Lost in Space (Odyssey)
Il numero 2 è fondamentale nell’opera di Stanley Kubrick, tutta basata sul doppio e costituente essa stessa un raddoppiamento. Di un testo letterario pre-esistente (Lionel White, Humphrey Cobb, Howard Fast, Vladimir Nabokov, Peter George, Arthur C. Clarke, Anthony Burgess, William M. Thackeray, Stephen King, Gustav Hasford, Arthur Schnitzler). E del genere in quanto tale (il noir; il war movie; il peplum; la fantascienza; l’erotico; l’horror), rielaborato in chiave freudianamente unheimlich (opposto di ciò che è familiare) ovvero ri-visto e ri-analizzato filosoficamente fino a spiegarne dinamiche e significati più profondi.
In particolare, i film di Kubrick raccontano del due messo in contrapposizione ad un uno, evitando il movimento in avanti che superi la dualità con l’implicazione di un rapporto generante il tre (l’inizio-centro-fine aristotelico). In questo modo, la storia non ha fine, si riarrotola su sé stessa – caratterizzandosi anche iconograficamente come cerchio – e nega ai propri eroi (e agli spettatori) lo svelamento del mistero. Con un ulteriore raddoppiamento, ciò avviene all’interno di un’opera oscillante, come ha scritto Sandro Bernardi, tra opposti movimenti. Tra tradizione (il genere di cui sopra) e avanguardia, e, di conseguenza, tra passato e futuro, tra la freddezza del sense e il calore della sensibility: «logopatica» (logos + pathos) la chiamerebbe Julio Cabrera. Unione degli opposti e fine come inizio: è il principio dell’ouroburo, simbolo della totalità originaria che, costituito da un serpente che si morde la coda, raffigura un cerchio. D’altronde, è lo stesso Freud ad avvertirci che la parola heimlich, e con essa il concetto che designa, «nelle sue diverse sfumature di significato, ne ha una che è identica al suo opposto, unheimlich».
L’Odissea, il testo omerico di cui 2001: odissea nello spazio costituisce una geniale parafrasi, è pure basato su un contrasto di tempo (quello accorciato da Ulisse per tornare a Itaca; quello esteso da Penelope e la sua tela per far fronte ai pretendenti), ma il valore di viaggio di iniziazione in esso contenuto, che costituisce il senso della civiltà e della letteratura occidentali, risulta completamente abolito dalla pellicola kubrickiana, che nega nostos, risoluzione della vicenda, caratterizzazione psicologica ed evoluzione bachtiniana dell’eroe (viaggio orizzontale finalizzato a una verticalizzazione/crescita). Quest’ultimo è davvero Outis, Nessuno (o tutti), che sia una scimmia, il dottor Floyd o gli astronauti Poole e Bowman, le cui vicende, collegate come in un’unità raddoppiata, costituiscono il continuum narrativo del film.
Il titolo pone un intervallo (il doppio zero) tra i numeri, 2 e 1, in conflitto, spiegando sia l’impossibilità del ritorno (nostos) all’unità primordiale, qui costituita dall’alba dell’uomo e dalla “perfezione” scimmiesca; sia del superamento/sintesi del 3 ottenuto attraverso il progresso e la moltiplicazione (del tempo, della tecnologia, dell’intelligenza). Da questo punto di vista, il film risulta totalmente inscritto nel suo anno di produzione, il 1968, delle cui ancora imbattibili mitologie (demistificazione della società tecnocratica; culto dell’utopia; critica della razionalità; attacco al linguaggio de-semantizzato) costituisce una sintesi colta, affascinante e filosofica.
La sua tesi è che l’uno primordiale e pacifico (scimmie erbivore e conviventi con altri animali) finisce per diventare due problematico e “separato” con l’ingresso del pensiero. Al pari de La dialettica dell’illuminismo (1947) di Adorno e Horkheimer, best seller sessantottino, citato quasi esplicitamente nella stanza rococò del pre-finale (che sta a 2001 come a Shining la stanza 237 – il cui totale dei numeri è 12, ancora uno che diventa due), il “lume” dell’intelligenza diventa proporzionale ad aggressività e ferinità dalle quali si vorrebbe prendere le distanze. Tra le scimmie, infatti, è proprio lo sviluppo storico (hegeliano) del pensiero (propriamente, la scoperta del risparmio e la consapevolezza/rimozione della morte) a determinare altresì la possessività capitalistica e l’aggressività bellica (il concetto è evidente nella versione integrale del film, con il prologo preistorico assai più armonioso e preciso). Inoltre, il dominio sulla natura si accompagna al distacco da essa, divenendo inevitabilmente estrema artificialità, laddove Omero (cfr. Annie Bonnafé), parlando invece dell’olivo e dell’olivastro spuntati da uno stesso tronco a protezione di Ulisse nella terra feacica, svela un trait d’union, non certo un match, tra «selvatico» e «coltivato», tra natura e cultura, quindi tra 1 e 2.
HAL 9000, simbolo tecnologico del fine progressivo, e quindi caratterizzato dal numero 3 (le tre lettere del nome; i tre zeri: il 9 che è un multiplo di 3), si rivela però un diabolico doppio: dell’uomo (la clonazione della sua intelligenza) o del divino (l’occhio di Dio e di Polifemo); anche con il noto gioco crittografico che, mediante avanzamento delle lettere alfabetiche da cui è formato il nome, si trasforma in IBM. D’altronde, se i tre episodi del film sono “aggrediti” dai due lunghi spazi neri di prologo e intervallo (significanti senza significato come il monopolio che appare quattro volte, doppio del doppio), da un punto di vista iconografico, il film è tutta una contrapposizione tra cerchi e quadrati, i quali, nell’alludere simbolicamente alla separazione tra cielo e terra, alla mancata quadratura del cerchio e al conseguente nostro smarrimento nello spazio, costituiscono un equivalente figurativo del conflitto originario tra 1 e 2. Aspettando il 3 – la completezza, l’utopia, la rivoluzione – come si aspetta Godot.
In tale rito di attesa «ci si può così divertire a riannodare le fila di mille corrispondenze: il ritorno cabalistico del numero tre (dalle tre note iniziali ascendenti dello Zarathustra di Strauss alla continua giustapposizione di tre elementi Sole-Terra-Luna, Giove e due dei suoi satelliti, Hal-Bowman-Pool, ecc.), oppure i numerosi ‘compleanni’ che ritornano nel film (la nascita del nostro pianeta, l’alba dell’uomo, il compleanno della figlia di Floyd, quello di Frank Pool, la rinascita di Bowman) » (Sergio Toffetti, Stanley Kubrick, 1978).
Leonardo Persia