A pochi mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale, un treno attraversa uno sterminato paesaggio deserto, sfruttando tutta l’ampiezza rettangolare del Cinemascope, per poi fermarsi nel bel mezzo del nulla: la cittadina – in realtà quattro o cinque edifici perpendicolari ai binari – di Black Rock, tra le rocce dell’Arizona.
È la prima volta in quattro anni che il treno ferma in quel posto e lo scopo è quello di lasciare scendere John J. Macreedy, che dalla California si è recato lì per motivi inizialmente misteriosi.
Gli bastano pochissimi passi per incocciare con l’esplicita ostilità dei villici: il giovane gestore dell’unico albergo tenta di fargli credere di non avere stanze disponibili, mentre gli altri, prodigandosi in sguardi torvi oltre ogni ragionevolezza, provano a verificare il motivo della sua presenza.
Quando Macreedy spiega di essersi recato lì per consegnare una medaglia all’onore al padre di un soldato caduto di origine giapponese che gli ha salvato la vita in Italia durante la guerra, non tarda a capire di avere toccato un nervo scoperto. Hector David lo invita esplicitamente ad andarsene facendosi trovare sul letto della stanza appena occupata, mentre Coley Trimble cerca di buttarlo fuori strada – complice la sorella del giovane albergatore, che gli ha prestato una Jeep – mentre tenta di recarsi nell’isolato luogo dove il padre del soldato caduto dovrebbe abitare.
Quando la situazione si fa ancora più pericolosa, si capisce di che tempra è fatto Maccreedy, eroe suo malgrado che, pur avendo perso l’uso di un braccio in guerra, non fatica a difendersi anche fisicamente da persone più forti e giovani di lui.
Dovrà però fare affidamento sulla psicologia delle persone più fragili del villaggio per abbattere la struttura che protegge gli autori di un crimine che trova le sue radici in un malinteso senso del patriottismo che sa invece di intolleranza e razzismo.
John Sturges fonde noir e western, due generi che hanno caratterizzato la sua filmografia fino ad allora, prendendo dal secondo l’ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi e dal primo la gestione della tensione e del mistero, che si svela sin dai primi istanti ma che si sviluppa mirabilmente nello scorrere degli 81 minuti di durata del film durante i quali lo spettatore si chiede come potrà quell’uomo apparentemente indifeso a sopravvivere alla violenta ostilità degli abitanti di un villaggio che lo tiene prigioniero, senza possibilità alcuna di fuga, in un film che si diverte a sovvertire aspettative degli spettatori e codici del genere trasportando il noir in un ambiente diurno e costantemente soleggiato, lasciando che la notte porti solo pensieri e nessuna azione.
Se nei panni di Maccreedy c’è Spencer Tracy, qui al suo ultimo film per la MGM, attore che ha il potere di riempire lo schermo con la sua presenza qualsiasi genere attraversi, nei panni dei villici troviamo un quasi emergente Lee Marvin, Robert Ryan, una giovane Anne Francis, in seguito protagonista de Il pianeta proibito (Forbidden Planet di Fred M. Wilcox, 1956, e poi veterana della televisione), Walter Brennan e, soprattutto, un cattivissimo Ernest Borgnine, qui in uno dei primi ruoli di rilievo di una fortunatissima e lunghissima carriera.
John Sturges utilizza al meglio tutti gli elementi di cui dispone: dal paesaggio brullo al territorio sterminato che sembra non offrire alcuna via di fuga (il deserto del Mojave, mentre gran parte dell’ambientazione – ferrovia compresa – è offerta dalla California), dai personaggi fortemente caratterizzati allo spazio angusto in cui sono costretti, fino agli elementi che sono progressivamente svelati rendendo esplicito allo spettatore il pericolo che il protagonista corre di fronte a persone che hanno di fatto sospeso ogni legge dello Stato.
Tratto da un racconto dell’autore e sceneggiatore radiofonico Howard Breslin, pubblicato nel 1946 con il titolo “Bad Day at Hondo”, Bad Day at Black Rock è uno di quei film che mostrano la grandezza di cui è stata capace Hollywood e l’estrema perizia di un cineasta che dosa l’azione facendo ottimo uso di ogni inquadratura, di ogni espressione facciale e di ogni ambiente.
John Sturges, che in seguito dirigerà capolavori come Sfida all’O.K. Corral – Gunfight at the O.K. Corral, 1957, Il vecchio e il mare – The Old Man and the Sea, 1958, Il giorno della vendetta – Last Train from Gunhill, 1959, The Magnificent Seven – I magnifici sette, 1960, La grande fuga – The Great Escape, 1963, La notte dell’aquila – The Eagle Has Landed, 1976, realizza qui, con grandi attori ma pochi mezzi e ambienti scarsi, uno tra i film più riusciti della sua lunga carriera, che ha come suo unico punto debole la colonna sonora composta da André Previn che, con il suo sottolineare l’imminenza di un’azione, stona con l’asciuttezza del tono generale del film. •
Roberto Rippa
Bad Day at Black Rock
(Giorno maledetto. USA/1955)
Regia: John Sturges
Soggetto: Howard Breslin (dal suo racconto “Bad Day at Hondo”)
Sceneggiatura: Millard Kaufman, Don McGuire (adattamento)
Fotografia: William C. Mellor
Musiche: André Previn
Montaggio: Newell P. Kimlin
Scenografia: Malcolm Brown
Interpreti: Spencer Tracy (John J. Macreedy), Robert Ryan (Reno Smith), Anne Francis (Liz Wirth), Dean Jagger (Tim Horn), Walter Brennan (Doc Velie), John Ericson (Pete Wirth), Ernest Borgnine (Coley Trimble), Lee Marvin (Hector David), Russell Collins (Hastings), Walter Sande (Sam)
81′