“He was turned to steel / In the great magnetic field / When he travelled time / For the future of mankind”.
Black Sabbath – Iron Man
“Tetsuo è come un preziosissimo, incantevole primo figlio. A volte il primo film di un regista diventa un film di culto, come Eraserhead, Evil Dead o Texas Chainsaw Massacre e questa è una cosa rara, speciale. Quando ho fatto il film avevo proprio voglia di sperimentare, ho avuto una specie di folle entusiasmo ed ero veramente immerso al suo interno. Ripensandoci ora, il film è diventato qualcosa di molto bello e prezioso. Credo che solo il tuo primo film possa avere questo valore speciale”.
Tsukamoto Shinya (1)
“Se lo paragono a Tetsuo […] questo fratellino è più come un secondo figlio cinico. Come genitore gli ho dato un sacco di amore, proprio come agli altri miei figli, ma nonostante tutto si è rivelato piuttosto cinico. Se ci siano altre persone che lo amano quanto me, non l’ho ancora capito. Ha ricevuto una menzione speciale della giuria a un festival e la gente mi ha detto che è un buon premio, ma trovo che sia un riconoscimento occasionale […] Tetsuo II non è né un bambino abbandonato, né un bambino soffocato dall’amore. È una specie particolare di cinico, un bambino con sentimenti contrastanti. Ma Tetsuo II mi ha permesso di viaggiare all’estero e di incontrare un sacco di gente. Mi resi conto che anche nei paesi stranieri ci sono molte persone che amano i miei film, quindi in un certo senso è stato un punto di svolta anche per me. Inoltre, è il primo dei miei film che mostra chiaramente il tema dell’uomo moderno nel suo ambiente urbano e anche questo lo rende un film speciale”.
Tsukamoto Shinya (2)
Il cinema di Tsukamoto Shinya è sempre stato intimamente legato a tematiche riguardanti il corpo. Se infatti scorriamo la sua filmografia troviamo una serie di opere che hanno sempre avuto tra i suoi argomenti principali quello della corporalità, delle sue conformazioni e del suo rapporto con l’ambiente circostante. Fin dal primo cortometraggio Futsu saizu no kaijin (The phantom of regular size), egli ha tentato di concentrare la sua attenzione sulle metamorfosi corporee e le ibridazioni dell’uomo con la macchina. Bisogna però osservare che forse è proprio con Tetsuo – The Iron Man e Tetsuo II – Body Hammer che la riflessione di Tsukamoto sul corpo si fa assoluta e multi stratificata, ponendosi in un certo senso anche come sintesi di tutta una parte della sua opera. Questi due film “infatti propongono un recupero della soggettività attraverso la ‘ri-scoperta del corpo’ e la conseguente liberazione dell’individualità attraverso la personificazione mitica […] strutturando il tutto in una serrata dialettica tra corpo individuale – vecchi e nuovi corpi – e corpo sociale – l’uomo pensato come macchina, la macchina incorporata nell’uomo” (3). Ma le considerazioni più interessanti nascono forse dagli argomenti riguardanti i limiti di questi corpi “vecchi e nuovi” e sul come essi possano comprendere fino a che punto abbiano la capacità di restare integri nella moderna società tecnologica. Le loro trasformazioni e il loro combattere/sfruttare/patire le nuove forme tecnologiche sarà ciò che, più di ogni altra cosa, mi premerà affrontare in questo saggio.
Parte I – Un uomo antiquato
Vergognarsi della cosa
La scena di Tetsuo che più delle altre riesce a rimanere impressa nella mente dello spettatore è sicuramente quella relativa alla trasformazione del pene del protagonista Tomoo Taniguchi in una trivella meccanica, un momento “che contiene in nuce tutte le peculiarità del cinema di Tsukamoto: la putrefazione della carne e il suo divenire metallo, la commistione dell’umano con l’inorganico, il furore sessuale” (4).
Questa scena è però emblematica anche per un altro motivo: mi aiuta a introdurre quella che ritengo una delle riflessioni più stimolanti suscitate da entrambi i film trattati in questo saggio e cioè su ciò che Günther Anders chiamava “dislivello prometeico”; il filosofo tedesco definisce “dislivello prometeico”: “l’asincronizzazione ogni giorno crescente tra l’uomo e il mondo dei suoi prodotti, la distanza che si fa ogni giorno più grande” (5). Avvenuta la trasformazione, la trivella è infatti l’oggetto che crea la distanza tra l’uomo e il suo prodotto, è ciò che fa sfuggire la situazione al suo controllo, portando così Taniguchi a uccidere la donna che si trova assieme a lui. La sostituzione immediata e repentina del suo organo sessuale con la trivella si pone quindi come metafora dell’inadeguatezza dell’essere umano a riuscire a gestire in modo funzionale gli oggetti che produce. Inoltre, quello che si vuol rappresentare sembra proprio essere “la incapacità della nostra anima di rimanere up to date, al corrente con la nostra produzione, dunque [la necessità] di muoverci anche noi con quella velocità di trasformazione che imprimiamo ai nostri prodotti, e di raggiungere i nostri congegni che sono scattati avanti nel futuro […] e che ci sono sfuggiti di mano” (6). Le nostre modalità di produzione hanno raggiunto una tale velocità che non riusciamo più nemmeno a esprimerci, perché è l’oggetto che produciamo che comunica al posto nostro. La trivella catalizza in tutto e per tutto l’eccitazione di Taniguchi riconfigurando la sua stessa volontà, decidendo per lui ogni movimento e ordinando al suo corpo come intraprendere ogni singola azione. L’uomo è diventato oggetto, l’oggetto si è fatto uomo.
Un altro concetto molto interessante introdotto da Anders, che si pone sulla scia del “dislivello prometeico”, è quello di “vergogna prometeica”; con ciò egli vuole indicare la “vergogna che si prova di fronte all’‘umiliante’ altezza di qualità degli oggetti fatti da noi stessi” (7). Nella prima sequenza di Tetsuo, un uomo cerca di integrare un bastone di acciaio nella sua gamba destra per cercare di trasformare la carne in metallo. Ma l’esperimento non andrà a buon fine: il taglio profondo che si provoca per poter inserire il bastone gli procurerà una terribile infezione. Solo successivamente – una volta fuggito in preda al panico dal suo rifugio-laboratorio -, a causa di un incidente con un’automobile, potrà raggiungere la metamorfosi in uomo d’acciaio. “Il desiderio dell’uomo odierno di diventare un self-made man, un prodotto, va visto quindi su questo sfondo mutato: Non già perché non sopporta più nulla che egli stesso non abbia fatto, vuole fare se stesso; ma perché non vuole essere qualche cosa di non-fatto. Non perché provi indignazione per essere fatto da altri (Dio, dèi, natura), ma perché non è fatto per nulla e, nella sua qualità di non-fatto, è inferiore a tutti i suoi prodotti fabbricati” (8). Circondato da un mondo meccanico e incredibilmente industrializzato l’essere umano cerca di mutarsi negli stessi oggetti che lo circondano, cerca di rendere meccanica la sua fisionomia, prova ad annullare la sua invidia per la cosa trasformandosi in cosa. Ma il processo di trasformazione inizia in realtà prima di aver deciso di percorrere la strada della metamorfosi; infatti, “vergognandosi […] di non essere una cosa, l’uomo ha compiuto un passo innanzi nella storia della sua riduzione a cosa: è arrivato al punto di riconoscere la superiorità delle cose, di mettersi sul loro stesso piano, accetta la propria riduzione a cosa e rifiuta di non essere ridotto a cosa, lo considera un difetto” (9).
Un altro momento cruciale per quanto riguarda l’avvicinamento alla “cosa” da parte di Yatsu (questo è il nome dell’uomo che prova a inserirsi l’acciaio nella carne) è quello relativo all’incidente; infatti, prima dell’impatto dell’automobile con l’uomo il tempo sembra congelarsi e una serie di dettagli insistenti dell’auto vengono accompagnati da una musica sensuale e provocante, come se si volesse comparare la silhouette dell’oggetto meccanico a quella di una bella donna. In questo caso è Yatsu a provare un’attrazione per l’automobile e quasi in maniera incantata a lasciarsi colpire da essa, in uno scontro che diviene metafora del rapporto sessuale. Non è un caso che proprio dopo l’incidente l’uomo riuscirà definitivamente a ottenere la trasformazione del suo corpo in oggetto meccanico. Quindi, “la macchina avanza apertamente e sfacciatamente la sua pretesa di essere il soggetto della domanda; esige che le venga offerto ciò di cui ha bisogno; che l’uomo (poiché, così com’è, non rappresenta un’offerta accettabile per la macchina) si sforzi di esibire un prodotto sempre migliore, ossia di offrire ciò di cui la macchina ha bisogno per funzionare così come potrebbe funzionare” (10). Il prodotto che le offrirà sarà dunque se stesso, ma un se stesso mutato in oggetto meccanico, perché per meglio interagire con il mondo la stessa macchina pretende che ogni parte del mondo divenga un enorme marchingegno d’acciaio, dove tutto ciò che si muove assomigli a lei.
In una delle scene più surreali dell’intero film, Taniguchi, durante una specie di allucinazione, incontra la sua donna che gli appare come laccata di metallo e con una protesi tubolare e snodabile che ricorda l’organo sessuale maschile. Eseguendo una danza ammaliante e a tratti isterica lo sodomizza, rendendo così questo rito un’immagine simbolica della presa di possesso definitiva da parte della macchina del corpo dell’essere umano. Nella sequenza successiva Taniguchi incontrerà realmente la donna e, durante la sua progressiva metamorfosi in uomo d’acciaio, finirà con ucciderla. In un certo senso è come se la macchina, impossessandosi del corpo di Taniguchi, cercasse di eliminare la sua più diretta concorrente nella riproduzione della specie, quella figura cioè che non le consentirebbe di ottenere lo scopo che si è prefissata. Per poter rendere ogni essere umano un organismo meccanico è necessario infatti che si renda impossibile in qualsiasi modo la sua riproduzione biologica: la macchina prenderà così su questa terra il posto della donna, si sostituirà a lei. E l’uomo proverà sentimenti solo per lei. La mutazione diverrà allora anche una sorta di atto di amore incondizionato per essa: l’unica cosa per la quale vale la pena sopravvivere. Perciò, “l’alterazione del nostro corpo non è qualcosa di radicalmente nuovo e inaudito perché con essa rinunciamo al nostro ‘destino morfologico’ o trascendiamo il limite di prestazioni che è previsto per noi, bensì perché ci autotrasformiamo per amore delle nostre macchine, perché prendiamo le macchine a modello delle nostre alterazioni; rinunciamo quindi ad assumerci noi stessi come unità di misura e con ciò limitiamo la nostra libertà o vi rinunciamo” (11). La macchina ci condiziona sempre e comunque, ci rende vulnerabili a noi stessi, ci fa vergognare di noi stessi, perché di fronte alla sua perfezione noi non possiamo fare altro che ammirare in silenzio.
La corporalità imperfetta di Taniguchi, pertanto, lo rende ogni giorno sempre più insicuro e incapace di sostenere il ritmo del mondo, che poi è il ritmo della macchina. Il senso di inferiorità nei confronti delle sue macchine comincia perciò a percepirlo in quanto si sente inadeguato come materiale. “Ma ciò deriva appunto dal fatto che, invece di essere una reale materia prima, egli ‘disgraziatamente’ è già morfologicamente fisso, perché è già preformato. Ma essere preformato equivale sempre a essere ‘preformato erroneamente’, a essere ‘modellato erroneamente’, dato che le forme richieste volta a volta dalle sue macchine sono volta a volta diverse […] Questo suo ‘essere modellato erroneamente’ rappresenta il suo difetto capitale, quindi anche il motivo principale della sua ‘vergogna prometeica’” (12).
Dalla vergogna alla rabbia
In Tetsuo II, nella sequenza immediatamente successiva al combattimento finale, Yatsu, anche se sconfitto, non si dà per vinto: grazie alla sua testa, unica parte del corpo rimastagli attiva, riesce tramite un gesto repentino a connettere la sua mente a quella di Taniguchi per mezzo di un tubo metallico. Attraverso questa azione riuscirà a mostrargli una serie di ricordi che egli aveva completamente rimosso: si scoprirà infatti che i due sono fratelli e che il padre è una specie di scienziato che cerca di trasformare ogni essere vivente in una sorta di mutante di metallo. I due fratelli vengono così addestrati a un’arte che permette loro di poter assorbire oggetti di lega metallica facendoli divenire strumenti in grado di potenziare i loro corpi. Taniguchi scoprirà allora, proprio attraverso questo ricordo, di aver assistito assieme al fratello Yatsu a un rapporto sessuale tra la madre e il padre, dove quest’ultimo, durante un pericoloso gioco sessuale con un’arma da fuoco, fa per sbaglio partire un colpo ferendo sua moglie. In quel preciso istante la rabbia di Taniguchi si scatena, e, grazie a una pistola che precedentemente era riuscito ad assorbire con la tecnica insegnatagli dal padre, ferisce a morte i due genitori. Yatsu commenterà quindi questo ricordo dicendo che il fratello maggiore aveva perduto la memoria non a causa del senso di colpa creatosi per aver ucciso il padre e la madre, ma bensì perché aveva trovato “la bellezza nella distruzione”.
In questo film la rabbia diviene il sentimento attraverso il quale Taniguchi riesce a trasformare il proprio corpo in un cyborg muta-forme: la rabbia è dunque la principale pulsione che gli permette di poter sopravvivere a tutto ciò che appartiene al mondo circostante. Tutto quello che proviene dalle profondità dei suoi istinti si metamorfosa in qualcosa di macchinico e metallico, in una spietata arma di distruzione. In questo caso la macchina diviene perciò metafora degli impulsi selvaggi e in un certo modo “si presenta in veste di ‘es’, [cioè] l’attività meccanica, a cui l’uomo partecipa con funzione di parte di macchina; ed egli si investe a tal punto in questa funzione che, invece di trovare di fronte a sé se stesso in quanto io, trova se stesso nella funzione di macchina, dunque ‘quale’ parte di macchina. Per distinguere questo ‘es’ dal primo, chiamiamolo l’‘es-macchina’” (13). Taniguchi è un uomo meccanismo; condizionato dalla frenetica ricerca del padre improntata a ottenere un cyborg perfetto, lotta con tutte le sue forze per poter rimuovere il ricordo del suo trauma. Ma il mondo ormai suggestionato dalla sfrenata industrializzazione, un mondo fattosi macchina, porta Taniguchi a ritrovare attraverso la rabbia la dimensione di oggetto meccanico e a far sì che il suo “es-naturale” cominci a lasciare parte della sua superficie all’”es-macchina”. Perciò, “lo spazio libero di cui l’io dispone, è molto angusto; l’‘es-macchina’ si avvicina passo passo all’io, lo preme sempre più da vicino, lo spazio si restringe di giorno in giorno; il pericolo dunque che l’io venga schiacciato tra questi due colossi [l’‘es-naturale’ e l’‘es-macchina’], di natura diversa dalla sua, diventa ogni giorno più grande […] Se questa sarà la conclusione, domani o dopodomani, il trionfo finale spetterà esclusivamente alla macchina; perché nella sua avidità di inghiottire tutto, e proprio quanto le è più estraneo, essa non si incorporerà soltanto l’io, ma anche l’altro ‘es’, il corpo” (14).
Lo scontro tra i due fratelli si manifesta quindi come una metafora della lotta tra questi due tipi di pulsioni (ma soprattutto quello relativo all’“es-macchina”) e l’io. La sconfitta di quest’ultimo sembra comunque non essere già scritta: il finale nel quale Taniguchi si trova di nuovo assieme alla moglie e al figlio, circondato da uno scenario apocalittico, ma di nuovo essere umano nella sua forma “originale”, sembra lasciare qualche spiraglio di salvezza per il prosieguo dell’umana specie come oggi la conosciamo.
Parte II – Avere un corpo meccanico, ovvero: essere ancor più nel proprio corpo
Il corpo è la soglia
Il corpo di Taniguchi, sia in Tetsuo che in Tetsuo II, è un corpo che tende ad assorbire ogni singola particella del metallo che lo circonda. In un mondo filmico che viene rappresentato come costituito per la maggior parte da questo materiale, la funzione di questo corpo si predispone allora come quella di una totale apertura di esso nei confronti di quello stesso mondo. “Come apertura originaria sul mondo, il corpo è trascendenza. Non è un oggetto raccolto nell’immanenza della sua inseità, ma è un immediato sbocco sulle cose […] il corpo è subito fuori di sé, aperto al mondo, proteso sulle cose” (15). È un corpo quindi configurato come un flusso continuo, che muta continuamente e che tende a non avere forma predefinita. Come afferma Jean-Luc Nancy: “Se parliamo del corpo, parliamo di ciò che è l’esatto contrario del conchiuso e del finito. Parlando del corpo, parliamo di ciò che è aperto ed infinito, di ciò che costituisce l’apertura della chiusura stessa, l’infinito del finito stesso […] Il corpo è l’aperto” (16).
Il corpo di Taniguchi rappresenta un’apertura che fa di lui un tutt’uno con l’ambiente e con gli oggetti che lo circondano. “L’intenzionalità [di questo] corpo non è oggettivante […] è nel suo essere destinato a un mondo […] verso cui non cessa di dirigersi e di progettarsi” (17). La superficie del suo involucro di metallo è qualcosa che si esercita ad appartenere a ciò che è fuori e a interagire con questo “fuori” come se fosse un “dentro”. “Se il corpo non è massa, se non è chiuso su di sé e penetrato di sé, esso è fuori di sé” (18). Nel finale di Tetsuo, Taniguchi estenderà il suo corpo fagocitando quello di Yatsu in un processo che li porterà a inglobare presumibilmente l’intera superficie terrestre. Infatti, le parole proferite da Yatsu, una volta unitosi a Taniguchi in un gigantesco cyborg deforme, saranno le seguenti: “Trasformiamo il mondo in una massa d’acciaio. Facciamolo arrugginire tutto così che si sbricioli nel cosmo”. La volontà di estendere il proprio corpo verso tutto ciò che esiste è un atteggiamento che si organizza per mutare la sua funzione da contenitore a soglia: “Il corpo è un involucro, serve dunque a contenere ciò che si deve sviluppare poi. Lo sviluppo è interminabile. Il corpo finito contiene l’infinito, che non è anima, né spirito, ma proprio lo sviluppo del corpo” (19). Il corpo diventa oggettivazione dei movimenti interiori dello spirito e dell’anima, rappresentazione delle scosse telluriche dovute alle forti emozioni e sensazioni provate. Per Taniguchi ciò assume la forma di un rivestimento mutante che esprime la sua rabbia (nel caso di Tetsuo II) o i suoi istinti sessuali (la trasformazione dell’organo sessuale in trivella in Tetsuo). Ma quanta intensità questo corpo impieghi per oggettivare il sentimento, l’emotività e la pulsione e quanta resistenza il suo io riesca a fare per poterlo tenere a bada dipende dalla capacità estemporanea di disporre di un maggiore o minore livello di controllo su di esso.
Il mutare continuamente forma di questo corpo potrebbe perciò essere per Taniguchi il problema più grande. Infatti, c’è il rischio che, “nella nostra contemporaneità, l’essere [venga] fagocitato dal divenire e, di conseguenza, l’uomo [venga] allontanato da ciò che è, dalla sua essenza, in quanto intriso di fuggevole e precaria apparenza. Proprio l’apparenza trae forza dalla considerazione del corpo come involucro dalle qualità contingenti e accessoriali […] Essere e avere assumono un rapporto di reciproca interconnessione, poggiando entrambi sul rifiuto del corpo come derivazione primaria della vita e come espressione ultima del processo generativo della natura. Avere un corpo significa, infatti, reificarlo” (20). Taniguchi cerca di resistere in entrambi i film a una trasformazione che inevitabilmente diverrà incontrollabile, in quanto il corpo prenderà il pieno possesso di ogni sensazione ed emozione, e, da strumento da utilizzare, passerà a entità che possiede una propria volontà. Il corpo in quell’istante diventerà “l’intruso che non può entrare senza effrazione nel punto presente a sé che è lo spirito. Quest’ultimo del resto è così puntuale e serrato sul suo essere-a-sé-in-sé che il corpo vi penetra solo esorbitando o esogastrulando la propria massa come una tumefazione, come un tumore fuori dallo spirito. Tumore maligno dal quale lo spirito non si riprenderà” (21). Il corpo universale e totale di Yatsu/Taniguchi, che tutto ingloba e che cerca di fare proprio il mondo, scaturirà precisamente da questo lasciarsi sopraffare dalla materia metallica che lo ha inizialmente contaminato, e, tramite il vasto repertorio di spasmi, annodature e connessioni che è capace di saperci mostrare, si renderà oggetto postumano e, finalmente, corpo cosmico che “attraverso l’atmosfera [arriverà] alle galassie e infine ai limiti sconfinati dell’universo” (22).
Sararīman vs. cyborg
Nella sua Fenomenologia della percezione, Maurice Merleau-Ponty descrive il corpo come ciò che rappresenta il nostro sentirci al centro del mondo; egli scrive: “se è vero che io ho coscienza del mio corpo attraverso il mondo, che esso è, al centro del mondo, il termine inosservato verso il quale tutti gli oggetti volgono la loro faccia, è anche vero, per la stessa ragione, che il mio corpo è il perno del mondo: io so che gli oggetti hanno svariate facce perché potrei farne il giro, e in questo senso ho la coscienza del mondo per mezzo del mio corpo” (23). La modalità con cui il corpo di Taniguchi si trasforma in entrambi gli episodi di Tetsuo ci mostra come il suo farsi nuovo oggetto metallico è inconsapevolmente anche un raggiungere una coscienza dell’esistenza. Infatti, il Taniguchi sararīman (24), quello che non riesce a reagire all’attacco della donna mutante nel primo Tetsuo o quello – per intenderci ancora meglio – che non è in grado in nessun modo di opporsi all’attacco dei due scagnozzi di Yatsu in Tetsuo II rendendosi incapace di difendere la propria famiglia, è un Taniguchi che non ha alcun controllo sul proprio corpo: è goffo, imbranato e la sua insicurezza sembra non permettergli di partecipare in maniera completamente cosciente al mondo. Ciò ci permette quindi di contrapporre il corpo del sararīman a quello mutato in cyborg: in Tetsuo II, tutti quegli elementi che opprimono il protagonista, tutte le strutture abitabili, gli oggetti meccanici, il metallo in ogni sua forma sembrano soffocarlo fintanto che è il corpo del sararīman a incarnarlo. Invece, paradossalmente, nel momento in cui acquisisce la nuova forma del cyborg amorfo riesce a trovare quella coscienza che prima era in lui del tutto assente. Come scrive Merleau-Ponty: “La coscienza è l’inerire alla cosa tramite il corpo. Un movimento è imparato quando il corpo l’ha compreso, cioè quando l’ha assimilato al suo ‘mondo’, e muovere il proprio corpo significa protendersi verso le cose attraverso di esso, significa lasciarlo rispondere alla loro sollecitazione che si esercita su di esso senza nessuna rappresentazione. La motilità non è quindi un’ancella della coscienza, che trasporta il corpo nel punto dello spazio che dapprima ci siamo rappresentati. Perché possiamo muovere il nostro corpo verso un oggetto, è anzitutto necessario che l’oggetto esista per esso, e quindi che il nostro corpo non appartenga alla regione dell’‘in sé’” (25). Taniguchi percepisce la sua “coscienza” nell’istante in cui si realizza la sua metamorfosi. La capacità di connettere la sua struttura corporea con gli oggetti metallici che lo circondano è ciò che permette al suo essere di farsi perno del mondo. Nella sequenza del ricordo, in cui egli assiste al rapporto sessuale tra il padre e la madre, c’è un momento che esemplifica questa trasformazione: Taniguchi, tramutando il suo braccio in un’arma da fuoco, riesce ad attirare a sé tutti gli oggetti metallici della stanza, facendoli fluttuare per pochi istanti attorno a lui, come se avesse il potere di creare un campo magnetico. Questo è praticamente l’attimo che porta il suo corpo a percepire per la prima volta il suo sentirsi al centro del mondo. Inoltre questa sua capacità mostra la sua volontà di connettersi intimamente anche allo spazio e al tempo. La possibilità di agire sull’oggetto metallico e meccanico, il potere di riuscire a congelarne il movimento o modificarne la forma, sono caratteristiche che ancora di più racchiudono un sentirsi cardine della propria esistenza. Continua Merleau-Ponty: “In quanto ho un corpo e in quanto agisco nel mondo attraverso questo corpo, lo spazio e il tempo non sono per me una somma di punti giustapposti, né d’altra parte una infinità di relazioni di cui la mia coscienza effettuerebbe la sintesi e nella quale essa implicherebbe il mio corpo; io non sono nello spazio e nel tempo, non penso lo spazio e il tempo: inerisco allo spazio e al tempo, il mio corpo si applica a essi e li abbraccia” (26). Questa perciò è un’osservazione che descrive decisamente meglio il corpo del cyborg-Taniguchi che quello del sararīman-Taniguchi, molto più vicino quest’ultimo a farsi sopraffare dallo spazio e dal tempo stessi. In un’intervista lo stesso Tsukamoto afferma: “l’oppressione della metropoli si fa sempre più intensa. Ho il terribile timore che la città e la tecnologia continueranno a svilupparsi mostruosamente. La conseguenza è che il corpo umano sta scomparendo, mentre la città, gli oggetti sembrano stiano acquistando intelligenza e autonomie proprie” (27). Rendersi più morfologicamente e funzionalmente simili all’oggetto pare quindi il modo per essere anche più presenti a se stessi e meno succubi a tutto ciò che ci circonda.
Sul discorso relativo allo spazio e al tempo può essere anche notato il fatto che molte delle scene in cui è presente il corpo metallico di Taniguchi sono girate (soprattutto per quanto riguarda Tetsuo) con la tecnica del passo uno. Questo modo di impressionare un fotogramma alla volta permette effettivamente alla rappresentazione del corpo del cyborg Taniguchi di inserirsi in uno spazio e un tempo realmente congelati. O meglio: in questo caso ogni suo gesto crea uno spazio e un tempo frammentati che esemplificano perfettamente la sua condizione di perno del mondo. Quello che in Tetsuo viene amplificato attraverso il passo uno è infatti la percezione scattosa e nevrotica di ogni singolo movimento di Taniguchi. L’effetto prodotto è quello di un corpo quasi sezionato nei suoi spostamenti, dove ogni sua mossa si colloca in uno spazio e un tempo differenti in ogni immagine, inchiodando così il corpo e facendone un tutt’uno con essi. Il corpo di Taniguchi appare dunque come unito per sempre allo spazio e al tempo.
Tornando a Merleau-Ponty: “L’oggetto è oggetto da cima a fondo e la coscienza è coscienza da cima fondo. Il termine esistere ha due significati, e due soltanto: si esiste come cosa o si esiste come coscienza. Per contro, l’esperienza del corpo proprio rivela un modo d’esistenza ambiguo” (28). Ma ambigua non è l’esistenza di Taniguchi una volta mutata la sua materia in metallo, egli è una cosa-coscienza, un corpo cioè che esiste nel momento in cui si realizza come arma di distruzione. La sua coscienza corrisponde alla sua funzione ma perché ne ha una. Il corpo del sararīman invece non scorge il suo posto nel mondo, vive la sua esistenza con disagio in quanto non riesce a trovare una funzione e così la sua coscienza viene annientata dal mondo e dagli oggetti che lo circondano. È solo quindi nell’incarnazione del corpo-cosa che “l’esperienza del corpo proprio si oppone al movimento riflessivo che libera l’oggetto dal soggetto e il soggetto dall’oggetto, che ci dà esclusivamente il pensiero del corpo o il corpo in idea, e non l’esperienza del corpo o il corpo in realtà” (29). Per ottenere l’esperienza di questo corpo, per riappropriarsi perciò del corpo in un’era di soli corpi meccanici, edili e digitali (tutti corpi che hanno una ben precisa funzione) il corpo dal metallo vivente del cyborg Taniguchi diviene l’unico corpo con cui vivere ed esistere è ancora possibile.
Parte III – Farsi un corpo senza organi
Il CsO
Un concetto che adesso potrebbe essere utile approfondire è quello di corpo senza organi (CsO), teorizzato da Gilles Deleuze e elaborato da quest’ultimo insieme a Félix Guattari. Che cos’è dunque un CsO? Ne L’anti-Edipo i due scrivono: “Ovunque sono macchine, per niente metaforicamente: macchine di macchine, coi loro accoppiamenti, colle loro connessioni. Una macchina-organo è innestata su una macchina-sorgente: l’una emette un flusso che l’altra interrompe. Il seno è una macchina che produce latte, e la bocca una macchina accoppiata con quella. La bocca dell’anoressico oscilla tra una macchina da mangiare, una macchina anale, una macchina da parlare, una macchina da respirare (crisi d’asma). Così si è tutti bricoleurs; a ciascuno le sue macchinette. Una macchina-organo per una macchina-energia, sempre flussi e interruzioni” (30). Queste immagini della macchina-organo e della macchina-sorgente riescono a definire perfettamente quell’idea secondo la quale la nostra esistenza si è consolidata in una forma di staticità che sopravvive solo e unicamente all’interno di una dicotomia divisa tra produzione e desiderio. “Non c’è più né uomo né natura, ma unicamente processo che produce l’uno nell’altra e accoppia le macchine. Ovunque macchine produttrici o desideranti, le macchine schizofreniche, tutta la vita generica: io e non-io, esterno ed interno, non vogliono più dir nulla” (31).
L’inconscio si configura perciò come una grande fabbrica, all’interno della quale tutto è flusso o di produzione o di desiderio. Ci sono solo macchine desideranti di flusso o macchine produttrici di flusso. “C’è sempre, infatti, una macchina produttrice di un flusso, ed un’altra ad essa collegata, che opera un’interruzione, un prelievo di flusso (il seno – la bocca)” (32). Ed è a questo punto, e per questo motivo, che dovrebbe materializzarsi il CsO. Il CsO lotta con questa forma di organizzazione delle macchine, combatte contro un organismo che sostiene – con la sua capacità produttiva – il corpo reale, cioè quello fisico e organico. “Tra le macchine desideranti e il corpo senza organi sorge un conflitto apparente. Ogni connessione di macchine, ogni produzione di macchina, ogni rumore di macchina è diventato insopportabile al corpo senza organi” (33). Il CsO sfrutta le connessioni delle macchine desideranti creando un corpo libero e fluttuante, un corpo in movimento che sempre si destreggia e che spinge la produzione delle macchine-organi nella direzione che meglio si confà alle sue esigenze. “Il corpo senza organi si ripiega sulla produzione desiderante, e l’attira, se l’appropria. Le macchine-organi si attaccano su esso come su un gilè di fiorettista, o come medaglie sulla maglia di un lottatore che viene avanti facendole sobbalzare” (34).
Ma le macchine si attaccano a lui senza trovare punti di riferimento perché il CsO non ha una forma solida né prestabilita. Esso sfugge e si ricompone continuamente perché appunto l’organismo e l’organizzazione sono i suoi più acerrimi nemici: “Il corpo senza organi è in effetti prodotto come un tutto, ma un tutto accanto a parti, che non le unifica né le totalizza, e che si aggiunge ad esse come una nuova parte realmente distinta. Quando respinge gli organi […] segna il limite esterno della pura molteplicità che essi stessi formano in quanto molteplicità non organica e non organizzata. E quando li attira e si piega su di essi, nel processo di una macchina miracolante feticistica, non li totalizza, né li unifica al modo di un organismo […] Il desiderio passa certo per il corpo, per gli organi, ma non per l’organismo” (35). Insomma, il CsO corrisponde al raggiungimento di un obbiettivo: è un insieme di pratiche ed è un processo attraverso cui sconfiggere il sistema organizzato. È l’occasione di poter fare della vita un insieme di molteplicità, di strati, di piani che si sovrappongono. “Su di esso dormiamo, vegliamo, combattiamo, vinciamo e siamo vinti, cerchiamo il nostro posto, conosciamo le nostre inaudite felicità e le nostre favolose cadute, penetriamo e siamo penetrati, amiamo” (36). Il corpo senza organi è il corpo del futuro.
Corpi contro l’organismo
In Tetsuo e Tetsuo II il CsO è semplicemente ciò che libera Taniguchi e Yatsu dal loro vecchio corpo, quello cioè che li incatena alla realtà opprimente e decadente che vivono nella quotidianità. Il loro CsO può essere perciò identificato nel raggiungimento del controllo sul mondo attraverso la trasformazione definitiva nel corpo di metallo. Il CsO può essere ottenuto quindi tramite un pieno controllo sulla nuova forma metamorfosata. Possiamo assistere a ciò: nel primo episodio nel finale nel quale Yatsu e Taniguchi si ri-organizzano attraverso la fusione dei loro due corpi in uno nuovo di metallo; nel secondo episodio nella scena del trasferimento della memoria di Yatsu in quella di Taniguchi e nel congiungimento del corpo di quest’ultimo a quello della totalità delle cavie-soldato all’interno della fabbrica-laboratorio.
Deleuze e Guattari in Millepiani affrontano il problema del CsO constatando che per raggiungerlo è necessaria prima una lunga processione; tracciando una lista di vari corpi anticamera del CsO (ma che in parte già lo rappresentano), descrivono quindi in un certo modo il processo che dovrebbe condurre al raggiungimento dell’obbiettivo. La lista di questi corpi è interessante perché richiama molte delle fasi che Yatsu e Taniguchi affrontano prima di approdare al loro CsO. Mi preme perciò farne una breve analisi e compararne le caratteristiche con quelle espresse nei film dai due protagonisti.
Il corpo ipocondriaco. È il corpo in piena disorganizzazione, i cui organi sono stati distrutti ma non avviene più niente. È la fase nella quale si trova Yatsu una volta tentata la prima prova di trasformazione in cyborg tramite l’inserimento di un tubo metallico all’interno della coscia. È il corpo che si impossessa del sé attraverso il panico. La scena nella quale Yatsu fugge dal suo rifugio ansimando è emblematica. Ma il corpo ipocondriaco può anche essere accostato a quello di Taniguchi mentre fugge dalla donna mutante incontrata all’interno della metropolitana; la donna-macchina, suscitando un terrore spropositato in Taniguchi, si rende così metafora lampante della disorganizzazione dell’essere umano di fronte all’incedere senza tregua della tecnologia.
Il corpo paranoico. È quello “dove gli organi continuano ad essere attaccati da influenze, ma anche restaurati da energie esterne” (37). Questo corpo assomiglia molto a quello di Taniguchi nella prima parte di Tetsuo II, dove nella staticità della vita quotidiana trova, nell’occasione dell’attacco degli scagnozzi di Yatsu, la possibilità di cominciare a lottare per poter ottenere il CsO. La famiglia è ciò che lo tiene legato al suo corpo organizzato, infatti, fino a che non gli verrà ucciso il figlio, quel corpo prevarrà sulla ricerca del CsO e la serie di influenze (come la possibilità di un ritorno alla fisicità per mezzo degli esercizi che egli esegue in palestra) verrà sempre restaurata dalla vicinanza della sua famiglia. La famiglia è dunque in buona parte quell’energia che tiene in piedi il corpo paranoico.
Il corpo schizo. È il corpo che “accede a una lotta interiore attiva che conduce esso stesso contro gli organi, a prezzo della catatonia” (38), è il corpo di semi-metallo che ancora non riesce a essere controllato ed è disorganizzato. È Taniguchi in Tetsuo II nella sequenza nella quale viene utilizzato come cavia: egli non riesce ancora ad avere un totale controllo nei confronti della sua parte meccanica e così la sua parte organica lotta ancora per poter ostacolare l’avvento del CsO. La figura del ricercatore che sperimenta al servizio di Yatsu rappresenta il ruolo della scienza nella società contemporanea; il suo permettere all’uomo di modificare la forma e la funzione della propria corporalità non è detto che coincida con il raggiungimento del CsO e quindi con la libertà da ogni imposizione di tipo tecnologico. Per ottenere un CsO è infatti necessario che chi opera in campo scientifico abbia anche esso come obbiettivo l’ottenimento di un CsO e non qualcosa di differente. Non è un caso che Taniguchi otterrà il suo solo quando il ruolo di scienziato passerà totalmente nelle mani del fratello Yatsu.
Il corpo drogato. È lo “schizo sperimentale” (39), è il corpo che, percepito il suo procedere verso la mutazione, si sente inefficace e inadatto. È il corpo di Taniguchi in Tetsuo nel momento in cui – una volta sfuggito alla donna-cyborg – comprende che la sua mutazione non può essere interrotta e vive questo suo quasi nuovo corpo con grande sofferenza e terrore.
Il corpo masochista. È il corpo che “si fa appendere per fermare l’attività degli organi, scorticare come se gli organi avessero cara la pelle, inculare, soffocare, perché tutto sia ben sigillato” (40). È naturalmente il corpo di Taniguchi nella sequenza visionaria del sogno nel primo episodio, nella quale la sua donna, sotto forma di cyborg dotata di protesi fallica di metallo, lo sodomizza. È un corpo di dolore e piacere insieme, dove però non si riesce ancora a comprendere in quale punto si trovi la soglia che separa la sofferenza dal godimento.
Questi sono in definitiva i corpi che popolano l’universo di Tetsuo; sono i corpi-fase che si avvicendano e devono essere in parte superati per il raggiungimento del CsO. “Ci rendiamo conto, a poco a poco, che il CsO non è per nulla il contrario degli organi. I suoi nemici non sono gli organi. Il nemico è l’organismo. Il CsO non si oppone agli organi, ma all’organizzazione degli organi che si chiama organismo” (41).
L’ottenimento del corpo informe e doppio del primo episodio (Yatsu e Taniguchi insieme) che vuol fare arrugginire l’intero cosmo o quello universale di Taniguchi – macchina da guerra che procede verso la conquista del mondo – nel secondo sono l’immagine lampante della dis-organizzazione della materia. Il CsO sembra volerci dire, in questa rappresentazione della società postumana, che il corpo potrà trovare pace e dominare il mondo tecnologico solo quando non sarà più costretto e oppresso dalla forma predefinita che quella stessa società gli impone, cercando di mutarlo ma facendolo nella totalità di ogni sua disposizione affinché non cambi affatto. Tutto viene alla fine ricondotto al desiderio: “Il CsO è desiderio, è lui ed è per lui che si desidera […] il desiderio arriva fino a questo punto, a desiderare, a volte, il proprio annientamento, altre volte ciò che ha la potenza di annientare […] C’è desiderio ogni volta che c’è costituzione di un CsO, in un rapporto o in un altro. Non è un problema di ideologia ma di pura materia, fenomeno di materia fisica, biologica, psichica, sociale o cosmica” (42).
Il corpo doppio di Yatsu/Taniguchi in Tetsuo e quello totale e informe di Taniguchi in Tetsuo II rappresentano la demolizione dei falsi desideri e dei corpi-copia. Sono la struttura finale per la conquista conclusiva del perfetto corpo senza organi.
Gabriele Baldaccini
NOTE
(1)
Tsukamoto Shinya in Tom Mes, Iron Man. The cinema of Shinya Tsukamoto, FAB Press, Godalming 2005, p. 67, (la traduzione è mia).
(2)
Ibid., p. 96, (la traduzione è mia).
(3)
Gianluca Pulsoni, Una visione antropologica della trilogia di Tetsuo, in Matteo Boscarol (a cura di), Tetsuo: The Iron Man. La filosofia di Tsukamoto Shin’ya, Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 41.
(4)
Edvige Liotta, Ipotesi sul corpo espanso, in Andrea Fontana, Davide Tarò, Fabio Zanello (a cura di), Il cinema di Shinya Tsukamoto, Il Foglio, Piombino 2010, p. 23.
(5)
Günther Anders, Die Antiquiertheit des Menschen, I: Über die Seele im Zeitalter der zweiten industriellen Revolution, 1980; trad. it. L’uomo è antiquato. I. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 20032, p. 24, (il corsivo è nel testo).
(6)
Ivi, (il corsivo è nel testo).
(7)
Ibid., p. 31, (il corsivo è nel testo).
(8)
Ibid., p. 32, (il corsivo è nel testo).
(9)
Ibid., p. 37, (il corsivo è nel testo).
(10)
Ibid., p. 46, (il corsivo è nel testo).
(11)
Ibid., p. 52.
(12)
Ibid., pp. 54-55.
(13)
Ibid., p. 82, (il corsivo è nel testo).
(14)
Ibid., p. 83, (il corsivo è nel testo).
(15)
Umberto Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano 198719, p. 119 (il corsivo è nel testo).
(16)
Jean-Luc Nancy, De l’âme, 1995; trad. it. in Marco Vozza (a cura di), Indizi sul corpo, Ananke, Torino 2009, p. 65.
(17)
Umberto Galimberti, op. cit., p. 117.
(18)
Jean-Luc Nancy, op. cit., pp. 69-70.
(19)
Ibid., p. 97.
(20)
Emma Palese, Da Icaro a Iron Man. Il corpo nell’era del post-umano, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 15-16.
(21)
Jean-Luc Nancy, 58 indices sur le corps; 2004; trad. it. in Marco Vozza (a cura di), Indizi sul corpo, Ananke, Torino 2009, pp. 99-100.
(22)
Ibid., p. 100.
(23)
Maurice Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, 1945; trad. it. Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 20034, p. 130.
(24)
“Derivato dall’inglese ‘salaried-man’ e coniato durante l’epoca Taishō (1912-1926), il termine sararīman designa il ceto medio impiegatizio giapponese, quella che è stata a lungo la spina dorsale della crescita economica del paese. Nel periodo che va dalla ricostruzione postbellica alla fine degli anni Ottanta, prima della crisi economica del decennio successivo, la figura del sararīman è definita innanzitutto dal rapporto con la propria ditta: se questa gli garantisce un salario mensile, un progressivo avanzamento di carriera basato sul sistema dell’anzianità e la garanzia dell’assunzione a vita, il sararīman, a sua volta, garantisce alla ditta una dedizione assoluta, talvolta comparata a quella del samurai verso il suo signore, rendendosi sempre disponibili ad accettare una rigida gerarchia, il lavoro straordinario e la rinuncia, quando è il caso, ai pochi giorni di vacanza annuali”. Dario Tomasi, Storia di un impiegato, in Andrea Fontana, Davide Tarò, Fabio Zanello (a cura di), op. cit., p. 80.
(25)
Maurice Merleau-Ponty, op. cit., p. 194.
(26)
Ibid., p. 195.
(27)
Tsukamoto Shinya in Domenico Monetti, Il futuro è cyber-donna. Tsukamoto fra le macerie di fine millennio, in Andrea Fontana, Davide Tarò, Fabio Zanello (a cura di), op. cit., p. 43.
(28)
Maurice Merleau-Ponty, op. cit., p. 270.
(29)
Ibid., p. 271.
(30)
Gilles Deleuze, Félix Guattari, L’Anti-Œdipe, 1972; trad. it. L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2002, p. 3 (il corsivo è nel testo).
(31)
Ibid., p. 4.
(32)
Ibid., p. 7.
(33)
Ibid., p. 10.
(34)
Ibid., p. 13.
(35)
Ibid., p. 373,
(36)
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie, 1980; trad. it. Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010, p. 205.
(37)
Ivi.
(38)
Ibid., p. 206.
(39)
Ivi.
(40)
Ivi.
(41)
Ibid., p. 214.
(42)
Ibid., p. 220.