Sarà il mio tipo? è una commedia brillante che non cede al sentimentalismo ma graffia, fa sognare e con un finale non prevedibile.
Una semplice storia d’amore tra una parrucchiera e un professore di filosofia è la classica chiave narrativa per raccontare con apparente leggerezza mondi diversi e inconciliabili soprattutto per motivi di “classe”.
La lotta di classe è finalmente una “categoria” dello spirito, personale, intima, non più solo sociale o politica e decisamente inevitabile.
Inoltre non è necessariamente rabbiosa e drammatica ma anche sottilmente divertente o paradossale da affrontare con un (seppure doloroso) sorriso.
Nella trama c’è anche un apprezzabile romanticismo che a volte è adombrato ma si illumina nel contraddittorio, nella fuga e nel ritorno, nel cercarsi e ritrovarsi o perdersi.
Infatti una delle sequenze più significative è quella in cui ognuno segue il “percorso” dell’altro per riuscire ad incontrarsi.
Scambio di strade, luoghi, ruoli, desideri al fine di giungere al fatidico “punto d’incontro”, alla sospirata “visione” di una vita insieme.
Jennifer (una splendida e coinvolgente Emilie Dequenne) scommette sul futuro, Clément (un convincente quanto algido Loïc Corbery) vive solamente il presente.
Sono differenti per estrazione sociale, istruzione, formazione, cultura e temperamento ma tra di loro c’è una irresistibile attrazione («Per te sono solo un culo», dice lei) e forse anche qualcosa di più (fascinazione, passione, amore) che mette in discussione i riferimenti (stereotipi o presunti tali) dell’esistenza di ciascuno dei due.
Il film, tratto dal romanzo Pas son genre di Philippe Vilain è diretto con raffinato stile da Lucas Belvaux che sottolinea le “nuance” interpretative di tutti gli attori e riesce a connotare con efficacia descrittiva gli “ambienti” in cui essi interagiscono.
In poche ma eloquenti immagini vediamo la eccessiva tranquillità ma anche la normale routine “inclusiva” della città di Arras (che si esprime con le solite chiacchiere da parrucchiere o la solidarietà tra colleghi in un piccolo istituto scolastico), che ha dato i natali ad un “rivoluzionario” come Robespierre.
Si contrappone la mondanità di Parigi superficialmente accogliente ma indubbiamente “esclusiva” (dai giovani intellettuali che frequentano discoteche trendy come fossero salotti letterari agli attempati esponenti di una borghesia elitaria che si fingono melomani).
Il regista belga tiene conto della lezione della Nouvelle Vague e registra la quotidianità e la graduale evoluzione di emozioni e affetti (dagli iniziali esitanti sguardi al primo pudico bacio a cui seguono momenti di sesso appassionato) così da cogliere la “verità” della relazione (come in un riservato diario) tra i due protagonisti.
Non dimentica di caratterizzare anche i personaggi cosiddetti minori (dalle amiche di Jennifer alle amanti del recente passato di Clément) con dialoghi che ne svelano le psicologie.
All’amore folle e sovente distruttivo dei maestri Truffaut, Chabrol o Godard però contrappone un amore che ha l’ambizione di essere ordinario e rigenerante, non impossibile.
Clément seduce con le sue letture (Kant, Victor Hugo, Zola), la cattedratica spiegazione critica dei testi (al punto che lei gli fa osservare che solo Zola può sapere l’esatto significato delle parole dei propri romanzi), la misteriosa distanza (non crede nella coppia tradizionale), infine con la ferma personalità e la rigida razionalità che mostrano progressivamente le sue paure e fragilità latenti.
Jennifer (come la bionda diva Jennifer Aniston, tipico volto da commedia) seduce con la sua estroversione, la divertita interpretazione di canzoni (da You Can’t Hurry Love eseguita in originale da The Supremes a I Will Survive di Gloria Gaynor che si adattano perfettamente alle sue corde vocali e recitative), il piacere della condivisione (vorrebbe anche andare a Parigi con lui che però rifiuta l’idea), immancabilmente con la sua spontanea quanto romantica progettualità (il grande amore).
Sarà una manifestazione carnascialesca (geniale idea dell’autore) a “smascherare” probabilmente in modo definitivo i ruoli sociali dei due e le contraddizioni del loro rapporto.
A quel punto dovranno cambiare i luoghi “comuni” di entrambi per poter ricominciare.
Jennifer con le note di I Will Survive rivela la sua “felicità triste” (come lei stessa dipinge il suo naturale stato d’animo, in compagnia di Clément sulla spiaggia, per definizione un luogo che può essere solare e allegro ma anche desolato e malinconico) e dichiara la rinnovata sensibilità, la maturità e autodeterminazione raggiunte che, forse, le consentiranno di sopravvivere con la forza dei sentimenti alla dura “lotta (privata) di classe”. •
Sergio Pio Sasso
PAS SON GENRE
Titolo italiano: Sarà il mio tipo?
Regia: Lucas Belvaux • Sceneggiatura: Lucas Belvaux dal romanzo “Pas son genre” di Philippe Vilain • Fotografia: Pierric Gantelmi d’Ille • Montaggio: Ludo Troch • Musiche: Frédéric Vercheval • Scenografia: Frederique Belvaux • Costumi: Nathalie Raoul • Interpreti: Émilie Dequenne (Jennifer), Loïc Corbery (Clément), Sandra Nkaké (Cathy), Charlotte Talpaert (Nolwenn), Anne Coesens (Hélène Pasquier-Legrand), Daniela Bisconti (Mme Bortolin), Didier Sandre (padre di Clément), Martine Chevallier (madre di Clément), Annelise Hesme (Isabelle), Amira Casar (Marie), Florian Thiriet (Johan Bortolin), Philippe Le Guay (il moderatore), Philippe Vilain (Philippe), Manuel Carcassonne (l’uomo della cineteca), Jacky Detaille (il cantante del karaoke), Tiffany Coulombel (baby-sitter) • Produzione: Agat Films & Cie, Artémis Production, France 3 Cinéma, RTBF, Belgacom • Paese: Francia • Anno: 2013 • Durata: 111′