Pietro Marcello

Pietro Marcello
Una questione di sentimento

«Una questione di sentimento, di intimità». Così definisce il cinema il giovane regista Pietro Marcello. I suoi lavori, intrisi di immagini capaci di riempire la vista dello spettatore, si tengono lontani da intenti didattici e da intellettualismi devianti che possano allontanare da una fruizione semplice ed efficace dell’opera. L’attenzione alla forma non gli fa dimenticare l’importanza della figura umana nelle sue connotazioni fisiognomiche perché la profondità degli occhi, la luce di uno sguardo, un accenno di espressione o una semplice ruga può raccontare una storia molto meglio di mille parole. Si potrebbe definire un Romantico, forse uno degli ultimi sopravvissuti in una contemporaneità in cui la bellezza, quella pura, quella del sublime, non c’è più perché semplicemente non interessa più. E nonostante l’armonia novecentesca sembri essere ormai perduta, ecco che Pietro Marcello la ritrova e la documenta laddove pare esistere solo il brutto. La dolcezza e l’essenza stanno nelle piccole cose, la verità dell’essere umano si incontra in personaggi come Enzo e Mary (“La bocca del lupo”, 2009 dall’omonimo libro, capolavoro di Remigio Zena) e nella loro vera storia d’amore, che ci scaldano con la loro autentica umanità. La società li definisce emarginati: Enzo, emblema di un sottoproletariato scomparso e Mary, una trans diversa da tutti. Si incontrano in carcere ed iniziano ad amarsi, subito. Un amore , il loro, fatto di pazienza nell’attesa di incontrarsi fuori dal carcere, un amore fatto di messaggi su cassette registrate per accarezzarsi il cuore, un amore di altri tempi. Enzo e Mary raccontano la diversità e ci sorprendono per il messaggio di speranza che trasmettono. Personaggi così ce li immaginiamo malinconici, arrabbiati, tristi. E invece Marcello, scegliendo di riprendere la loro storia, ci fa confrontare esattamente con l’opposto. Probabilmente, quando si lotta per la sopravvivenza, quando si cerca di tirare avanti non ci si può concedere il lusso di perdersi nel disagio. Colpiti.

La bocca del lupo, 2009

Genova, città-scenografia del documentario, dialoga perfettamente con i due personaggi per il suo essere un luogo in bilico tra terra e mare, così come Enzo e Mary si trovano in bilico tra la durezza della vita reale e l’aulicità dei loro sentimenti.

Il passaggio della linea, 2007

Già con “Il passaggio della linea” (2007) il regista ci aveva offerto volti diversi, ben lontani dagli stereotipi formattati del cinema commerciale, volti che raccontano la storia di chi lascia la propria terra di origine per tentare una vita migliore e che si trova su un treno espresso notturno, tipologia ormai caduta in disuso, ancora di salvezza economica per tutti quei viaggiatori che si devono spostare per necessità e che di soldi da spendere ne hanno pochi. Un puzzle di racconti che corrispondono ad esperienze diverse ma comuni, in cui emerge la forza di sopravvivere, di tirare avanti in tutti i modi nonostante le infinite difficoltà. E non c’è niente di più vero delle loro parole che riferiscono una visione pragmatica (qualcuno la definirebbe cruda) della vita: I soldi sono la dannazione, noi siamo dannati a lavorare per i soldi (…) Siamo vincolati dai soldi: dobbiamo fare qualcosa ci vogliono i soldi, dobbiamo andare lì, ci vogliono i soldi, ti devi sposare ci vogliono i soldi, devi morire…anzi, non ti puoi neanche più permettere di morire che adesso per morire ci vogliono diecimila euro. Diecimila per dire poco: devi comprarti il loculo, devi fare i funerali…ci vogliono ventimila euro, costa più morire che sposarti a momenti.

Il silenzio di Pelešjan, 2011

Il suo ultimo lavoro, “Il silenzio di Pelešjan” (2011), è un film decisamente più sperimentale degli altri che evita comunque l’eccesso intellettualistico grazie alla presenza della voce del giovane regista napoletano. Seppur apparentemente distante dagli altri, non tradisce la sua ricerca: il silenzio delle immagini che ritraggono il grande maestro armeno sono perfettamente coerenti con il suo cinema, sono i suoi gesti e le sue espressioni a parlare mutamente per lui. Marcello e Palešjan condividono quindi uno stesso ideale poetico, in cui l’assenza di parole non spaventa, anzi, è elemento fondamentale tanto quanto lo è il montaggio. Ad esso, infatti, è dato un ruolo cruciale nell’eleborazione del materiale filmografico ed è attraverso esso che si propone una visione (o percezione) soggettiva della realtà.

E se il cinema può essere inteso, allora, come una sorta di fuga dalla realtà, il documentario è lo strumento per poterla interpretare. Perché ritrarre il presente è diffcile, ma Pietro Marcello ci riesce molto bene.

Cristina Terzoni

La bocca del lupo, 2009

“Il silenzio di Pelešjan” è in programma a 8 ½ – 5. Festa do cinema italiano, che si terrà in Portogallo a partire dal 12 aprile.



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