Chris Belloni

Intervista a CHRIS BELLONI
regista di I AM GAY AND MUSLIM

Chris Belloni (1980) ha tre fratelli, tra cui il suo gemello. È cresciuto a Haarlem, in Olanda, e si è trasferito a Amsterdam per studiare Scienze politiche e Studi europei. Ha conseguito il master nel 2006.
Appassionato viaggiatore (India, Medio Oriente, Africa dell’Ovest, Sud-Est asiatico), dopo un anno sabbatico trascorso in Israele ha iniziato a lavorare al suo primo film insieme a Chrissy van der Linden: “14 N, 16 W”. Il documentario narra le storie di persone disabili in Senegal. Nel 2007, all’alba della sua entrata nell’Unione europea, si è recato in Romania per intervistare i cittadini sulle loro aspettative.
Ha quindi fondato Stichting art.1, fondazione che prende il nome dal primo articolo della Costituzione olandese che stabilisce come nessuno debba essere discriminato per motivi religiosi, politici, di razza, per l’orientamento sessuale o qualsiasi altro motivo. La fondazione è la base su cui si posano i suoi progetti e i suoi film. “I Am Gay and Muslim“, documentario sul rapporto tra Islam e omosessualità in Marocco e presentato in questi giorni al Festival MIX di Milano, è in circolazione tra vari festival nel mondo.

Leggi l’articolo su “I Am Gay and Muslim” su RC.


Roberto Rippa: Da cosa nasce il tuo desiderio di investigare il rapporto tra Islam e omosessualità?

Chris Belloni: Negli ultimi anni, il partito olandese ‘PVV’ (Partij voor de Vrijheid – Partito della libertà – una coalizione di centro-destra dall’impronta fortemente nazionalista e euroscettica. Ndr.), guidato da Geert Wilders, ha portato all’attenzione dei media i musulmani olandesi e il loro prendere di mira e discrimanare la popolazione omosessuale, facendo pensare che si tratti di un atteggiamento generalizzato da parte dei musulmani in Olanda. Questo film si pone molti obiettivi.
‘I Am Gay and Muslim’ mira a far crescere la consapevolezza e spezzare il tabù che circonda l’omosessualità e allo stesso tempo a esporre un ampio spettro di dilemmi contro cui gli uomini lottano o hanno vinto nel passato. La Primavera araba si è svegliata anche in Marocco, la gente aspira a vivere apertamente e liberamente. Ho deciso di mostrare le persone che guardano avanti e non hanno paura di far conoscere le loro opinioni.
Quindi, ho tentato di offrire una piattaforma alle persone che non hanno voce nei media e nella politica.

RR: Come hai iniziato a lavorare al documentario, avevi già un’idea precisa su cosa avresti voluto o hai iniziato una volta giunto sul luogo?

CB: Non avevo un’idea precisa quando sono andato lì. Le mie prime visite erano pura ricerca. Ho attivato un profilo su Gayromeo (Social network nato in Olanda che vanta di essere il maggior portale in rete per uomini che cercano altri uomini per amicizia, relazioni, divertimento. Ndr.) e attraverso quello ho incontrato alcuni ragazzi disposti a partecipare a questo progetto.

RR: Quanto a lungo sei stato in Marocco per lavorare al progetto?

CB: Quattro mesi lungo diversi periodi.

RR: Quante persone hai intervistato e in base a quale criterio hai scelto quelli che appaiono nel film?

CB: Ho intervistato quasi cinquanta ragazzi. Nove tra loro erano disponibili a farsi filmare. Cinque tra loro appaiono nella versione finale.

RR: In una scena esclusa dal montaggio finale, si vede un interprete che si rifiuta di tradurre una domanda sull’omosessualità (potete vedere la scena qui). Hai incontrato molti problemi di questo genere?

CB: Si, è capitato spesso. Questo mi ha fatto decidere di non lavorare più con interpreti ma di intervistare solo ragazzi in grado di parlare direttamente con me in inglese.

RR: Quali sono state inizialmente le reazioni delle persone che hai contattato per le interviste?

CB: Nella maggior parte dei casi sono state loro ad avvicinare me grazie all’annuncio su Gayromeo. Questo ha fatto sì che potessi scegliere tra varie persone.

RR: Hanno avuto modo di vedere il film finito?

CB: No, fino ad ora no, purtroppo. L’intenzione era quella di organizzare una proiezione formale e privata all’Ambasciata olandese ma poi non se n’è fatto nulla a causa dell’eccessiva attenzione da parte dei media.

RR: Che idea ti sei fatto sul fatto di essere gay in un Paese a maggioranza islamica? Credi ci siano grandi differenze tra ciò che accade in Marocco e ciò che accade in alcuni Paesi europei? Penso soprattutto all’Italia di oggi che, tra l’influenza della chiesa cattolica sullo Stato, i governi che si sono succeduti – tutti privi della volontà di creare leggi contro i reati di stampo omofobo o a favore del riconoscimento delle coppie di fatto – il comportamento di certa polizia (che è capitato arrestasse per offesa alla pubblica decenza due persone dello stesso sesso solo perché si stavano baciando), il numero crescente di aggressioni di stampo omofobo, non pare poi così distante. Per essere un Paese europeo, intendo.

CB: Non credo ci sia molta differenza con Paesi europei religiosi. La maggior parte delle persone che ho incontrato erano di mentalità aperta e desiderose di adottare uno stile di vita moderno più dei loro connazionali emigrati in Olanda. La differenza però sta nelle leggi. Nell’Europa occidentale, ogni cittadino è protetto dalla legge, che tu sia gay o eterosessuale, bianco o nero. Questo non è il caso del Marocco dove, in quanto gay, puoi finire in prigione per un massimo di tre anni se sorpreso in flagranza di “reato”.

RR: Alla fine del film mi sono ritrovato a pensare che forse la spaccatura tra Islam e essere gay è meno profonda di quanto si pensi comunemente. Qual è la tua impressione?

CB: Si, è ciò che penso. In Occidente viviamo l’Islam come uno stereotipo. Spero che il mio film evidenzi come possano esistere molte interpetazioni dell’Islam. Volevo mostrare come la religione islamica non differisca poi così tanto dalle altre religioni. Il rifiuto dell’omosessualità ha generalmente radici culturali. Specialmente in Paesi patriarcali come il Marocco, la religione è usata come una giustificazione per il rifiuto.

RR: Consideri questo come un capitolo conclusivo sull’argomento o potresti proseguire la ricerca in altri Paesi?

CB: Mi piacerebbe davvero molto realizzare un’inchiesta in tutto il Medio Oriente. In questo momento sto lavorando a un documentario sui gay turchi di Amsterdam che, in occasione del gay pride, organizzano una crociera tra i canali della città.

RR: Da quante persone era composta la tua troupe? Era importante per voi essere una presenza discreta durante la lavorazione?

CB: Eravamo solo io come regista e intervistatore e un cameraman. Poi in Olanda c’era il montatore. Abbiamo lavorato come un gruppo piccolo e molto flessibile. Ci siamo dovuto spostare spesso a causa della polizia segreta.

RR: Il film è molto sofisticato a livello visivo. Hai lavorato con tuo fratello Bram, che è un affermato fotografo. È stata una scelta sin dall’inizio?

CB: No, ho iniziato a lavorare con un altro operatore di camera, Ruben. Quando la sua ragazza ha partorito, ha deciso di non proseguire il lavoro. Così ho chiesto a mio fratello Bram, che ha fatto un ottimo lavoro.

RR: Il film sta circolando tra vari festival in questo periodo. Cosa pensi accadrà da ora in poi?

CB: La presentazione ai festival è stata incredibile. Ogni giorno vengo invitato a portarlo a questo o quest’altro festival. A parte ai festival in Europa e Stati Uniti, presto parteciperà a festival in Paesi omofobi come Serbia, Kyrgyzstan e Libano. Non avrei mai potuto immaginare tutto questo.

RR: Hai fondato Stichting art.1, che ha prodotto questo film. Quali sono i progetti attuali della Fondazione?

CB: Quello sulla crociera dei gay turchi durante il gay pride, il cui titolo di lavorazione è “Turkish delight”.

RR: Quando inizi a lavorare ad un progetto, pensi a un obiettivo o ti lasci sorprendere dal corso degli eventi?

CB: Ho un vago obiettivo in mente, ma poi finisce regolarmente con il prendere una direzione differente, sorprendendomi molto. Girare documentari è come la vita stessa: imprevedibile e pieno di sorprese.

28 giugno 2012

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