Colmare il vuoto. Pratiche di politica culturale

Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale, numero30 (dic/gen 2011), pagg. 71-72

Colmare il vuoto. Pratiche di politica culturale
Intervento di Giuseppe Spina – Nomadica, alla Mesa Redonda “Arte e Ideología” presso la “Escuela de Cultura Popular Mártires del 68”, 27 novembre 2010 (1)

Ciudad de Mexico, 26 Noviembre 2010

Faccio parte di una rete di cineasti indipendenti che fanno il loro lavoro in povertà, o con pochissimi finanziamenti. Cineasti di diversa nazionalità, e tra questi ci sono pittori, scrittori, musicisti. Lavoro in un paese culturalmente disintegrato, un paese ridotto a un bipolarismo culturale (berlusconi e antiberlusconi) che esclude totalmente qualsiasi altro tipo di discorso alternativo. E per “qualsiasi” intendo tutto ciò che è o potrebbe essere sociale e culturale ma che non rientra in questo binario rigido. La sinistra italiana, l’informazione e la diffusione di sinistra, sono entrati in questo vortice, riportando gli stessi identici argomenti, spesso volgari e inutili, trattati dai giornali e dalle TV di destra, facendo degenerare quei mezzi che invece avremmo dovuto avere a disposizione per intraprendere un discorso veramente alternativo. Questi mezzi (di sinistra, alternativi, etc), a distanza di dieci anni, non sono più seguiti, la gente li ha prima confusi e poi dimenticati, e oggi stanno chiudendo per fallimento. Questa è la condizione e il tempo in cui abbiamo iniziato a lavorare, circa 6 anni fa.
Questa rete – che si chiama Nomadica, come “nomade” e come quel “pensiero nomadico” a cui fa riferimento Gilles Deleuze parlando dell’impossibilità di incastrare e sodomizzare il pensiero di Nietzsche – questa rete sta creando un circuito di spazi in cui proiettare e diffondere con continuità pellicole che non hanno niente a che vedere con le pellicole mainstream (per quanto molti ricchi registi mainstream sono detti allo stesso modo indipendenti – ma credo che anche nel cinema il concetto di indipendenza vada totalmente rifondato o, sarebbe meglio, abbandonato).
Vi ringrazio per questo spazio in cui ho la possibilità di assistere e partecipare finalmente a qualcosa di dialettico, in un periodo in cui – in Europa – la dialettica sembra sparita nella dominazione totale dell’insufficienza, della deficienza, e della gestione di stampo mafioso di tutto ciò che è cultura e arte.
Mi auguro che questo intervento possa interessare le persone presenti perché vuole riportare una piccola esperienza che ritengo nasca, anche se in altre parti del mondo, per le stesse ragioni che ci portano a riunirci qui. Dico “ci portano”, e mi includo all’interno di questo incontro, perché credo che gli argomenti trattati qui siano oggi comuni non soltanto agli artisti mexicani, e perché credo si possa trovare, pur nelle enormi differenze sociali che distinguono i vari paesi, delle strade comuni da percorrere.

Il lavoro di Nomadica riguarda dunque da una parte un “mettere insieme” centinaia di autori e film – ma organizziamo anche esposizioni, incontri, taller (workshop, ndr.) – dall’altra entrare in contatto con centinaia di spazi, di realtà, di centri culturali, di associazioni in tutto il mondo. Centri in cui proiettare e organizzare incontri e scambi. Siamo qui in Mexico anche per questo, per allargare la rete anche a questo paese, cercare di abbattere i confini borghesi che ci rinchiudono nei nostri piccoli angoli di cultura e arrivare dunque alla gente, ovunque è possibile. Per dare spazio a queste pellicole e a un rapporto con la gente che è negato da tutti i circuiti commerciali e dalle sale da essi dipendenti.

Il lavoro che sviluppiamo, così come i film che da anni ricerchiamo e il lavoro stilistico differente che, secondo dei criteri precisi, viene inserito all’interno delle opere che compongono Nomadica, si pone quindi in antitesi con tutto ciò che è il cinema e la cultura di oggi. Ma questo non ci porta a rifiutare l’appoggio di istituzioni, se ne incontriamo di interessate al nostro lavoro. Non rifiutiamo l’appoggio di gallerie e centri di arte, se ne incontriamo di “puliti”. Non siamo un gruppo di “giovani”, non ci esprimiamo per la supremazia di uno stile sull’altro, non cerchiamo di surclassare gli artisti del passato. Pensiamo anzi che queste dinamiche facciano parte dei meccanismi di una storia e di una concezione dell’arte borghese, che incastra i procedimenti creativi inventandosi una continuità artistica tra periodi storici, movimenti, artisti scelti – tagliando fuori per sempre tutto il resto. Crediamo che il passato dell’arte non passi dai libri di storia.
Quaranta anni fa in Italia, Alberto Grifi, uno dei primi cineasti che aprirono la strada all’underground italiano, faceva la stessa cosa che io sto facendo stasera. Filmava eventi politici, intrecciava la politica all’arte, con l’aspirazione di fare arte. Alberto Grifi, dopo una vita di lavoro frenetico sull’immagine povera e in movimento, è morto a Roma due anni fa, d’infarto, senza un tetto, senza le giuste cure, nella povertà più assoluta. Oggi il lavoro di Alberto Grifi viene presentato all’interno degli ambienti accademici. Porto questo esempio solo per dire che non rifiutiamo il passato, ci facciamo carico e forza anche tramite esso, ma non possiamo assolutamente accettare o dimenticare tutte le ipocrisie istituzionali, non possiamo a mio avviso non riconoscere e non denunciare la gente incompetente e sfruttatrice, di destra come di sinistra, che sta dietro tutta la cultura, dietro l’arte, barricata nei “suoi” palazzi.

Per quanto ci riguarda non facciamo distinzioni tra il cinema e il video, come tra il cinema e le altre arti, quando sono il frutto di un sentire creativo e politico, e quindi vitale. E l’aspetto economico entra sempre e indubbiamente, in ogni tecnica e ogni arte, a far parte dello stile quanto del contenuto politico dell’opera. La povertà è sempre meravigliosamente riconoscibile, anche nel fare arte. Così come – dall’altra parte – gli aspetti economici dell’opera d’arte diventano fondamentali nella gestione della cosiddetta Arte Contemporanea, l’arte dell’opera pronta in tavola, “mangiata dal borghese” (2).
Abbiamo costruito questo circuito in sei anni di lavoro, e non sappiamo quanti ne mancano ancora per raggiungere quest’utopia. Il tutto è realizzato dall’esterno e dal basso, cioè restando fuori dalle inutili diatribe nazionali – ad esempio sui tagli al Fondo unico per lo spettacolo (il FUS, le miserie che lo Stato italiano investe per lo spettacolo e che la maggior parte dei cineasti italiani, in ogni caso, non vedranno mai) – e entrando in contatto diretto con la gente. Rendendola partecipe. La gente vede, organizza insieme a noi, e a sua volta fa vedere.
Restare fuori dalle diatribe dei partiti vuol dire oggi non dialogare con i mal-governi. E sempre più spesso penso che “otra campaña” – una politica di buon governo che con applicazioni differenti oggi potrebbe avere il suo effetto sui popoli vittima dei governi corrotti di tutto il mondo – debba assolutamente significare come prima cosa “otra cultura”. Senza un’impostazione culturale “altra” infatti, il livello culturale e di vita della gente continuerà a scivolare. In altre parole, la gente continuerà a votare, a sostenere o, per forza di cose, a condividere, questo sistema corrotto, distruttivo e inconcludente!

E allora, che fare ?
Parafrasando e sborghesizzando Jean Luc Godard, dobbiamo oggi dire che è più necessario lavorare su delle pratiche di politiche culturali che su una cultura politica. Cioè, credo sia più necessario escogitare delle tecniche di azione politico-culturale che agiscano in modo diretto sulle persone rendendole partecipi e attive.
Per far questo occorre sinergizzare gli sforzi, creare delle reti parallele a quelle del sistema dell’arte, reti dirette e indirette, reali e virtuali, rendere attivi e conoscitori dell’arte tutta quella miriade di piccoli centri culturali presenti in tutto il mondo. Creare dei collegamenti tra gli artisti, buttare il proprio ego nel cesso e considerare l’arte non come uno strumento per innalzarsi individualmente. Non guardare l’altro dall’alto in basso. Non è un problema se qui o lì ci sta poca gente, non dobbiamo contare le persone, dobbiamo intanto contare i nostri atti ed i luoghi in cui questi atti si possono sviluppare. Cercare di interpretare questo vuoto culturale creato dalla società come un qualcosa di prezioso, qualcosa che dobbiamo assolutamente riempire. Il tutto senza perdere mai di vista la soggettività di ogni individuo, e il rispetto per essa.
Le realtà con cui entriamo in contatto sono magari diverse da noi, ma stiamo sviluppando un discorso comune, stiamo così portando le nostre opere ovunque è possibile con dei costi estremamente contenuti – perché sono i film a muoversi. Creare o contattare riviste attraverso le quali possiamo comunicare le nostre posizioni politiche, denunciare questo sistema. Le realtà che collaborano con Nomadica contribuiscono a far circolare queste comunicazioni e in questo modo il cerchio si allarga sempre di più. Siamo coscienti che Internet è un motore di diffusione gratuito e gigantesco: migliaia sono i blog che possono diffondere le nostre idee, migliaia i giornali online. So che essere artista non vuol dire per forza essere un comunicatore, e sono il primo a deprimermi quando dall’altra parte trovo dei muri, cioè nella maggior parte dei casi. Però occorre cambiare le cose, occorre fare e fare in modo di trovare e connettere tutti coloro che sono interessati, anche dall’altra parte del mondo.
Creare strutture e reti parallele o agire all’esterno non vuol dire sicuramente stare fermi a guardare i “porci che continuano a ballare”(3). Non vuol dire perdere di vista la finalità a cui tutti dobbiamo continuare ad aspirare, cioè abbattere il sistema culturale, ossia il sistema culturale capitalista.
Riconosciamo tutti, in America come in Europa, in Giappone come in Cina, un sistema dell’arte omologato, in cui l’artista non vale più niente, è ridotto a essere una pedina nelle mani delle decisioni di una figura che dal punto di vista pragmatico – ma anche teorico – è spesso ben lontana dall’arte: il curatore! Il curatore è una bestia. Il cane da guardia del sistema presente in ogni arte, colui che decide chi va avanti e chi si ferma, chi entra o chi resta fuori in base a interessi economici e il più delle volte mafiosi. É un’entità che come ogni colonna portante del capitale si è diffusa in tutto il mondo. Come contrastare questo sistema? Semplicemente denunciandolo, ovunque sia possibile e in ogni occasione. Su internet, sulle riviste, nelle mostre, come nei nostri lavori. Non solo. Praticamente
«L’immagine che ti invio è uno dei cartelli realizzati con La Otra Grafica in occasione della XVI Conferenza delle Nazioni Unite sopra il Cambio Climatico che si terrà tra qualche giorno a Cancun»
credo che occorra mettere insieme dei collettivi di artisti e creare delle grosse esposizioni autofinanziate, nelle zone centrali delle città, come tra i contadini, e non solo agendo per strada. Occorre camuffarsi, affittare degli spazi borghesi, entrare in contatto col borghese, vendere se possibile e “farsi mangiare”, ma con la finalità precisa e subdola del farsi forti per continuare a marciare.
Non è impossibile, e più saremo e meglio andrà, occorre solo una profonda coerenza e una forte coscienza politica, prima ancora che artistica e culturale.

Giuseppe Spina – Nomadica

 

Note:

(1) La “Escuela de cultura popolare Martires del 68” è uno dei centri culturali e artistici più attivi e interessanti di Ciudad de Mexico (www.opcescuela.org). All’incontro erano presenti una ventina di artisti, molti dei quali figurativi, alcuni collettivi, Alberto e Cristina Hijar, Iseo Noyola. Il tema di fondo della “mesa redonda” riguarda il modo in cui l’arte deve incontrare la società, come l’artista può o deve entrare in relazione con essa. L’incontro si è successivamente trasformato in un progetto di unione, organizzazione e lavoro attivo. Rimandiamo la descrizione delle profonde differenze tematiche e politiche che contraddistinguono la vita mexicana dal mostruoso sonno italiano.

(2) In “Il Futuro è obsoleto (1996-1997)”, Canecapovolto; vedi Rapporto Confidenziale numero26 (giu/lug 2010), p.28-33.

(3) Da "Città-Stato [Anticipazioni#1 – 2008]", Giuseppe Spina. www.nomadica.eu/it/autori/CS.html

 


NOMADICA /// www.nomadica.eu

Nomadica è un festival itinerante di cinema e arti cinetiche nato con una finalità precisa: creare un circuito di distribuzione dal basso che permetta la divulgazione di centinaia di opere valide, prodotte in modo autonomo e indipendente. La rete è composta da tutte quelle realtà associative, pubbliche e private, che partecipano ospitando e organizzando proiezioni, incontri, attività artistiche legate al cinema. Un circuito di spazi e di gente interessata che consente la circolazione delle decine di opere che compongono l’Opera Nomadica, ossia l’elenco dei film che danno linfa al festival.

Ricercare le mappe del deserto che ci circonda, concepire il vuoto come qualcosa che va riempito. Distruggere quegli elementi moralizzanti che bloccano lo sviluppo del pensiero (e dell’azione) contemporaneo e che spesso ci convincono che stiamo davvero “al di fuori di”, allontanandoci dal quotidiano “deserto del Reale” – e sono i giornali, le riviste, la pubblicità, certa fotografia, certo teatro, cinema, arte, arte, arte. Come ci si regola nel deserto? Attraverso tracce e connessioni. E sono le connessioni l’ultima possibilità da noi visibile per rendere ciò che altrimenti è invisibile. Siamo carichi di opere profonde, lavoro di decine di autori, in povertà, produzioni autonome, da una parte, luoghi interessati e gente assetata dall’altra. Una moltitudine disarticolata, in un tutto geograficamente frammentato.

Nomadica è un progetto in divenire, al momento composto da circa 60 autori partecipanti, riuniti all’interno di diversi progetti di ricerca. Le realtà che, ad oggi, lo compongono sono circa 50, sparse lungo tutto il territorio nazionale e oltre. Partito agli inizi di Aprile 2010, ha già in programma più di 60 proiezioni, divenendo da subito un festival anomalo, in movimento, sotterraneo, che andrà avanti per un periodo indefinito.
Una nuova struttura, dunque, dalle molteplici finalità, tutte proiettate verso nuove possibilità di produzione, sostegno e diffusione di autori e artisti, che nasce dalla consapevolezza di una profonda ricchezza di stili, temi, ricerche nell’underground cinematografico italiano. Una consapevolezza che ci conduce a creare differenti forme di condivisione, che si modellano ai luoghi, donandosi a centinaia di persone.
Il Nomadica nasce da un’idea e dal lavoro di Giuseppe Spina, cineasta e co-fondatore di malastrada.film, un piccolo centro “esploso” per la creazione e la diffusione delle arti cinematografiche. Malastrada.film negli anni ha realizzato svariati progetti dal basso, creando delle connessioni inedite tanto a livello produttivo che divulgativo, sperimentando nuove tecniche di comunicazione via web e creando strutture e reti per il sostegno del cinema di ricerca.

NOMADICA /// www.nomadica.eu

 

 

 



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