Pietro Mereu

Pietro Mereu, Lanusei, 1972, ha lavorato come autore e consulente tevisivo a Roma e Milano. Cita come esperienza maggiormente formativa quella fatta con “Markette” di Piero Chiambretti, per cui ha lavorato sia in produzione che come autore di testi.
Oggi, nuovamente in Sardegna, ha fondato l’associazione culturale Cagliostro. Ha appena terminato di girare con Mimmo Lombezzi un’inchiesta sulla crisi in Sardegna e ha in corso altri due progetti.
Disoccupato in affitto, realizzato con Luca Merloni, è la sua prima prova nel documentario.

Roberto Rippa: Innanzitutto, com’è nata l’idea di realizzare Disoccupato in affitto in questa forma?

Pietro Mereu: Ho sempre avuto la fascinazione verso progetti “estremi”. Un giorno a Roma, mi viene l’idea di mettermi a vivere in un negozio di mobili di un mio amico, e “affittarmi” facendomi pagare per vivere là. Poi confrontandomi con il mio amico Luca Merloni, coautore del documentario, abbiamo scoperto David Rowe che a Londra indossò il cartello e trovò lavoro. Nasce così Disoccupato in affitto.

Ho letto che il documentario era nato come progetto televisivo, ambito nel quale sei stato attivo a lungo come autore. Cosa ha impedito che il progetto andasse in porto?

Il Progetto non era maturo per una televisione che rischia poco, come quella italiana. L’unico produttore interessato è stato Giorgio Gori, attuale spin doctor di Matteo Renzi, ma dopo una serie di ritocchi al format lui disse: “In TV non funziona parlare di disoccupazione”.

Il disoccupato in affitto del documentario sono nella realtà milioni di persone, ma a prestare loro il volto sei tu. Mi racconti la tua esperienza personale?

Io vengo da una famiglia che fino al ’98 il lavoro lo dava agli altri: mio padre e i fratelli avevano una società che operava nel settore delle costruzioni e siamo arrivati ad avere 180 dipendenti. Io ho lavorato anche in altri settori, tra cui vendita di pubblicità, agente immobiliare, organizzatore di eventi ma ho sempre cercato di seguire i miei sogni. A Milano dopo aver frequentato la Scuola di Cinema TV e nuovi media ho capito che il mio lavoro era quello della comunicazione. Non so se ci sono riuscito, mi sento un granello di sabbia nello show biz.

Disoccupato in affitto porta in primo piano una situazione disperante non solo per la mancanza di lavoro, ma anche per l’evidenza di un mondo sommerso fatto di precariato, di lavoro nero, di lavoro estremamente sottopagato, una piaga che della disoccupazione e dello sfruttamento della situazione è diretta conseguenza. Qual è la tua opinione a riguardo?

Io credo che da una parte si sia persa un’attitudine al sacrificio, dall’altra non c’è una ridistribuzione di ricchezza, anzi ogni anno che passa il denaro e i beni sono concentrati sempre in meno mani.

Vedendo il documentario c’è un’evidenza nella solidarietà da parte delle persone. Quanto pensi abbia influito la presenza della videocamera sulle reazioni delle persone che hai incontrato?

Credo che la telecamera abbia influenzato, anche se la bravura di Luca è stata quella di tenerla bassa, non invasiva. Nel documentario abbiamo chiaramente tagliato le scene in cui la gente non gradiva né la telecamera né la mia presenza.

Ciò che distingue il vostro lavoro dai reportage televisivi sull’occupazione è soprattutto l’ironia. Pensi che renda più efficace la descrizione della situazione? Che renda più potente il messaggio, intendo.

La verità. Io e Luca eravamo realmente disoccupati, ma la nostra esperienza ci ha permesso di dare un tocco professionale, anche se la forza di Disoccupato in affitto è di essere stato fatto con pochissimo denaro. Una cosa del genere rimarrà unica, almeno per noi. Credo senza falsa presunzione che Disoccupato in affitto potrebbe rimanere nella storia del cinema perché, come mi hanno detto alcuni, è oltre il cinema ”è l’Italia come nessuno vuole che si veda”.

Qual è stato il riscontro mediatico alla sua diffusione?

La rete è stata fondamentale, la mia passione per i social network e i contatti con alcuni giornalisti hanno fatto il resto. Infatti, l’11 maggio 2012 Distribuzione Indipendente ha diffuso Disoccupato in affitto in 24 cineclub in tutta Italia, oltre che su Own Air dove si può scaricare.

Quando avete girato e quanto a lungo è durata la realizzazione?

Abbiamo girato nell’arco di 40 giorni, con alcuni giorni di pausa. Dopo un primo montaggio, ne è stato fatto un secondo a marzo 2011.

Hai realizzato il lavoro con Luca Merloni, un giornalista. Quali sono stati i rispettivi apporti al progetto?

Luca Merloni è anche un regista, con esperienza soprattutto televisiva anche se ha girato qualche documentario e cortometraggio. L’idea è stata condivisa e creata da entrambi, noi siamo ideatori e produttori, Luca seguiva i miei deliri con la telecamera. Ero io che a fiuto fermavo le persone ed interagivo, lui seguiva. Mi ha dato un consiglio utile, rimanere abbastanza neutro, io di solito sono più estroverso e caciarone, si intravede in qualche fotogramma.

Chi ha aiutato te e Luca Merloni nella produzione?

I nostri genitori sono i nostri produttori, in seguito con la mia associazione culturale Cagliostro ho trovato dei fondi per il montaggio.

Nel 2009, il citato laureato inglese di nome David Rowe ha girato per Londra con un cartello attraverso il quale chiedeva di poter ottenere un mese di prova, per poi essere assunto o licenziato. Pensi che la risposta della politica al problema dell’occupazione sia diverso rispetto al resto dell’Europa?

L’Italia è un paese dove contano più le conoscenze del merito.

Avete trovato diversa accoglienza nelle nove città dove avete girato?

Il Sud è notoriamente più caldo, ma Milano ci ha accolti spaventata da una situazione che non avrebbe mai creduto di vedere: un disoccupato con un cartello.

Alla fine del documentario, il cartello che porti su di te cambia lingua, lasciando presagire il trasferimento all’estero. Il documentario è anche sottotitolato in inglese. Ha avuto una diffusione all’estero?

Abbiamo avuto qualche articolo all’estero ma per ora non è stato distribuito. Se ci fosse qualcuno che volesse distribuirlo noi ne saremmo ben felici.

Il documentario ha ormai un anno di vita e purtroppo non è affatto invecchiato. Pensate di seguire l’evoluzione della situazione attraverso altri progetti o considerate Disoccupato in affitto sufficientemente esauriente?

Il documentario è stato girato nel 2010 quindi ha più di due anni, poi è vero che è uscito la prima volta nel 2011. Ci piacerebbe girare la versione mondiale. Chissà se ci riusciremo.

Quante ore di girato avete e come avete lavorato in fase di montaggio?

Il girato era di 40 ore circa, abbiamo scremato i personaggi più interessanti. In una fase successiva abbiamo aggiunto più paesaggi, per dare un’idea di un viaggio in Italia un po’ particolare.

Come è avvenuta la scelta delle musiche di The Niro, alias Davide Combusti?

Davide veniva spesso a casa mia a Roma, perché era amico di un mio coinquilino. Appena gli ho chiesto se ci dava la musica ha accettato.

So che stai lavorando ad alcuni progetti legati alla Sardegna, tua terra di origine e ora di nuovo anche tua residenza. Ci puoi raccontare qualcosa in merito?

Io ho appena girato con Mimmo Lombezzi un reportage sulla crisi in Sardegna dal titolo La Grecia è qui. Lettera dalla Sardegna che andrà in onda su Rete4 per Storie di confine nel mese di dicembre. Ho altri due progetti di documentario, uno che ha un titolo Culurgiones mon amour e parla del culurgione, il tipico raviolo dell’Ogliastra, la zona da cui io provengo. L’altro è un documentario a sfondo sociale che girerò con una Onlus sarda. Inoltre ho due progetti televisivi imminenti, a novembre girerò con Studio Ray, una casa di produzione con cui collaboro, nella veste di conduttore una puntata pilota che parlerà di arte e sociale.

Disoccupato in affitto ti ha portato fortuna?

Si credo che nel periodo peggiore della mia vita, lavorativamente parlando, ho fatto la cosa più bella ed efficace. Tutti mi chiamano Disoccupato in affitto, non è il massimo ma credo che sia un marchio, ahimè, difficile da cancellare.

22 ottobre 2012

ARTICOLO su DISOCCUPATO IN AFFITTO su RAPPORTO CONFIDENZIALE

Fotografie: Daniele Innamorato



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