Esperando B. (Waiting for B.) > Abigail Spindel, Paulo Cesar Toledo

Waiting for B01

 

«Potreste mai immaginare un etero campeggiare per due mesi per Beyoncé?»

 

Lo spunto per il documentario di Paulo Cesar Toledo e Abigail Spindel (quest’ultima già autrice di due documentari: 4 Certain Deaths e Not New Russians) è l’attesa per il concerto che Beyoncé ha tenuto nel settembre del 2013 allo stadio Morumbi di San Paolo, in Brasile. Un folto gruppo di ragazzi gay e di ragazze si accamparono fuori dallo stadio per essere certi di trovarsi in prima fila sul campo dello stadio la sera del concerto. Due mesi prima.
Il documentario parte proprio con l’allestimento delle tende fuori dallo stadio e la comunicazione delle ferree regole per la convivenza (se ci si allontanerà senza avere un certificato medico, non si potrà riottenere il proprio posto nella tendopoli) per poi seguire tutto il periodo di permanenza. In realtà sono poche le persone che stazioneranno senza concedersi pause nella tendopoli: c’è chi lavora e fa ritorno solo la sera, chi si allontana per uno o più giorni. Ma almeno una persona per tenda dovrà sempre essere presente e la tendopoli resisterà per l’intero periodo, offrendo una momento di esposizione a un gruppo di persone che, a dispetto della libertà che mostrano, si sentono perseguitate e impossibilitate a vivere liberamente il loro essere nella loro dimensione intima, prima tra tutte quella familiare. Senza trascurare che due mesi di convivenza in una tendopoli possono trasformarsi in uno show pari a divertimento a quello della cantante statunitense. Presto lo scopo iniziale prenderà la forma di un momento di condivisione e libertà.

Tra tutte le icone gay, Beyoncé viene definita come la più riservata («occorre avere almeno un cancro o una grave disabilità per poter sperare di incontrarla di persona» viene commentato in una scena) ma è ammirata per il coraggio, la forza, il talento e, ovviamente, il glamour che la circonda, tanto che l’inno “Liberté, égalité, Beyoncé” riecheggia in forma di coro in ogni gay pride degno di questo nome.
Nel corso della lunga permanenza si stringono amicizie, rapporti che gli stessi presenti sperano possano continuare anche dopo il concerto, pur ammettendo che probabilmente non sarà così. Si balla, si canta, ci si prende molto in giro e ci si trasforma. Soprattutto si parla, ed è questo lo scopo dei due documentaristi che, pur non avendo l’ambizione di fare statistica scegliendo una situazione particolare (l’attesa per il concerto) e parzialmente rappresentativa, raccolgono testimonianze sulla vita dei giovani gay in Brasile. E il ritratto che ne esce non sembra essere confortante: c’è chi parla della necessità di nascondere la propria sessualità nella quotidianità, c’è chi racconta che i genitori hanno chiesto a uno zio poliziotto di picchiarlo selvaggiamente per impartirgli una lezione di vita, c’è chi tra gli eterosessuali si stente isolato in quanto gay e tra i gay isolato in quanto nero. È una parte interessante quella in cui gli intervistati del gruppo parlano della convivenza delle etnie partendo proprio dall’aspetto di Beyoncé (una nera che si tinge i capelli di biondo e si schiarisce la pelle con il trucco, come spiega un ragazzo nella sua tenda). Le testimonianze che si sentono sono spesso toccanti ma sempre esposte con grande ironia, talvolta con un poco di rassegnazione, e il ritratto appare fedele. E, quando migliaia di tifosi si recano allo stadio per una partita, è impossibile non notare che gli insulti rivolti ai giocatori della squadra avversa sono tutti di stampo omofobo.
Gli autori del documentario non si sognano nemmeno di frapporre tra le persone filmate e noi spettatori il giudizio. Mai, nemmeno quando intervistano un ragazzo che spiega di avere venduto il suo appartamento per poter acquistare il biglietto per il concerto e che non sa dove andrà a evento concluso. E soprattutto evitano il discorso sulla sudditanza alla celebrità come oppio per i popoli. Si limitano a raccogliere testimonianze spessissimo spontanee che compongono un ritratto molto più ricco sul Paese di quanto la situazione circoscritta potrebbe far pensare.
Lo spettatore avrà tutto il tempo di farsi una propria idea ma anche di divertirsi, di ascoltare, di provare empatia.

Quando il documentario si concluderà con le ultime testimonianze raccolte a fine concerto, si proverà un po’ di malinconia per il distacco da persone che sembra di avere potuto almeno parzialmente conoscere nello spazio dei 71 minuti della sua durata.

Waiting for B. è stato presentato al CPH:DOX (Copenhagen International Documentary Festival) nel novembre di quest’anno.

 

Roberto Rippa

 

Waiting for B02

 

Esperando B.
(Waiting for B. Brasile/2015)
Regia, fotografia: Abigail Spindel, Paulo Cesar Toledo
Suono: Andre Melges
Montaggio: Abigail Spindel
Musiche: Mario Margarido, Sergio Rezende
71′

 

Waiting for B03



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