Una malattia che si chiama Realismo. A proposito di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”

Ma siamo sicuri che Three Billboards Outside Ebbing, Missouri sia un bel film?

In un libro di Piero Raffa intitolato Avanguardia e Realismo del 1967, edito da Rizzoli (che oggi non legge più nessuno, o quasi), il Realismo viene affrontato come un linguaggio, la cui compatibilità con l’avanguardia non può essere messa in dubbio, se non da quella “degenerazione della coscienza di classe rivoluzionaria in pregiudizio di classe […], in breve l’alienazione ideologica dell’intellettuale politicizzato” (op. cit., pag. 172). Il nocciolo del problema di questo acclamato manifesto filmico da Realismo del Sud degli Stati Uniti – con le sue trucide violenze verbali che compongono un ritratto da Mangiafagioli del Carracci, onde catapultarci nel sudiciume della classe disagiata americana odierna – sta proprio nel rovesciamento del Realismo (che al tempo di Raffa era straniante per la lezione di Šklovskij, assorbita da Piscator e Brecht) in una forma ideologica di politica intellettualizzata. Potremmo forse togliere “intellettualizzata” se non fosse che Frances McDormand, nella parte della malvissuta in perenne salopette e facondia ricca di coloriti improperi, conferisce un certo carattere (…lasciando stare l’imbarazzante discorso con il capriolo…) all’esile struttura di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Una madre vuole che si faccia luce sullo stupro e l’uccisione della figlia. Per questo affitta tre cartelloni pubblicitari dismessi dal 1986. Fra sentieri che – più che “biforcarsi”, per usare l’espressione di Borges – si disperdono come quegli alpestri tracciati minori destinati prima o poi a scomparire, il film non ci consegna di certo l’assassino (sarebbe facile retorica) ma s’interroga con magniloquenza sottolineata da una musica pseudo-straniante (tanto l’azione è violenta, quanto la musica sarà soave: una lezione alla Lars von Trier che gioca trivialmente nel raccattare emozioni) su d’una Realistica, profonda, saggia, ponderosa massima: la violenza genera ulteriore violenza. Potremmo sorvolare sul fatto che le malvissute esistenze di questi personaggi del Missouri paiono caricature linguistiche del Realismo di cui sopra: tramutandosi in politica accecata dalla necessità d’unire donne reiette, nani, neri filantropi e omosessuali gentili, s’ammorba da sé. Così come potremmo sorvolare sulle lettere dello sceriffo destinato a morire d’un cancro al pancreas, il quale si toglie la vita (da vero cow boy, nella sua stalla in compagnia dei cavalli), non scordando però di seminare sermoni epistolari che – più o meno – commuovono tutti. Questi vorrebbe essere un personaggio nobile, ma sembra un prodotto liofilizzato dei valori americani: coraggio, famiglia, fedeltà, etc. Un prêt-à-porter d’eroismo con qualche vaghissimo accenno a Shakespeare e Oscar Wilde: in punto di morte sarà sempre utile citare qualche grande nome. Potremmo sorvolare su tutto questo, e fors’anche sul fatto che i figli della nostra tosta protagonista le si rivolgano a colazione con un ameno “vecchia troia”; o che “puttana” sia l’appellativo della di lei figlia prima d’essere violentata e uccisa (in un’analessi che poteva essere omessa e che invece rigira il dito nella piaga del Realismo): sono tutti dettagli per la composizione del truculento Sud, per quegli iconici Mangiafagioli da esportazione. Ma non potremo sorvolare sulla redenzione di Dixon, l’aiuto-sceriffo mezzo deficiente che si scopre detective, compie atti eroici, indaga, si redime dalla propria violenta idiozia, subisce percosse, si getta nel fuoco, segue la nostra eroina in una possibile vendetta. Sulla quale il film si ferma. Lascia sospesa la Realistica narrazione: il fucile carico nel bagagliaio. Inceppa il meccanismo di nani, sceriffi carichi di buone parole, sceriffi neri carichi d’intuizioni e saggezze, ex-mariti ubriaconi che se la fanno con ragazzine appena maggiorenni. Ferma tutto questo per ricordarci le grandi e complesse parole: la violenza genera altra violenza. Forse non converrà vendicarsi ammazzando. Perbacco. Una seconda puntata del film non c’è. Perciò tutti a casa: per carità. •

Dario Agazzi

 

Annibale Carracci, Mangiafagioli. Olio su tela, 57×68 cm, 1584-1585, Galleria Colonna (Roma)

 

THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI
Regia, sceneggiatura: Martin McDonagh • Fotografia: Ben Davis • Montaggio: Jon Gregory • Effetti speciali: Burt Dalton • Musiche: Carter Burwell • Scenografie: Inbal Weinberg • Costumi: Melissa Toth • Produttori: Graham Broadbent, Peter Czernin, Martin McDonagh • Produttori esecutivi: Diarmuid McKeown, Bergen Swanson, Daniel Battsek, Rose Garnett. David Kosse • Interpeti principali: Frances McDormand (Mildred Hayes), Woody Harrelson (sceriffo Bill Willoughby), Sam Rockwell (agente Jason Dixon), Caleb Landry Jones (Red Welby), John Hawkes (Charlie Hayes), Lucas Hedges (Robbie Hayes), Peter Dinklage (James), Abbie Cornish (Anne Willoughby), Samara Weaving (Penelope), Clarke Peters (Abercrombie), Darrell Britt-Gibson (Jerome), Kathryn Newton (Angela Hayes), Kerry Condon (Pamela), Željko Ivanek (sergente Cedric Connelly), Amanda Warren (Denise), Christopher Berry (Tony), Sandy Martin (Sig.ra Dixon), Nick Searcy (padre Montgomery), Malaya Rivera Drew (Gabriella Forrester), Brendan Sexton III (sospettato) • Produzione: Blueprint Pictures • Distribuzione italiana: 20th Century Fox • Rapporto: 2.35: 1 • Paese: USA, UK • Anno: 2017 • Durata: 115′

 



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