West and Soda > Bruno Bozzetto

West and Soda di Mario Verger


Articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale numero5 – maggio 2008 (pag.4-5)
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West and Soda (Italia/1965) di Bruno Bozzetto

”West and Soda” è il primo importante lungometraggio in animazione prodotto in Italia dopo “La Rosa di Bagdad” di Anton Gino Domeneghini e “I fratelli Dinamite” di Nino e Toni Pagot e può essere a buon diritto considerato come il “primo classico dell’età moderna”. Gli ultimi tentativi compiuti erano stati quelli condotti durante la guerra da Domeneghini e dai Pagot. Bozzetto mise in cantiere sin dal 1963 a soli 25 anni questo film, la cui lavorazione durò due anni, realizzando un vero e proprio capolavoro della storia animata sotto ogni profilo, specie se si pensa alla sua giovane età. E’ importante ricordare che “West and Soda” ebbe quale sceneggiatore, il noto teorico Attilio Giovannini, lo stesso che curò il soggetto e la sceneggiatura originale de “I fratelli Dinamite”. C’è di fatto che, per quanto il disegno fosse ‘asciutto’, Bozzetto riuscì incredibilmente a realizzare un film western con attori disegnati; una sorta di “Mezzogiorno di fuoco” animato.I dialoghi, lo svolgersi della storia, la psicologia dei personaggi ne fanno un vero e proprio cult-movie del western-spaghetti, al pari dei film di Sergio Leone. Ermanno Comuzio, che definì “West and Soda” come “la disintossicazione dei luoghi comuni” parlando di uno “schema obbligato, quindi, che Bozzetto non si limita a prendere per il bavero nei suoi aspetti più scoperti, come succede nelle tante parodie con attori in carne e ossa, ma che rovescia completamente nella beffa feroce e nel ricorso all’assurdo: più che ai western da ridere, interpretati da attori comici, “West and Soda” fa pensare a quelli del cinema comico americano del periodo muto, che si reggevano come è noto non tanto sugli attori quanto sulle situazioni” (1). Soprattutto in “West and Soda” emergeva tutta la struttura narrativa del lungometraggio tradizionale non disgiunto, però, a geniali trovate comiche. Più che riusciti sono i personaggi come la bionda Clementina, la cow-girl che, con tono sicuro e i pantaloni gonfi ma stretti dagli stivali, manda avanti da sé l’intero ranch all’interno dell’unico appezzamento di terra della grande vallata.

Johnny, il buono, una specie di Gary Cooper in versione spaghetti, è un esile giovanotto dal tono sicuro, sempre con il mozzicone di sigaretta “attaccato” al labbro e col cappello che, spavaldamente, gli copre il viso. Divertente è quando, immerso in una luce da palcoscenico, il protagonista rinnova guardaroba e pistola, trasformandosi in una star cinematografica del filone western.
Gustosi i richiami “attuali”: il latte, già imbottigliato, è custodito, come in frigorifero, nel fianco della mucca; il cavallo di Johnny mostra il contachilometri; il ronzino del Cattivissimo fora una “gamba” che gli viene rimessa in sesto perché è a terra. Altro particolare è la carrozza del Cattivissimo munita di un clacson da fuoriserie americana.
Interessanti i personaggi di contorno che vivono nella fattoria come le mucche (2) “senza” i contorni, dove solo il viso è delineato dal tratto nero, rappresentate come tre zitelle pettegole di cui, Dolly, ha un fiocco in capo e un rossetto smagliante sulle labbra. Notevole è il cane Socrate, barbone di “nome” e di fatto, che, nonostante si aggrappi sempre alla bottiglia di whisky, è profondamente romantico.
Anche il Cattivissimo, doppiato da Carlo Romano, mostra la notevole ideazione grafica nell’occhio strizzato e nel sigaro sempre passato arrogantemente tra i denti, come anche i due “scagnozzi”, che sono il terrore del saloon e della cittadina western, sono più che riusciti: Ursus è in qualche modo più simile al Cattivissimo, Smilzo, dalla barba incolta e dai tratti accidentati e angolosi, trova specie nel duello finale, maggior protagonismo ed efficacia. Non si può, a tal proposito non ricordare la suspance data dal primo piano delle sue dita scarne, mentre lentamente cercano di avvicinarsi al calcio della pistola.
Se questi sono di Johnny i rivali, l’antagonista di Clementina è Esmeralda, la maliarda dal saloon, mandata dal Cattivissimo ad intrappolare Johnny per sapere, dopo essere stato ammaliato dalle sue doti femminili, dove si trova la miniera di pepite d’oro. Nella sequenza in questione è notevole la porta con la targa su cui è scritto E$MERALDA (invece di una ‘esse’ vi è il segno del dollaro), che si “apre” tridimensionalmente in fase di ripresa; come eccellente è lo sfilare dei veli colorati, vagamente flou, che si susseguono in sovrimpressione prima di giungere al salotto dove si trova la donna. I due vengono intravisti in finestra da Clementina, definita da Esmeralda come una “hostess da prateria”, la quale riparte, ingelosita in calesse a tutta velocità.
Oltre ad essere un continuo di trovate comiche e divertenti, il film non manca di accenti notevolmente realisti. L’invaghimento di Clementina verso Johnny appare evidente quando, al chiaro di luna, i due prendono il fresco alla terrazza della fattoria, ascoltando il suono lontano delle cicale. Non si può non notare l’eccellente resa che Bozzetto riuscì a dare in questo lungometraggio. Anche gli stati d’animo sono ottimamente descritti: Johnny, imperturbabile, se ne sta sdraiato con tono sicuro di sé mentre Clementina, più lontano, abbraccia un pilastro, sognando romanticamente l’amore ormai sbocciato col suo salvatore, accasciata in forma languida sul recinto della terrazza. Se Bozzetto avesse assunto graficamente un cliché realistico, non ci si sarebbe accorti che si tratta di “attori disegnati”. Ma egli non cerca di stupire tramite un segno accattivante; il suo è uno stile personale a tutti gli effetti; vi è anche un’ottima esecuzione degli effetti speciali, come il bagliore delle pepite d’oro e la polvere sollevata dai cavalli realizzate in sovrimpressione, come anche la luce abbagliante del sole.
Interessante è la sequenza, vista in lontananza, in cui il Cattivissimo cerca in tutti i modi ma invano di rovesciare un enorme masso per uccidere Johnny; questa scena, più bozzettiana, ricorda notevolmente alcune parti de “I due castelli”. Pieno di suspance è il duello finale, ricco anche di trovate; arguta e poetica la fine, quando tutti, Johnny, Clementina, le mucche e Socrate, vanno finalmente via con il calesse del Cattivissimo, verso un sole infuocato al tramonto sotto la bellissima musica western composta da Giampiero Boneschi.

Il film, girato in Eastmancolor, si avvalse, come direttore delle animazioni e dei lay-out, di Guido Manuli, e del giovane Giuseppe Laganà, allora agli esordi; di Franco Martelli e Luciano Marzetti per la ripresa; mentre la direzione artistica e le scenografie vennero curate da Giovanni Mulazzani, Giancarlo Cereda e Libero Gozzini. Non si può non ricordare l’eccellente apporto che diede lo scenografo Mulazzani, con i suoi splendidi sfondi stilizzati, arricchendo notevolmente lo spirito artistico del film.

Mario Verger (cinemino)

Note: (1) Ermanno Comuzio, “Piccola storia del disegno animato italiano”, in “Cineforum”, n.153, marzo 1966, p. 234. (2) Una somiglianza non da poco con le simpatiche vacche di “West and Soda”, emerge in uno degli ultimi film Disney, “Mucche alla riscossa”.

West and Soda (Italia/1965). Regia: Bruno Bozzetto; Sceneggiatura: Bruno Bozzetto, Attilio Giovannini; Dialoghi: Sergio Crivellaro; Musiche: Giampiero Boneschi; Fotografia: Luciano Marzetti, Roberto Scarpa; Direzione artistica: Giovanni Mulazzani; Durata: 86′.


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