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ALIPATO: The Very Brief Life of an Ember
IFFR | International Film Festival Rotterdam 2017

 

This is not a film by Khavn. Questa è una frase che non suonerà nuova a chi conosce la sterminata filmografia del regista filippino. È la frase manifesto che domina i crediti dei suoi film (circa 150, tra cortometraggi e lungometraggi. Numeri che fanno impallidire Miike).
Khavn è il regista punk per eccellenza, hardcore dal primo all’ultimo secondo di ogni suo film.
La prima parte di ALIPATO è ambientata a Mondomanila nel 2025 e segue la vita di una gang di bambini (tra i cinque e i quindici anni) che impazzano come cani randagi, mezzi nudi e fumando sigarette e armeggiando coltelli e pistole, tra le macerie della loro baraccopoli.
Il film si apre con la corsa di un carro lungo le strade di Mondomanila che riporta alla mente la scena di apertura di Underground di Kusturika.

 

 

Un piano sequenza carnascialesco in cui immagine e suono sono sempre pieni e grotteschi, ogni centimetro della città contiene un campionario di freak impressionante. Khavn tiene l’attenzione al centro dell’inquadratura, dove si svolge sempre l’azione principale, utilizzando durante tutto il film una focale grandangolare. Avete presente il video saggio di Vashi Nedomansky sul film Mad Max: Fury Road che analizza la composizione dei frame realizzati dal DOP John Seale?

 

 

Potrebbe essere fatto un discorso simile per il film di Khavn, se non fosse che i frame di ALIPATO soffrono di Horror Vacui. Mentre l’azione principale si sviluppa nella parte centrale dell’inquadratura (rendendo la definizione Center framed valida anche per questo film) decine di azioni subordinate o complementari o totalmente slegate riempiono i frame del film fino a momenti estremi in cui sembrano sbordare dai margini. Composizioni che in Italia hanno avuto l’apice nella breve filmografia di Carmelo Bene con Nostra Signora dei Turchi e Salomé in testa.

Dopo scontri a fuoco in slowmotion, riti profani, un documentario di National Pornographic TV e la devastazione di un supermercato la gang decide di rapinare una banca. Il colpo va male e il leader finisce in carcere.
La seconda parte del film si colloca nel 2053 quando, uscito dalla prigione, il personaggio interpretato da Dido De La Paz torna alla base e incontra i membri della sua gang. I toni cambiano leggermente e il delirio raggiunto inizialmente lascia spazio al susseguirsi cadenzato e sistematico dell’uccisione dei membri della banda. Ogni morte viene sottolineata dall’immagine dell’epitaffio tombale che ne è testimonianza. Così ripercorriamo gli assurdi soprannomi dei componenti: Pork Chop, Bull Dog, Snowman, McAbnormal e J. Blo tra gli altri.
Chi sta uccidendo tutti i membri della gang? questa è la domanda che fa da cappello a tutta la seconda frazione di ALIPATO accompagnandoci al finale.

 

 

Khavn, in controtendenza rispetto alla maggior parte del cinema contemporaneo, lavora per addizione fino a raggiungere il parossismo e la saturazione dell’immagine. ALIPATO ricorda uno stupido gioco che si faceva da bambini: in cerchio, partendo da una mano appoggiata su un tavolo, ognuno sovrappone la propria e una volta completata la piramide, la mano alla base deve essere estratta e posizionata in cima. Inevitabilmente il gioco diventava sempre più veloce fino a sfociare in una smanacciata furiosa e caotica.
Le mani in questo caso sono piccole e giovanissime, ma già piene di cicatrici. Cicatrici causate da cocci di bottiglie rotte, da bruciature di sigarette, da abusi e dalle droghe. Sono le cicatrici dei bambini filippini che abitano le baraccopoli ai margini delle città e che popolano il cimitero di Navotas, poco fuori Manila dove dormono dentro i loculi epurati dei loro precedenti abitanti. I bambini che Khavn ha scelto come attori per il film.

Uno degli aspetti fondamentali nella filmografia dell’artista filippino è che ogni suo film corrisponde anche ad un album musicale composto e spesso interpretato dallo stesso Khavn.
Ecco una playlist di brani tratti da ALIPATO.

 

Emanuele Dainotti

 

 

ALIPATO: The Very Brief Life of an Ember
Regia: Khavn • Sceneggiatura: Khavn, Achinette Villamor • Fotografia: Albert Banzon • Montaggio: Carlo Francisco Manatad • Scenografie: Fletcher Chancey, Scott Kuzio • Costumi: Kristine Kintana • Musiche: Khavn • Trucco: Barbie Capacio, Daniel Palisa • Suono: Nico Krebs, Fabian Schmidt, Helene Seidl, Marcus Sujata • Interpreti principali: Dido De La Paz, De La Cruz Khavn, Marti San Juan, Bing Austria • Produttori: Stephan Holl, Khavn, Antoinette Köster, Achinette Villamor • Produzione: Kamias Overground, Rapid Eye Movies • Paese: Germania/Filippine • Anno: 2016 • Durata: 88′

 



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