Sweet Movie > Dušan Makavejev

Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale numero26 (giugno-luglio 2010), pagg. 8-10

Il capolavoro misconosciuto di Dušan Makavejev tra autocompiacimento e genio,
simbolismo e critica.

Siamo negli anni ‘70, 1974 per la precisione. Non potrebbe esserci periodo più fecondo per questo genere di film. Già parlare di genere risulta restrittivo, in quanto l’intento di molti registi dell’epoca non era quello di fare opere cinematografiche ben definite e classificabili ma di trasgredire, andare oltre, sperimentare, inventare.
Dušan Makavejev si inserisce nel solco della ricca tradizione artistica jugoslava, la cui storia contemporanea fornisce spunti inesauribili di riflessione politico/poetica. Al pari di Jodorowsky, Arrabal e altre menti illuminate del surrealismo anarchico, Makavejev incappa più di una volta, lungo la sua estesa carriera, nelle maglie della censura (intendiamoci, i film di questi tre autori incapperebbero anche oggi in tagli severissimi). La vera forza dell’artista jugoslavo sta nello sfruttare il cinema per scopi interessanti in un periodo in cui il cinema poteva ancora essere uno strumento di sovversione, di denuncia inflessibile, di cambiamento. Oggi, nonostante la carica rivoluzionaria dei suoi film, questi ultimi verrebbero trattati alla pari di fenomeni marginali e strambi, senza capo né coda, interessanti (per una nicchia) ma fini a sé stessi.
Io vorrei dimostrare che, nonostante 30 anni siano passati dall’uscita di “Sweet Movie”, la pellicola risulti ancora di una carica vibrante inesauribile, di una vitalità elettrica, di una lucidità (follemente) straordinaria. La storia (e ci risiamo, dimenticate il termine storia, mi serve solo per dare una parvenza di linearità alla recensione) è quella sconclusionata di una ragazza (Miss Canada) che, dopo aver vinto un concorso immaginario di bellezza e castità, passa letteralmente fra le mani di diversi uomini-simbolo: il capitalista prepotente e materialista Mr. Kapital, il negroide Mr. Muscolo, il messicano effeminato El Macho, fino ad approdare in una comune hippie, ad unirsi a Lev Bakunin in un coito mortale (per lui) e a fare da sponsor ad una pubblicità di cioccolato.
È un itinerario dispersivo, spesso autocompiaciuto, con lampi di genialità visiva e concettuale (Bakunin, ultimo rappresentante della corazzata Potemkin, nonché metafora del comunismo, si unisce carnalmente alla protagonista su un letto di zucchero, a sua volta simbolo dei crimini staliniani edulcorati da una politica di Partito basata sulla menzogna e l’ignoranza, o ancora, Mr Kapital che, sorvolando in elicottero le cascate del Niagara, prospetta in un monologo delirante un futuro comicamente cybernetico per quel paradiso naturale), con sferzate di anarchia sregolata che si trasforma spesso in disordine parossistico.
Non si salva però tutto in questo concentrato ribollente di simboli e metafore, critica sguaiata dei due sistemi politici che hanno cambiato per sempre il mondo (capitalismo e comunismo): in particolare alcuni rimandi allusivi sono ai limiti della comprensibilità, e a volte la confusione è troppa anche per chi alla confusione è abituato, ma spiccano altresì alcune gemme preziose, tra cui la rievocazione del massacro di Katyn: terribile, surreale, commovente.

SWEET MOVIE
Canada/Francia/Germania Ovest, 1974
Regia: Dušan Makavejev
Sceneggiatura: Dušan Makavejev
Interpreti: Carole Laure, Pierre Clementi, Anna Prucnal
Durata: 98’



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