Gianluca Arcopinto | Un fiume in piena. Storie di un’altra Scampia

fiume

Un fiume in piena
Storie di un’altra Scampia

di Gianluca Arcopinto

DeriveApprodi, 2014
pagine 128
isbn 978-88-6548-093-9
prezzo di copertina: 12,00€
compra online

 

fiumeinpiena_cover

 

Gianluca Arcopinto fa il produttore cinematografico. Per alcuni mesi è stato l’organizzatore generale della serie tv Gomorra, tratta dal libro di Roberto Saviano. Dopo 5 mesi di lavorazione e 16 settimane di riprese, Arcopinto ha lasciato il set. Non ha, invece, lasciato Scampia, scegliendo di mettersi dalla parte di una cittadinanza attiva che rifiuta di essere ostaggio dell’economia camorristica e che non vede nella risposta dell’ordine pubblico l’unica alternativa.
Arcopinto arriva alle Vele di Scampia con il mondo scintillante delle riprese televisive, coi suoi problemi di costi di produzione, di organizzazione, insieme agli attori, ai registi, agli sceneggiatori e lì inciampa su una realtà fatta di persone e associazioni che resiste alla droga, che si sottrae al controllo camorristico del territorio, che denuncia l’abbandono da parte delle istituzioni, che immagina un altro sistema economico e che dà forma alla speranza di una vita decente. Che rifiuta di riconoscersi nella parabola narrativa di una famiglia di boss e chiede che si racconti un’altra storia. Di questa realtà la serie Gomorra non parla, il libro di Gianluca Arcopinto sì.

 

UN ASSAGGIO
Ho iniziato questo lavoro con grande entusiasmo, convinto che questa serie fosse la più importante girata quest’anno in Italia. E poi è l’occasione per tornare a lavorare dopo qualche anno con il mio amico Maurizio Tini, con cui abbiamo fatto il nostro primo film ormai ventinove anni fa. Senza trascurare il fatto che potrò trascorrere molti mesi a Napoli, la città che oggi amo dopo averla odiata e temuta per tanti anni, quando ero piccolo e mio padre, nato qui, mi ci portava a trovare i suoi parenti: ricordo ancora il terrore che mi prendeva quando arrivavo alla stazione e cominciavo a sentire parlare la gente per strada. Me lo sono trascinato per anni questo terrore, finché venendoci a girare un altro film, ventitré anni fa, il terrore è scomparso ed è scoppiato un amore senza limiti.
Qualcosa comincia a rompersi dentro di me durante l’assemblea a Scampia e nei giorni seguenti, in cui divampano le polemiche e anche in altre zone della città ci vengono chiuse le porte in faccia, mettendo a repentaglio l’inizio delle riprese, che infatti slitta di un mese e mezzo. Quel giorno dell’assemblea per me rappresenta l’emblema della vera Gomorra: il potere che strumentalizza la disperazione ma non vuole fare niente perché disperazione non sia; noi, che facciamo cinema, che quella disperazione la spettacolarizziamo, la sfruttiamo, la giudichiamo, trasformando il tutto in denaro da portare nelle nostre comode case, magari qualcuno sparandosi anche la sua dose giornaliera di cocaina – che guarda caso è un altro modo di portare denaro al Sistema, non molto diverso dalle case discografiche di molti neomelodici o dagli attori collusi o dalle location ambigue –, ma la cocaina è l’unica cosa questa che neanche chi si schiera contro le riprese a Scampia osa mai nominare, perché di questa cosa non si parla, perché tocca più o meno tutti, come dice bene Saviano nel suo ultimo libro.
Dal giorno dell’assemblea a Scampia mi comincio a domandare se sia giusto fare questa serie. Me lo chiederò ancora di più quando, iniziate le riprese, scoprirò l’ammirazione negli occhi dei bambini e delle ragazze adolescenti nel guardare l’attore eroe che ha appena sparato e ucciso, imponendo la sua forza fino all’atto estremo nei confronti del nemico, del più debole, del perdente, di quello che a fine giornata di riprese se ne torna anonimamente a casa. Me lo chiedo quando per la prima volta, sotto una pioggia battente che rende ancora più tetro ciò che mi circonda, entro nelle Vele di Scampia e vedo in che stato sono ridotte e sbircio nelle case abitate e incrocio lo sguardo di chi ci vive, e intanto sento il regista e lo scenografo parlare di interventi sullo stato delle cose, alla ricerca di una realtà che però non sia troppo brutta, perché altrimenti lo spettatore cambierà canale. Come posso stare qui a parlare di inquadrature, di budget, di effetti speciali, di sangue e spari finti, quando la passerella che porta a casa Ivan, che vive sulla sedia a rotelle, è crollata e lui da casa non può più uscire e nessuno trova il modo di rimetterla a posto quella maledetta passerella, neanche quel presidente del municipio che si è indignato all’idea che ancora una volta si offendesse quel quartiere che lui governa abitando al Vomero? Riusciremo noi a raccontare il tappeto di siringhe, le stanze del buco dove la gente si va a drogare, le figure inquietanti che popolano le notti delle Vele? Ma soprattutto ci interessa raccontarle? E non raccontandole, e mettendo in primo piano la storia di una famiglia che regna sovrana sul Sistema di padre in madre in figlio, faremo bene o male? Avrà ragione Ciro Corona, che rimarrà sempre coerentemente convinto che questa serie fa male al lavoro che tanti come lui fanno in quel territorio, per strappare tanti ragazzi al loro apparentemente inevitabile destino che li porta, chi prima chi poi, a lavorare per il Sistema? O avrà ragione Gaetano Di Vaio – il produttore che è riuscito a uscire dalla droga, dallo spaccio, dal carcere e a trovare la sua strada nel cinema, nella scrittura, nella militanza attiva tra la gente, apparentemente senza un metodo, se non quello del confronto diretto e spassionato – quando nella sua opera di mediazione tra la produzione e i cittadini di Scampia sostiene che la serie Gomorra è comunque fonte di lavoro per tanti che non riescono ad arrivare a fine mese, e che se vista nel verso giusto può anche essere l’occasione per far scoprire un modo diverso di esprimersi a tanti ragazzi? E noi, noi che veniamo da Roma, che lavoriamo su sceneggiature scritte in riunioni a colazione, pranzo e cena da Settembrini, il bar e ristorante di Prati dove vanno quelli che fanno cinema, da sceneggiatori che sono stati a Scampia o Ponticelli o Torre Annunziata solo in visita guidata; noi che costruiamo squadre di lavoro nate durante le feste che alterano lo spirito o vacanze a Formentera o a letto; noi che il settimanale, la diaria, gli straordinari, i cinquanta euro in più; noi che se la serie va bene facciamo anche la seconda; noi siamo sicuri di avere diritto di stare qui senza abbassare lo sguardo e arrossire?

 

Gianluca Arcopinto (1959) ha prodotto, organizzato, distribuito oltre cento film, unico in Italia a distinguersi nella produzione di opere prime in maniera sistematica. è riconosciuto – soprattutto dai giovani filmmaker – come uno dei più coraggiosi produttori indipendenti del cinema italiano. Produttore dell’anno 2010 FICE, ha vinto come miglior produttore il Globo d’oro nel 2008 (Sonetaula di Salvatore Mereu) e la Sacher d’oro nel 1997 (Il caricatore di Cappuccio-Gaudioso-Nunziata); ha avuto una menzione ai Nastri d’Argento 1999 per l’attività di produzione di cortometraggi; è stato candidato una volta al David di Donatello e cinque volte al Nastro d’Argento come miglior produttore. È autore di sceneggiature e regie di film (Nichi, Angeli distratti); ha scritto libri e articoli di politica cinematografica su varie riviste; ha un blog su ilfattoquotidiano.it.

 

fonte: deriveapprodi.org

 

RC:EXTRA
Intervista al produttore Gianluca Arcopinto (video+testo)

 



L'articolo che hai appena letto gratuitamente a noi è costato tempo e denaro. SOSTIENI RAPPORTO CONFIDENZIALE e diventa parte del progetto!







Condividi i tuoi pensieri

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.