L’intensità di un ritorno alle proprie origini, come ricerca dell’identità e dell’io, è un tassello che va ad aggiungersi al mosaico lucano della filmografia di Faretta, un mosaico di per sé già colorato e variegato.
L’atmosfera di sospensione e di incredulità che permea tutta la durata di «Montedoro» è annunciata fin dall’inquadratura iniziale: un telefono installato su un palo funge da tramite tra un panorama arido e brullo e tutto il resto del mondo. Questo strumento, rappresentato in tutta la sua precarietà e improbabilità, cala fin da subito lo spettatore in una condizione di surrealtà.
Alla (solo immaginata) chiamata risponde Pia Marie, una donna americana che giunge in Basilicata per capire meglio le proprie origini. Adottata negli Stati Uniti fin da bambina, il destino la porta a Montedoro in cerca della madre.
Da un vecchio treno delle Ferrovie Appulo Lucane a un taxi materano, il viaggio di Pia Marie continua sulle dolci e aride colline della Basilicata, mentre Caruso canta Donizetti e fa da sfondo ai meravigliosi campi lunghi che scrutano da lontano l’incedere del taxi.
È soltanto nel tardo pomeriggio che Pia e il tassista giungono a Montedoro, immersi in una spettrale luce pre-crepuscolare, resa ancora più inquietante dalle nuvole che coprono il cielo. Montedoro è Craco, paese fantasma della provincia di Matera che da più di cinquant’anni è stato evacuato a seguito di una tremenda frana. Ma Craco esiste e resiste, donando un senso di maestosità e mistero alla cresta della montagna su cui sorge. Pia Marie vive un momento di straniamento, reso ancora più accentuato dalla contrapposizione tra la vita da cui arriva, quella veloce, multiculturale e frenetica degli Stati Uniti, e l’attuale immersione nel selvaggio e nella condizione di lentezza, resa magistralmente dal punto di vista visivo grazie a lentissimi movimenti di macchina alternati ad ampie panoramiche dove anche la colonna sonora lavora per sottrazione.
Faretta utilizza la vera storia di Craco unendola alla “vera” storia di Pia Marie, che incarna sé stessa. Infatti l’attrice protagonista di Craco è un’americana che ha scoperto le sue vere origini soltanto dopo la morte dei genitori. L’idea da cui germina lo sviluppo di «Montedoro» riguarda quindi il racconto di qualcosa che non c’è più, ma che al suo interno ancora vive. Pia Marie si trova dunque a interfacciarsi con la natura (reale e figurata) di un paese abbandonato, tra animali selvaggi e pochi pastori con la pelle cotta dal sole, che portano avanti le antiche tradizioni, mentre i fantasmi che ancora abitano Craco la accompagnano alla ricerca di sé.
Un posto «fantastico e magico, dove sembra che il mondo non sia mai passato», che Pia Marie tenta di “catturare” con la macchina fotografica. Ma l’anima di Craco è inafferrabile, impossibile da catturare, proprio come è fuggente e indefinibile l’anima del film di Faretta, che si destreggia tra splendide inquadrature e giochi di luce, tra passaggi quasi documentaristici e sequenze di pura visionarietà onirica, complice anche l’apparato musicale di una colonna sonora tanto minimale quanto straniante ed efficace.
«Montedoro» si dipana sul filo narrativo di una ricerca interiore che, però, si sviluppa anche grazie all’interazione tra presente, passato, immagini evocative e fantasmi-guida, mentre le tradizioni rurali e religiose degli abitanti di Craco scandiscono un tempo che si sviluppa sull’arco breve di pochi giorni ma che è capace di mettere in gioco l’eternità del respiro delle pietre che ancora vivono in questo piccolo lembo di Basilicata.
«Montedoro» è capace di rendere geloso chi ama quei luoghi, perché solo chi ha nel cuore il paesaggio lucano sa quanto sia bella e irraggiungibile la Basilicata nascosta dei silenzi, dei profumi, del sole che cuoce paesaggi d’argilla, dei paesi dislocati su colline difficili da percorrere, delle città tanto belle quanto nascoste al mondo.
In «Montedoro» c’è un po’ di quel naturalismo che ha reso unici i lavori di Piavoli e Agosti. C’è il sentimento di ricerca materna e l’uso del repertorio che ricorda la Marazzi. Senza fare scomodi paragoni, c’è anche un sapiente uso del piano sequenza che rimanda ad alcuni passaggi di Angelopoulos: ne è prova la splendida sequenza della mietitura, dove ruralità, infanzia, naturalismo e onirismo si fondono in una bucolica ascesa verso il cielo.
Faretta non si limita a inquadrare Craco e non gli basta nemmeno farne uno sfondo per la vicenda che ci vuole trasmettere. Inserisce Craco nella dimensione del Mito, la fa rivivere, la ripopola e la rende parte integrante di un mondo che appartiene un po’ a tutti, il mondo dell’io più intimo che è sempre alla ricerca delle proprie radici, anche sfidando il pericolo di un crollo imminente. E questa dimensione mitologica è splendidamente rappresentata dalle due sorelle vestite a lutto che fanno da guida a Pia Marie, come due Parche si mettono al telaio del destino a tessere la stoffa dei nostri sogni, dei nostri desideri.
«Montedoro» ci porta dentro Craco e ci scopre il cuore di una Basilicata indomita, quasi sempre dimenticata ma che non si lascia annientare dalle vicende della natura e dallo scorrere del tempo. Faretta è capace di far emergere tutta la primordialità di una terra che reclama(va) il suo spazio sullo schermo di un cinema e che finalmente viene mostrata al mondo in tutta la sua complessità. Il regista ci racconta la storia di Pia Marie, dopo averla incontrata a Craco. «Mi sono convinto che dovevo restare là a spiare tra le crepe del paese e di questa donna» è quanto afferma Faretta riguardo alla genesi del film: e in quelle crepe riesce a trascinare anche lo spettatore, facendo rivivere e pulsare il cuore del paese fantasma, realizzando di Craco un ritratto definitivo e autoriale.
Nicola ‘Nimi’ Cargnoni
MONTEDORO
Regia, soggetto, sceneggiatura: Antonello Faretta • Direttore della fotografia: Giovanni Troilo • Montaggio: Maria Fantastica Valmori • Produttore esecutivo: Adriana Bruno • Colonna sonora: Vadeco e una canzone di Enrico Caruso • Scenografie: Nunzia Decollanz • Costumi: Federica Groia • Souno: Stefano Sabatini • Sound design e mix: Marcos Molina • Postproduzione: Fotocinema • Produttori: Antonello Faretta, Adriana Bruno, Pia Marie Mann • Interpreti: Pia Marie Mann, Joe Capalbo, Caterina Pontrandolfo, Luciana Paolicelli, Domenico Brancale, Anna Di Dio, Mario Duca, Aurelio Donato Giordano, Joan Maxim e gli abitanti di Craco • Produzione: Noeltan Film Studio • In collaborazione con: Todos Contentos Y Yo Tambien, Rattapallax Films USA, Astrolabio Brazil, FESR Basilicata 2007/2013, Unione Europea, Regione Basilicata, Repubblica Italiana • Con il supporto di: Lucana Film Commission, APT Basilicata, The Craco Society, Nomadica • Formato di ripresa: Super 16mm color – 2.35:1 • Formato di proiezione: DCP • Audio: Dolby Surround • Lingua: italiano, inglese e dialetti locali • Sottotitoli: italiano, inglese • Genere: Ethnofiction • Distribuzione: Noeltan Film Studio • Data di uscita: 15 aprile 2016 • Paese: Italia • Anno: 2015 • Durata: 90 min.
MONTEDORO TOUR. VIAGGIO IN ITALIA
dal 15 aprile al cinema
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montedorofilm.it/viaggioinitalia
ANTONELLO FARETTA
È nato nel 1973 a Potenza. Tra le sue opere Lei lo Sa, Da Dove Vengono le Storie?, Il Vento, la Terra, il Grasso sulle Mani, Nine Poems in Basilicata, Transiti e Il Giardino della Speranza, presentate in numerosi festival internazionali del cinema, gallerie e musei d’arte contemporanea del mondo tra cui Centre Pompidou, Museo di Arte Contemporanea Barcelona, Cannes Film Festival, Galerie du Jour Agnes B., Rotterdam Film Festival, Hot Docs Toronto e Pen World Voices Festival New York. Montedoro è il suo primo lungometraggio.
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