Intervista a Sion Sono

Sion Sono è nato a Toyokawa, Aichi, nel 1961; ha cominciato a pubblicare poesie a soli 17 anni; ha esordito nel lungometraggio nel 1990, con “Bicycle Sighs”, un grande successo in Giappone; negli anni Novanta ha fatto scalpore nel suo paese con le sue performance di strada in un progetto di poesia intitolato “Tokyo GAGAGA”; in Francia è stato conosciuto attraverso “Otaku”, il documentario sul Giappone post-moderno di Jean-Jacques Beneix. Attivissimo ed eccentrico (sia come poeta che come cineasta), è diventato celebre nel 2001 con “Suicide Club”, uno dei suoi film più famosi, un thriller sconvolgente ispirato dall’alto tasso di suicidi del Giappone.
Nonostante sia uno dei più apprezzati esponenti della cultura giapponese moderna e uno dei cineasti contemporanei più dirompenti, nel nostro paese Sion Sono è noto solo a una cerchia ristretta di spettatori e critici, e nessuno dei suoi film è mai stato distribuito in Italia, a parte la presentazione di “Cold Fish” e “Himizu” alla Mostra di Venezia del 2010 e del 2011.
Il suo cinema, pur estremamente raffinato, tende alla “popolarità”, nel senso più moderno: visionario, provocatorio e torrenziale, mescola psicanalisi e Grand Guignol, mélo e cultura pop, horror e politica, serial killer e dark ladies, Nouvelle vague e Tarantino, una lucida disperazione per il vuoto nel quale si trovano immersi i giovani d’oggi e una testarda impronta anarchica che lo porta a non ripetersi mai, a non ammorbidirsi, ad andare sempre oltre. “Suicide Club”, “Into a Dream”, “Noriko’s Dinner Table”, “Strange Circus”, “Exte-Hair Extensions”, “Love Exposure”, “Cold Fish”, “Guilty of Romance”, “Himizu”, sono solo i titoli più noti della sua filmografia ricca e complessa.
[fonte: Torino Film Festival]


L’intervista a Sion Sono è stata realizzata da Giampiero Raganelli nel settembre 2010 durante la 67esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, occasione in cui il regista giapponese presentò in anteprima, nella sezione Orizzonti, “Tsumetai Nettaigyo” (Cold Fish).

 
Giampiero Raganelli: Nel film compaiono, come in altre tue opere (vedi “Love Exposure”) immagini dell’iconografia cristiana, come immaginette e statue, utilizzate con un intento dissacratorio. Qual è il tuo rapporto con la religione cristiana cattolica?

Sion Sono: Non sono un cristiano ma mi ha sempre interessato la figura di Gesù Cristo e la religione che la circonda, credo ci sia una grande possibilità di utilizzare tutto questo come una metafora, per cui, quando devo rappresentare il bene e il male, faccio ricorso a questi simboli – ed è una cosa che reputo davvero interessante da fare.

GR: Guardando “Cold Fish”, a differenza di molti tuoi film precedenti, si ha l’impressione che tu si sia trattenuto nell’utilizzo di effetti ‘gore’. Le immagini più truculente in questo film rimangono fuori campo. Come mai?

SS: Sono sempre stato attratto dal gore e dal sangue nel cinema, e questo nonostante il fatto che nella vita reale ho paura del sangue. Per esempio nel “Padrino” c’era la scena della testa del cavallo tagliata, un’idea che da bambino mi era piaciuta moltissimo. Tantissimi horror di successo facevano un ampio ricorso al sangue, tant’è che una volta colorai di rosso la l’acqua della vasca da bagno. Sono consapevole che questo rappresenta un aspetto perverso della mia personalità e del mio cinema, è un’attrazione molto infantile che da adulto non voglio ancora abbandonare.
Detto questo, con “Cold Fish” avrei potuto fare più ‘gore’ di quello presente nel film, ma è qualcosa che ho volutamente trattenuto. Per esempio la scena dello smembramento del corpo eravamo pronti a girarla in maniera molto più dettagliata, se avessi voluto l’avremmo realizzata in quel modo, ma ho cercato di farlo il meno possibile, e lo stesso vale per altre scene.

GR: Puoi dirmi qualcosa sui pesci nell’acquario presenti nel film? Sono animali esotici, come i pappagalli di “Love Exposure”…

SS: È una coincidenza che tu abbia trovato questi animali esotici nei miei film, non era mia intenzione usarli come simboli, ma volevo usarli come dettagli della narrazione nei miei film. Non è molto diverso dall’usare molta pioggia, che puoi vedere altrettanto spesso nei miei film.

GR: La famiglia disfunzionale torna spesso nel cinema giapponese contemporaneo, basti pensare a “The Crazy Family” di Ishii Sogo o a tanto cinema di Takashi Miike, come per esempio in “Visitor Q”. Mentre l’ambiente famigliare era una delle caratteristiche peculiari del cinema di centrale nel cinema di Yasujiro Ozu (1903-1963). Il vostro modo di trattare il tema della famiglia vuole essere un modo per distruggere il cinema classico giapponese dal suo interno?

SS: Ozu è stato il più grande rappresentante del cinema giapponese. La prevalenza di famiglie che potremmo definire “strane” è semplicemente dovuta al fatto che la distribuzione estera del cinema giapponese privilegi per lo più registi come me o Miike, cioè degli outsider nel panorama dell’industria cinematografica giapponese, o almeno questa è la mia impressione. In Giappone vengono girati tanti altri film che invece hanno al loro centro famiglie ordinarie, anche se personalmente non credo che questo tipo di cinema rappresenti in maniera accurata la realtà della nostra società. A me interessa il ruolo di provocatore nel cinema giapponese. Per questo motivo ho voluto mostrare una famiglia normale all’interno di un percorso verso la distruzione.

GR: Si sa poco dei tuoi primi film. Ci può dire qualcosa sulle origini della tua carriera?

SS: Non credo sia davvero necessario saperlo. Questi vecchi film potrebbero essere definiti sperimentali, mentre il primo film commerciale che ho realizzato è stato “Suicide Club”, nel 2002. Sperimentali nel senso di film di una durata di un’ora e mezza, in bianco e nero, con solo 13 sequenze molto lunghe.

GR: Mi puoi dire qualcosa circa tuoi eventuali modelli cinematografici?

SS: Mi piacciono registi italiani come Fellini, Abel Ferrara (!) e Dario Argento. Ma Fellini in particolare ha creato in me dei traumi.

GR: Quale sarà il tuo prossimo progetto?

SS: Il titolo del film è “Lords of Chaos”, è una storia vera accaduta in Norvegia, basata su fatti reali avvenuti negli anni novanta. Parla di un gruppo black metal composto da giovani che adorano il diavolo e che partecipano a riti satanici, andando in giro per il paese bruciando chiese. Un gruppo pesantemente coinvolto in attività anticristiane, un gruppo di persone che ha finito per ammazzarsi l’un con l’altro (il progetto di cui parla Sion Sono, ad oggi, non è ancora stato realizzato; Ndr.).

Intervista a cura di Giampiero Raganelli

Sion Sono – filmografia

· ORE WA SONO SION DA! / I AM SION SONO! (Giappone/1985, DigiBeta, 37’)
· OTOKO NO HANAMICHI / A MAN’S HANAMICHI (Giappone/1986, DigiBeta, 101’)
· KESSEN! JOSHIRYO TAI DANSHIRY0 / DECISIVE MATCH! GIRLS DORM AGAINST BOYS DORM (Giappone/1988, DigiBeta, 102’)
· JITENSHA TOIKI / BICYCLE SIGHS (Giappone/1990,16mm, 93’)
· HEYA / THE ROOM (Giappone/1992, video, 92’)
· KEIKO DESU KEDO / I AM KEIKO (Giappone/1997, video, 62’)
· DANKON: THE MAN (Giappone/1998, video, 60’)
· UTSUSHIMI (Giappone/2000, DigiBeta, 116’)
· JISATSU SAAKURU / SUICIDE CLUB (Giappone/2002, 35mm, 99’)
· NORIKO NO SHOKUTAKU / NORIKO’S DINNER TABLE (Giappone/2005, 35mm, 158’)
· YUME NO NAKA E / INTO A DREAM (Giappone/2005, DigiBeta, 103’)
· KIMYONA SAKASU / STRANGE CIRCUS (Giappone/2005, 35mm, 108’)
· HAZARD (Giappone/2005, DigiBeta, 103’)
· EKUSUTE / EXTE – HAIR EXTENSIONS (Giappone/2007, 35mm, 113’)
· AI NO MUKIDASHI / LOVE EXPOSURE (Giappone/2008, 35mm, 237’)
· CHANTO TSUTAERU / BE SURE TO SHARE (Giappone/2009, 35mm, 109’)
· TSUMETAI NETTAIGYO / COLD FISH (Giappone/2010, 35mm, 144’)
· KOI NO TSUMI / GUILTY OF ROMANCE (Giappone/2011, 35mm, 144’)
· HIMIZU (Giappone/2011, 35mm, 129’)



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