BEKET > Davide Manuli

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L’articolo è pubblicato su: Rapporto Confidenziale. Speciale 61° Festival del Film di Locarno.

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Due uomini sono impegnati in un dialogo surreale mentre aspettano un autobus che li sorvolerà, lasciandoli appiedati, nel loro viaggio nel mezzo del nulla. Davide Manuli, talentuoso attore e regista milanese, stabilisce sin dalle prime scene il tono surreale del suo “Beket” – in competizione nella sezione Cineasti del presente – che già nel titolo cita, storpiandolo volutamente, il nome del drammaturgo e scrittore inglese – Nobel per la letteratura nel 1969 – Samuel Beckett.
Jajà e Freak sono due uomini che si trovano in uno spazio privo di confini (il West d’Italia, la Gallura, benissimo fotografata in bianco e nero da Tarek Ben Abdallah) e di senso temporale, esattamente come nell’opera cui si ispira. Contrariamente ai Vladimiro e Estragone dell’opera di Beckett, però, non si accontentano di aspettare il misterioso signor Godot ma intraprendono un cammino alla sua ricerca ogni qualvolta sembra rivelarsi da dietro le montagne attraverso il suono di musiche elettroniche. Molti gli incontri che faranno: uno stralunato cowboy (Fabrizio Gifuni, già visto, tra gli altri, in “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana e in “La signorina Effe” di Wilma Labate), un mariachi (uno strepitoso Roberto “Freak” Antoni, voce degli storici Skiantos), Adamo ed Eva (in una scena che sembra omaggiare “Cinico TV” di Ciprì e Maresco), una sorta di cantastorie (Paolo Rossi).
Il film – è Manuli a raccontarlo – nasce come reazione alle difficoltà nel reperire fondi pubblici per un altro progetto infatti mai realizzato. Da qui la decisione di girare un film a basso costo e in tempi brevi, appena tredici giorni, con una troupe composta da 10 persone, con una camera a 16 millimetri e solo in diurna, senza l’utilizzo di luce artificiale.
Terzo capitolo di un’ideale “cinema della solitudine”, di cui fanno parte anche il cortometraggio sul tema del carcere “Bombay: Arthur Road Prison” vincitore della Vela d’Oro a Bellaria (1999) e il lungometraggio sul tema dell’emarginazione “Girotondo, giro intorno al mondo”, “BEKET” è un racconto a più livelli, profondo, a tratti esilarante e sempre denso di ironia che rappresenta una graditissima sorpresa di questo Festival.
Grazie al passaparola, sala ancora gremita alla sua terza proiezione.

Roberto Rippa

BEKET (Italia/2008)
regia, sceneggiatura: Davide Manuli; fotografia: Tarek Ben Abdallah; montaggio: Rosella Mocci; interpreti: Luciano Curreli, Jerôme Duranteau, Fabrizio Gifuni, Paolo Rossi, Roberto “Freak” Antoni, Simona Caramelli; formato: 35mm; durata: 78’

TRE DOMANDE A DAVIDE MANULI di Roberto Rippa

R.R.: BEKET è uno di quei film che hanno tratto grande vantaggio dal passaparola tra gli spettatori. Infatti, sin dopo la prima proiezione, ne parlavano tutti. Sei riuscito a renderti conto dell’impatto immediato che ha avuto sul pubblico?
D.M.: Sì, me ne sono reso conto, anche se non in questa proporzione, anche grazie ai complimenti sinceri che ricevevo dopo le proiezioni.
R.R.: Si sa che il progetto nasce dall’abbandono di un altro progetto, produttivamente più impegnativo, a causa dei problemi nel reperimento di fondi pubblici.
D.M.: La decisione di scrivere BEKET è nata dopo un anno e mezzo di rinvii ministeriali relativi alla mia domanda di finanziamento per un film sul ciclismo che si sarebbe intitolato “Doping”. Dalla domanda, ogni tre mesi veniva istituito un approfondimento istruttorio. A un certo punto è stato chiaro che il film non sarebbe stato realizzabile e da lì ho avuto come reazione immediata quella di dedicarmi alla scrittura di un film più minimale che infatti, alla fine, a copie stampate, è costato 70’000 Euro.
Il punto di partenza erano due personaggi che si trovano nel mezzo del nulla. Il “gancio” è stato “Aspettando Godot”, ma anche “Endgame”, di Samuel Beckett. Nell’opera di Beckett i personaggi si trovano in isolamento, i due personaggi principali sono in uno stato di costante attesa. Nel mio i due personaggi principali si trovano a una fermata d’autobus ma quando questo arriva, invece di fermarsi li sorvola e quindi loro si mettono alla ricerca di qualcosa.
Da qui i riferimenti a Beckett si diradano, anche se l’umorismo nero tipico suo rimane.
A me interessava rappresentare il falliento del genere umano e per Beckett il nascere uomo rappresenta già di per se una sconfitta.
R.R.: Quale sarà ora il percorso del film verso il pubblico?
D.M.: BEKET uscirà in Grecia, grazie al distributore Mikrokosmos, e nella Svizzera italiana.
Per quanto riguarda l’Italia, l’accordo dovrebbe chiudersi in settembre, è importante che il distributore capisca la giusta strategia distributiva per un film del genere, quindi poche sale nei capoluoghi per un lungo periodo che permetta al passaparola di fare giungere gli spettatori al cinema.


L’articolo è pubblicato su: Rapporto Confidenziale. Speciale 61° Festival del Film di Locarno.

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