LA MORTE TI FA GIOVANE
Il Natale, festa dark. È l’avvento del nuovo e ogni novità sulla terra fa proliferare nel vecchio tutte le sue resistenze. Ecco spiegato come mai risulta tanto difficile cambiare le cose e perché, paradossalmente, si tende in ogni caso a (ri)gettare il vecchio. Facciamo fatica a comprendere che il nuovo è nel vecchio. Cioè più si invecchia più si è nuovi (rispetto a quel nuovo ormai vecchio: un altro io).
Simbolicamente, il 12 è l’unità perfetta (Dio, ma anche il principio di piacere) che evolve nell’altra dimensione, in un duale ormai principio di realtà. È il bambino (Gesù o il Sole) che si sostituisce, non senza dolore, all’autorità del Padre. Ogni ritualismo d’attacco si muove verso questa indispensabile divisione (in greco: diaballo, da cui diavolo), alla base delle evoluzioni personali e sociali, edipiche. O della «tragedia» del santuario di Diana Nemorensis di cui parla James Frazer ne Il ramo d’oro. Lo scenario, ricordato da Coppola in Apocalypse Now, dove un sacerdote si guarda attorno, spaventato, in attesa del necessario nemico/sostituto/figlio.
Come festa pagana prima che cristiana, il Natale dovrebbe caratterizzarsi per l’inversione dei ruoli posta come naturale ordine cosmico. Nei Saturnali, per esempio, al pari dei nobili che indossavano le vesti dei pezzenti (da cui l’immagine del re dei re nato in una stalla), i bambini si facevano vescovi, cioè anziani sapienti, elargendo doni. Quei bambini sono diventati poi Babbo Natale, un vecchio buono. Bimbo e vegliardo sono consustanziali, come passato e futuro. Molta iconografia africana raffigura su uno stesso piano piccoli e anziani, fatti della stessa sostanza, lo si vedeva anche in Kirikù e gli animali selvaggi. In Occidente, invece, la frattura è sempre in agguato. Spezzare questa congiunzione naturale è l’incubo-fantasma che attanagliava i racconti di Natale di Dickens, intrisi soprattutto del nuovo terrore che la rivoluzione industriale avrebbe portato in termini di cancellazione di sentimento, crescita affettiva, evoluzione autentica. Terrore rivelatosi fondato, purtroppo. Rimozione della morte, del tempo e del nuovo. Innaturale aspirazione a un eterno presente oggi raggiunto in pieno dal post-moderno putrefatto di merci o dalla crisi senza volontà di uscita.
Robert Zemeckis ha costantemente esplorato con ostinazione questo sentimento, pur nell’eclettismo continuo della sua forma-cinema. Si trattasse di esplorare, edipicamente, il confronto padre/figlio (Ritorno al futuro, l’altro, emblematico, film natalizio Polar Express), del nuovo ordine che trasforma il vecchio caos (Beowulf) o dell’attrito dei “tempi”: il tempo sociale e quello individuale (Castaway), il conflitto, in termini estetici fisici, di vecchio e nuovo (La morte ti fa bella e Flight). Un’esplorazione avvenuta sempre a tutto campo, con il coinvolgimento pieno dell’aspetto formale, del look tecnologico delle sue opere. Paradossi temporali, viaggi mentali (Contact, Le verità nascoste), ibridi contro-natura (Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Forrest Gump). E, con i tre sottovalutati film in performance picture, classicità e iper-modernità techno (il morto e il futuro) si sono fusi, conviventi come l’anziano Ebenezer Scrooge e il piccolo Tiny Tim nel fermo-fotogramma finale di A Christmas Carol.
Il film è significativamente incorniciato tra questa immagine trionfante e risolutiva che interrompe una serie assortita di roboanti scene action (corse, scivoli, voli e capitomboli) e l’incipit con il primo piano di un morto dentro una bara (Marley), immagine statica da cui origina il movimento/motion del racconto (e i volatili movimenti dei titoli di testa). La dichiarazione d’intenti che riscrive radicalmente lo spazio-tempo, affermando perentoria che lento è veloce e morto è vivo. E viceversa. Tutta la storia è la cronaca di un viaggio interiore, un incubo in tempo reale che dilata in un’ora e mezzo di film (o in un centinaio di pagine di racconto) quei 3 o 4 minuti di sogno che rendono la coscienza espansa. E’ un trip di immagini-simbolo. Avviene sette Natali dopo il prologo. 7 è il numero della reintegrazione e della salvezza nonché del compimento.
Pasolini diceva che non esiste un dizionario cinematico. Al cinema, l’immagine di un cane è già enunciativa: «ecco un cane, questo cane». Vero, ma solo in parte. Le immagini, come il linguaggio, non sono (sempre) realistiche. Un cane è anche il cane, come un vecchio è il vecchio (non necessariamente tale). Scrooge è quindi un soggetto universale: personaggio/vecchio che non si adatta al nuovo/altro, odia i bambini/gli altri perché crede ci siano già troppi esseri umani sulla terra, vorrebbe avere/essere tutto per sé. E’ tirchio, è anale, è l’archetipo dell’uomo industriale e globale: autosufficiente, arido, irriproduttivo, felice nella sua infelicità. Lo dovreste già conoscere, proprio l’uomo di oggi. Più evidente tra i politici e i potenti, come ci mostrano i nostri dickensiani hard times, è tuttavia dappertutto. Anche (soprattutto) tra i giovani, persino tra i poveri. Aver avvolto tale personaggio unidimensionale nella scelta espressiva del 3D appare ironico e coerente. I tre fantasmi di passato, presente e futuro che conducono il taccagno patologico a un viaggio gotico dentro il proprio sé inscrivono la vicenda in un preludio di cambiamento. Racconto di Natale, di Dickens come di Zemeckis, coglie in termini di fabula la percezione che precede ogni trasformazione. L’attimo in cui sta per giungere (e giunge) il visitatore notturno. Il momento epifanico. Prima del IV secolo, il 6 gennaio era considerato il giorno della nascita di Cristo.
In un film poco noto degli anni ’90, Prelude to a Kiss (in italiano il titolo ellingtoniano è diventato Doppia anima) tra una coppia perfetta (Alec Baldwin e Meg Ryan) si insinuava un vecchio, ovvero, in termini generali, il vecchio. Dal punto di vista narrativo, il bacio dell’anziano alla giovane sposa creava un paradosso spazio-temporale e spazio-biologico. Lui diventava lei e viceversa. Era il bacio che trasforma, come nelle favole. In realtà (metaforica, psichica) si parlava della consapevolezza dell’invecchiamento – dello scorrere del tempo – insinuatasi gradatamente all’interno di quell’illusione di eterno presente che è l’amore. Una volta accettata tale consapevolezza, l’incantesimo finiva per sciogliersi. Facendo arrivare la vera felicità, che non può che incorporare in sé l’evidenza del proprio limite, del suo scorrere verso la vecchiaia/morte. La morte ti fa bella. La morte ti fa giovane. Ti espande. Ti fa riprodurre.
La trasformazione di cui ci parla Dickens è proprio quella del Vecchio-Tempo-Kronos-Saturno detronizzato da Giove-Splendore-Gesù-Bambino. E’ l’auspicio che il vecchio malefico, il pianeta malinconico diventino davvero «il grande benefattore» e il piombo si trasformi alchemicamente in oro. Ma l’uno nasce dall’altro, il secondo è derivazione del primo. Un bellissimo film inedito di John Sayles, Honeydripper, lo spiegava scegliendo come punto d’osservazione la cultura africana americana, da sempre privilegiata nel porsi come spazio di mezzo, all’incrocio tra bene e male, sapendo che ogni scelta definitiva deve passare attraverso il suo contrario. Anche l’illustrazione zemeckisiana è cupa e luminosa, gioiosa e tetra, movimentatissima e statica, artefatta e autentica allo stesso tempo. Ha la suprema coerenza dell’incoerenza. Sulla scia innevata di Polar Express, riscrive la parabola natalizia nei termini ambigui, horror e mentali (Jim Carrey interpreta Scrooge e i fantasmi) che più gli pertengono. Sono forse la fedeltà al testo di appartenenza e la produzione Disney a impedirgli di spostare esplicitamente il tema verso una più stimolante attualizzazione. E tuttavia si tratta ancora di apparenza. Zemeckis sa molto bene che l’attuale nuovo è solo vecchio.
Leonardo Persia
A Christmas Carol
(USA, 2009)
Regia, sceneggiatura: Robert Zemeckis
Soggetto: Charles Dickens
Musiche: Alan Silvestri
Fotografia: Robert Presley
Montaggio: Jeremiah O’Driscoll
Scenografie: Doug Chiang
Effetti speciali: Michael Lantieri, Robert Calvert, Robert Cole
Interpreti (voci) e personaggi principali: Jim Carrey (Ebenezer Scrooge, Spirito del Natale passato, Spirito del Natale presente, Spirito del Natale futuro), Gary Oldman (Bob Cratchit, Jacob Marley), Colin Firth (Fred), Bob Hoskins (Fezziwig, Joe), Robin Wright Penn (Belle), Cary Elwes (Uomo corpulento, Dick Wilkins), Lesley Manville (signora Cratchit), Fionnula Flanagan (signora Dilber), Sammi Hanratty (Fan)
92′