Presso la settecentesca Villa Cattolica di Bagheria, sede del Museo Guttuso, dal 27 al 30 luglio si terrà la terza edizione di Animaphix, una delle rarissime manifestazioni in Italia dedicate all’animazione d’autore capace di portare al pubblico del nostro paese grandi film e registi amati e riconosciuti in tutto il mondo.
Solitamente nell’immaginario e nella storiografia comune il cinema polacco è rappresentato da un gruppo di autori di generazioni diverse attivi dal secondo dopoguerra: Jerzy Skolimowski, Roman Polanski, Andrzej Munk, Agnieszka Holland, Andrzej Wajda, Andrzej Żuławski, Krzysztof Kieślowski. Tra i registi che meritano di essere parte imprescindibile di questa famiglia eterogenea, che ha portato una cinematografia nazionale a divenire un patrimonio artistico mondiale, c’è sicuramente uno degli ospiti a cui il festival dedica una retrospettiva e una carte blanche: Piotr Dumała.
Ancora oggi sono pochi gli animatori che vengono percepiti e riconosciuti essenzialmente come cineasti. Un paradosso che non coinvolge altri generi. Per la maggior parte dei grandi film di animazione commerciale digitale è oggettivamente difficile riconoscere un’autorialità visto il numero esorbitante di persone che partecipano alla sua realizzazione, caso contrario quello dell’animazione tradizionale che consente una forma di controllo delle immagini in movimento impensabile per qualsiasi altra forma cinematografica. Siamo nel campo in cui, a partire da un ideale foglio bianco, tutto è possibile grazie ad una sola persona, la sua spinta creativa, la sua capacità tecnica di tradurre in un film il pensiero, un immaginario, ecc. L’opera è il suo autore diventano una cosa sola, il rapporto stesso con la creazione non ha mediatori, è diretta, intima, personale.
Nato a Varsavia nel 1965 studia inizialmente scultura e arte all’Accademia di Belle Arti della stessa città natale. Si diploma in animazione nel 1982. Tra i suoi maestri, a dirigere i workshop del dipartimento di Graphic Design della scuola, un grande pioniere del cinema di animazione polacco, Daniel Szczechura. Dumała inizia con i primi esperimenti alla fine degli anni ’70 dando vita ad un percorso creativo che lo porta a realizzare opere fondamentali, non solo per il genere, ma divenute oramai parte della storia del cinema. Regista e scrittore ancora in attività insegna alla Łódź Film, Television and Theatre School.
Franz Kafka by Piotr Dumała (1991)
La critica e la storiografia tendono a identificare due diversi momenti del cinema di Dumała. Una prima fase di esperimenti: dall’umor nero di Lykantropia (1981), Czarny Kapturek (1983) e Nerwowe życie kosmosu (1986), all’amore poetico di Latające włosy (1984), la politica e il totalitarismo in Ściany / Walls (1987) ed il grottesco di Wolność nogi (1988). Ed una seconda molto più complessa e strutturata di derivazione letteraria o di vere e proprie forme di adattamento: Łagodna (1985) e Zbrodnia i kara (2000) da Dostoevskij, Franz Kafka (1991). Nel 2009 gira un lungometraggio di fiction, con un prologo animato, Las. Resta comunque impossibile cingere dei confini e delle definizioni dentro cui contenere la sua filmografia, come dimostra Hipopotamy (2014), uno dei suoi film più recenti, molto diverso dai precedenti, che segna ancora una volta la forza e la libertà assoluta della sua spinta creativa.
Dumała si è occupato molto del rapporto tra cinema di fiction ed animazione. Come regista, riuscendo a lavorare sulle tavole e sul movimento di alcune sue opere in modo da rendere effetti specifici della macchina da presa (i primi piani, i fuori fuoco, i movimenti di macchina, la profondità, ecc), e come teorico grazie ad un saggio di cui utilizzeremo dei frammenti che dimostra la sua grandezza di spettatore e la lucidità con cui si è inserito in un certo immaginario cinematografico: Out of the trees and into The Forest, a consideration of live action and animation (2001) [Piotr Dumala, Out of the trees and into The Forest, a consideration of live action and animation, in «Animation Practice, Process & Production», Volume 1 Number 1, © 2011 Intellect Ltd Article].
La sua necessità infatti era essenzialmente quella di creare, di concretizzare idee, pensieri, umori in un’opera, ed essendo un raffinato cinefilo come dimostrano i suoi scritti quella necessità si è tradotta in film: “L’animazione nel senso classico non era mai stata il centro del mio interesse. L’ho usata come metodo per riportare i miei disegni alla vita e come un modo per raccontare una storia. Il mio professore di letteratura mi disse: voi scrivete attraverso i film”.
L’autore stesso analizza, elabora e sviluppa, le differenze sostanziali tra un set e le tavole. Serve in entrambi i casi un’attitudine caratteriale scolpita e opposta. Da un lato la gestione di un gruppo di persone molto diverse tra loro, lo stress collettivo, l’imprevisto (meteo, problemi tecnici, ecc). Dall’altro la solitudine, la difficoltà di autodisciplinarsi e mantenere una tensione creativa per lunghi periodi per non “morire di noia o impazzire” senza avere la possibilità di vedere il ‘girato’ a breve termine. Un processo che lui stesso definisce “esperienza mistica”. Quindi è il metodo che innanzitutto delinea la differenza più marcata: “Le persone che amano stare in compagnia degli altri e vedere rapidamente i risultati del loro lavoro non saranno buoni animatori”.
Zbrodnia i kara (2000) è tra i film più noti, studiati di Dumała e può servire come esempio per dare alcune indicazioni sulla complessità della sua poetica. Partendo proprio dal metodo e dal carattere necessario per portare a termine un’opera di simile portata, possibile solamente grazie ad un’abnegazione totale: sei anni di lavoro per un’opera di trentacinque minuti. La difficoltà iniziale però viene dal testo stesso. Ne citato saggio il regista ricorda un passaggio di una delle interviste di Truffaut ad Hitchcock: “Quando ha chiesto a Truffaut perché non ha mai fatto Delitto e castigo, Hitchcock ha risposto: Non lo farò mai. Contiene molte parole e ognuna di esse è importante. Per esprimere la stessa cosa nel film, dovrei fare un film di sei o dieci ore” (Truffaut, 1986).
L’operazione di Dumała infatti non è quella di un adattamento classico, ha reso invece l’impronta che il testo di Dostoevskij gli ha lasciato, la memoria e il sogno del testo, un’impressione soggettiva. Operazione simili a quelle fatte con gli altri film derivati da opere letterarie: Franz Kafka (1991) dai Diari e Łagodna (1985) tratto dall’omonimo testo di Dostoevskij, La mite. In Zbrodnia i kara (2000) infatti l’aspetto puramente narrativo è quasi secondario, malgrado ciò non vengono a perdersi tutti i tormenti di Rodion Raskolnikov come i cardini dell’investigazione umana dello scrittore russo. Elementi da un alto filtrati dalla lettura del regista ma contemporaneamente universali, parte di ogni essere umano. L’ambientazione claustrofobica, i chiaroscuri con il gusto per il kammerspielfim e l’espressionismo tedesco sono lo sfondo di un’animazione che insiste anche sullo specifico della regia del cinema di fiction: primi o primissimi piani che colgono microespressioni dei protagonisti come fossero attori, quindi la rappresentazione dello sguardo, i raccordi, la profondità legata al lavoro sui fuochi, virtuali movimenti di macchina, l’utilizzo del rosso, ecc. Chi guarda ritrova inevitabilmente tanto della storia del cinema passato, non certo utilizzato come citazione fine a se stessa, piuttosto si tratta del Dumała, cinefilo che ha visto e amato grandi film per poi rielaborarli e farne tesoro per affermare la sua personale e unica poetica. Come ogni grande artista non insegue alcuna verità o realtà universali e oggettive, ma consegna agli spettatori inizialmente emozioni, e soprattutto pensiero, cioè strumenti preziosi per comprendere noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda, partendo dalla fiducia, mediata dalla bellezza, che lo spettatore ritrova nell’opera stessa che sta guardando: “Un film deve invocare un credo nella sua esistenza, nella sua realtà. Non significa che deve dire la verità oggettiva, ma deve avere la sua verità interiore”.
L’orditura delle illustrazioni, elaborate per sottrazione grattando via il colore con diversi oggetti, dalla punta del coltello per i tratti più fini alla carta vetrata per spazi di campo più ampi, è funzionale alla resa delle angosce e delle inquietudini di Raskolnikov e dello spettatore, entrambi imprigionati nella graffiatura delle immagini ferite quanto i protagonisti e gli spettatori. Sarebbe troppo lungo e difficile addentrarsi nella complessità del disegno dell’autore, l’eccezionalità delle tavole e delle diverse tecniche utilizzate nell’arco degli anni. Per renderne un’idea possiamo però prendere in prestito una semplice frase di Giannalberto Bendazzi: “Alcune illustrazioni di Franz Kafka e Delitto e castigo meritano di stare in un museo”.
A Bagheria una grande occasione per incontrare Piotr Dumała e vedere i suoi film, ma non solo. Tra gli ospiti infatti altre due personalità straordinarie che hanno scritto pagine fondamentali della storia del cinema. Letteralmente, come il citato Giannalberto Bendazzi, critico e storico tra importanti studiosi di animazione di sempre a cui dobbiamo, tra le sue tante opere: Cartoons. Cento anni di cinema d’animazione (Marsilio, 1988), e la più recente, dettagliata e ricca sintesi storiografica del genere grazie ai tre volumi di Animation: A World History (CRC Press, 2016). Di una generazione più vecchio di Dumała è invece Georges Schwizgebel. Cineasta e animatore svizzero tra i padri dell’animazione tradizionale contemporanea a cui sarà dedicata una retrospettiva e carte blanche. •
Alessandro Giorgio
Animaphix – Festival Internazionale del Film d’Animazione
Bagheria, 27-30 luglio 2017
animaphix.com
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