brontolare.
E poi, il buon vecchio Woody da il megliodi sé quando è cattivello, se riesce a trattenersi dal fare la morale.
E in questo caso direi che gli riesce anche bene.
La cosa migliore del film è il rimando a Un tram chiamato desiderio, rivisto e corretto in chiave vagamente misogina: Jasmine, novella Blanche, vive in un mondo di sogni, con la differenza che mentre per l’eroina di Tennessee Williams erano davvero una costruzione mentale, in questo caso i “sogni” sono un mondo reale, di cartapesta. E Allen descrive l’ambiente alto-borghese americano (quello che scimmiotta l’Europa, o l’immagine che se ne ha, e in questo senso forse l’autore prende in giro anche se stesso), in una profusione di cliché, come ormai è diventato il suo stile, salvandosi però con una buona dose d’ironia caustica.
Un po’ misogino, si diceva: qui il perfido Stanley diventa un minchione italo americano, e le vere “vampire” sono le donne.
Ma si evita il manicheismo attaccando anche le classi più povere: la sorella di Jasmine non è tanto meglio di lei, anzi è forse il personaggio che viene descritto più impietosamente. Allen perdona alla sua protagonista l’incapacità di stare al mondo ma non la salva, non nasconde il suo disprezzo nemmeno per la sorella che rappresenta quell’immaginario mediocre delle classi medio/basse che cercano di imitare un “bel mondo” che di bello non ha più nulla, e per farlo non esitano a sacrificare sentimenti e “umanità”, anche se alla fine (e lì sta tutta l’intelligenza del suo autore) ci concede l’ultima beffa mostrandoci che, infine, il cinismo paga.
Povera Jasmine, certo, ma soprattutto poveri noi.
Maurizio Mongiovi
Blue Jasmine
(USA, 2013)
Regia, sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Javier Aguirresarobe
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografie: Santo Loquasto
Costumi: Suzy Benzinger
Interpreti principali: Cate Blanchett (Jasmine), Alec Baldwin (Hal), Peter Sarsgaard (Dwight), Michael Stuhlbarg (dottor Flicker), Bobby Cannavale (Chili), Louis C.K. (Al), Sally Hawkins (Ginger), Andrew Dice Clay (Augie), Tammy Blanchard (Jane), Max Casella (Eddie), Alden Ehrenreich (Danny)
USA
98′