Les prédateurs de la nuit > Jesús Franco

Il Dr. Flamand (Helmut Berger) è un chirurgo plastico che opera in una clinica di lusso. Un giorno sbaglia un’operazione facciale ad una donna che rimane sfigurata e che, per vendicarsi, deturpa gravemente il volto di Ingrid (Christiane Jean) la sorella del medico gettandole un bicchiere di acido in faccia. Il chirurgo promette alla sorella che farà tutto ciò in suo potere, e anche oltre, per ridonarle la bellezza perduta. Flamand si mette in contatto con il Dr. Orloff (Howard Vernon), il quale da tempo ha smesso di operare, presumibilmente a seguito della buona riuscita dell’intervento sulla moglie (Lina Romay), il quale gli suggerisce di mettersi in contatto con un certo Karl Heinz Moser (Anton Diffring), un vecchio medico, allievo disconosciuto di Mengele, che durante la Seconda Guerra Mondiale ha eseguito esperimenti di trapianto facciale su cavie umane vive nei campi di concentramento nazisti. Nella clinica, nel frattempo, un’attempata paziente, la signora Sherman (Stéphane Audran) sostiene di essere a conoscenza delle crudeltà efferate perpetrate all’interno dell’istituto e per questo viene atrocemente eliminata. Per avere pelle fresca su cui lavorare, il Dr Flamand con la sua assistente, nonchè primario della clinica Nathalie (Brigitte Lahaie), comincia così a rapire giovani belle donne che, con l’aiuto di Gordon (Gérard Zalcberg) un servo muto e deforme, porta nella sua clinica per utilizzarle come cavie dei suoi esperimenti. Fra queste sfortunate c’è anche una giovane modella americana Barbara Hallen (Caroline Munro), alla ricerca della quale il padre Terry (Telly Savalas) invia un investigatore privato di sua fiducia di nome Sam Morgan (Christopher Mitchum). L’ultima delle vittime quella grazie alla quale Moser porta a compimento il trapianto facciale su Ingrid è una giovane attrice (Florence Guérin)

Les prédateurs de la nuit aka Faceless (I violentatori della notte, 1988) è la perfetta sintesi delle contraddizioni che popolano il cinema di Jesús Franco Manera, cineasta bulimico e “geniale” in grado di passare repentinamente da picchi autoriali al trash più scalcinato, talvolta addirittura, più volte, all’interno di un’unica pellicola. Proprio il suo essere sfuggente ad ogni classificazione e il suo essere in perenne equilibrio tra arte e ridicolo, così come il camminare costantemente sul filo del rasoio tra “impegno” e “dissacrazione”, lo rendono cineasta unico nel suo genere. Il suo punto di forza è sicuramene quello di costruire pellicole eterogenee modulate su diversi registri narrativi, utilizzando questi ultimi in maniera sorprendente e disfunzionale con la capacità e il coraggio di alternare l’horror più viscerale alla commedia più sguaiata, il thriller ansiogeno con siparietti camp, l’erotismo più spinto e sadico al gusto per il grottesco e per lo sberleffo. Les prédateurs de la nuit non fa eccezione, e nella sua incompiutezza rappresenta uno degli esempi più pregnanti per comprendere ed evidenziare le contraddizioni ontologiche di un cinema comunque la si pensi (nel bene come nel male) mai banale. Il film inoltre, nelle sue travagliatissime vicende produttive, denuncia l’impossibilità di un regista, abituato a lavorare in economia e circondato da una factory di collaboratori/amici fedeli, di confrontarsi con una troupe di oltre cinquanta persone, con una produzione internazionale e con un budget medio a disposizione: elementi che fanno riferimento alla figura del produttore, in questo caso Renè Chateau, con il quale Franco entra da subito in conflitto al punto che il film dalla pre-produzione alla post è costantemente segnato dai dissidi tra i due. Rapporto conflittuale che Chateau sembra chiudere in un primo momento con l’allontanamento del regista dal montaggio, salvo poi dover ritornare sui suoi passi, e richiamarlo per portare a termine l’operazione, altrimenti impossibile da distribuire.

Nel 1987 avviene l’incontro tra regista e produttore. Questo ha in testa un solo obiettivo, quello di lanciare nel cinema mainstream la moglie nonché ex-porno diva Brigitte Lahaie. Il progetto messo sul tavole è un remake di Les yeux sans visage (Occhi senza volto, 1960) del quale a Franco poco o nulla interessa. Quella che il regista intravede come opportunità è la possibilità di rientrare nel giro che conta avendo a disposizione un “super-cast” di attori cult (ma ormai da tempo in disarmo) e un budget medio che gli consente di raggiungere risultati eccellenti negli effetti speciali gore curati da Jacques Gastineau. Per il resto la produzione è un disastro: la troupe si rivela sin da subito sovraffollata e persino incompetente, Franco non riesce ad ottenere quello che vuole e non è capace di gestire un set anarchico e riottoso in cui c’è troppa gente fuori posto e molti sembrano capitati li per caso. La sceneggiatura del produttore René Chateau (che si firma Fred Castle) è una mezza porcheria, più vicina ad un soft-core che ad un film-incubo, piena di situazioni ridicole e inverosimili, attraversata da dialoghi sciatti e da fotoromanzo, con personaggi monolitici ed eccessivamente sbilanciata sugli aspetti gore e splatter. Franco fa fatica a controllare gli attori che non ha scelto lui (al posto di Berger avrebbe voluto Udo Kier) al punto che, paradossalmente (ma forse no) la migliore del lotto appare la poco espressiva Brigitte Lahaie, la quale supplisce alla carenze recitative con una presenza scenica sorprendente, facendo recitare il suo corpo e utilizzando il suo mestiere (maturato nell’hard) per rendere Nathalie indecifrabile, ambigua e perversa: una donna sola, spietata e robotica, ossessionata del denaro che lei intende come surrogato dell’amore negatogli dal Dr. Flamand.

Nonostante tutto il film viene terminato. Franco, al montaggio fa di necessità virtù, anche per contrastare l’insopportabile “Faceless” di Vincent Thoma, canzone che entra nel film sui titoli di testa e che scandisce praticamente ogni sequenza. Il producer’s-cut che prende in mano il regista spagnolo dopo essere stato richiamato da Chateau è inguardabile, e così a Franco non resta altro da fare che mettere a frutto il suo smisurato e folle mestiere per mettere delle pezze e salvare il salvabile. Alla fine Les prédateurs de la nuit è un film dignitoso, decisamente impersonale e fortemente sbilanciato su un estetica eighties: un melodramma horror, in cui, nel personaggio di Gordon che richiama quello di Morpho si intravedono echi degli esordi di Franco con Gritos en la noche (Il diabolico dottor Satana, 1961). Nel film riecheggiano atmosfere da softcore patinato, una inutile, quanto raffazzonata parte investigativa che non trova niente di meglio che far “litigare” Bogey con Maigret mentre fa capolino, solo saltuariamente, una crudeltà di stampo artaudiano (cara a Lucio Fulci) che non lascia indifferenti. Il sublime lo si raggiunge solo nella famosa sequenza dell’espianto cutaneo facciale. Florence Guérin nella parte di se stessa, un’attricetta tanto ingenua quanto “facile” è la vittima designata, la cavia che deve fornire a Ingrid il suo nuovo volto. Il Dr. Moser, prima di iniziare l’operazione sulla donna le dice: “La tua bellezza verrà comunque deturpata dal passare del tempo, io accelero solo questo processo”. Dopo aver estratto la pelle, il medico avvicina al viso sfigurato della donna, cosciente e sveglia, la maschera cutanea appena asportata e le dice “Guarda come eri bella”. Se non è sublime sadismo questo!

In realtà questo scatto d’orgoglio isolato del regista fa intravedere quello che avrebbe potuto essere il senso del film: Franco ha ambizioni, e nella sua irresolutezza un film come Les prédateurs de la nuit le mostra con lucidità e audacia. Ambizioni, quasi, sempre spropositate rispetto ai mezzi a disposizione, ma non si può non notare come in questo film gli strali del regista siano diretti sia verso la chirurgia estetica simbolo dell’edonismo anni’80 ormai al tramonto e sia verso una società che ha sostituito il tatto con la vista, una società-spettatrice che rinuncia a fare sesso per limitarsi a vederlo. Non è casuale quindi il ricorso agli schermi delle videocamere di sorveglianza attraverso cui il Dr. Flamand vede i giochi-fetish della sorella, l’amplesso lesbico tra Nathalie e Melissa, lo stupro di Gordon ai danni di Barbara, e come quegli stessi schermi mostrino, successivamente, le riprese amatoriali del rapporto incestuoso che condividono fratello e sorella. La Signora Sherman viene uccisa con una siringa che gli trafigge l’occhio, quasi un’irriverente omaggio al rasoio e al bulbo oculare di Un chien andalou (id, 1929), ma anche una greve metafora della penetrazione sessuale, mentre il gigolo muore dopo aver voluto “vedere” il volto di Ingrid nascosto sotto la maschera. Lampi nel buio, schegge impazzite di cinema tanto geniale quanto audace che naufragano in mezzo a scene ridicole e inopportune, come quelle comiche tra la baronessa e Flamand nell’atrio della clinica o quella ancor più inutile della scazzottata tra Morgan e Dudù.

Les prédateurs de la nuit ha un finale disarmante, un ultimo colpo di coda di un regista che non vuole abdicare e che non si sottomette al volere del produttore-cerbero. I “cattivi” trionfano e brindano a champagne sotto l’albero di Natale, i “buoni” vengono murati vivi e condannati a morire di stenti, mentre un padre che ha perduto una figlia, dall’America, non trova niente di meglio che mandare i marines (!) a Parigi. Chapeau “Zio Jess”.

Fabrizio Fogliato

Les prédateurs de la nuit
(titolo internazionale: Faceless / Titolo italiano: I violentatori della notte. Francia, 1987)
Regia: Jesús Franco
Sceneggiatura: René Chateau (come Fred Castle), Dominique Eudes, Jesús Franco, Michel Lebrun, Jean Mazarin, Pierre Ripert (non accreditati)
Musiche: Romano Musumarra
Fotografia: Jean-Jacques Bouhon, Maurice Fellous
Montaggio: Christine Pansu
Scenografie: Bernard Ciberot
Produzione: René Chateau
Interpreti principali: Helmut Berger (Dott. Frank Flamand), Brigitte Lahaie (Nathalie), Telly Savalas (Terry Hallen), Christopher Mitchum (Sam Morgan), Stéphane Audran (Madame Sherman), Caroline Munro (Barbara Hallen), Christiane Jean (Ingrid Flamand), Anton Diffring (Dott. Karl Heinz Moser)
98′



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