“I nostri figli sono molto simili”: questa frase, apparentemente semplice, esce dalla bocca dalla protagonista oltre la metà del film.
Per arrivare a pronunciarla, ha dovuto superare molte diffidenze e vivere il timore di avere perso la figlia.
È il 7 luglio del 2005, Londra è scossa da una serie di attentati terroristici ad opera di kamikaze che ha mietuto più di cinquanta vittime. Elisabeth, che vive sola a Guernsey, appresa la notizia, non riesce a mettersi in contatto con la figlia Jane, che a Londra studia. Decide quindi di partire alla volta della città per scorpire cosa sia successo. Parallelamente anche Ousmane si sta recando a Londra alla ricerca del figlio Ali, pure lui latitante. Elisabeth e Ousmane sono persone apparentemente distanti, anche nel rapporto con i figli: lei è convinta di conoscere bene la sua e andrà incontro ad alcune sorprese, lui è consapevole di non conoscere affatto il suo (nemmeno l’aspetto esteriore) avendolo lasciato a sua madre in Africa all’età di sei anni, dopo che lui si è trasferito a Parigi per lavoro. Lo conosce talmente poco da sospettare persino che possa essere stato parte attiva nell’attacco terroristico.
Mentre i due intraprendono una ricerca resa difficile dall’impossibilità della polizia di fornire risposte o notizie precise sui feriti o morti nell’attentato, saranno costretti ad avvicinarsi e a unire le loro forze nella ricerca. Non sarà un processo facile: prima dovranno scoprire che i due figli avevano una relazione e che la ragazza stava forse addirittura considerando di convertirsi alla religione di lui.
“London River” si basa su una sceneggiatura solida e per nulla propensa a trattare il dolore come merce di scambio per le lacrime dello spettatore pronto a scordarsene al momento della pizza dopo-film. Bouchareb non utilizza alcun artificio per premere il pedale sulla facile commozione: nessuna malizia in sceneggiatura, niente musica a enfatizzare i momenti più drammatici, nessun ricorso al luogo comune. Al contrario, mette in evidenza il dolore di due persone che alcuni vedrebbero molto distanti, al momento in cui un evento le mette a confronto. Lo stesso atto terroristico funge alla fine solo da catalizzatrore per la storia, tornando presto – dopo le scene di repertorio usate a inizio film – a posizionarsi sullo sfondo.
A sostenere il non facile compito, Bouchareb può contare su due interpreti eccezionali: Brenda Blethyn (l’indimenticabile Cynthia Rose di “Secrets and Lies” di Mike Leigh), una di quelle rare attrici la cui bravura giustifica la visione di qualsiasi cosa faccia, a prescindere dal suo valore, e il sorprendente Sotigui Kouyaté, nativo del Mali ma per lungo tempo a Parigi (dove è morto nell’aprile di quest’anno) dove ha lavorato per un ventennio in teatro con Peter Brook, diretto la compagnia teatrale Volta e recitato in diversi film.
Bouchareb, che aveva diretto nel 2006 “Indigènes“, un film non perfetto ma che aveva il coraggio di trattare un tema – quello dell’arruolamento di soldati presi dalle colonie francesi per contrastare l’avanzata nazista. Evento che in Francia appare piuttosto rimosso dai più – dirige un film che rispetta lo spettatore e le sue emozioni e lo fa con una storia semplice quanto complessa, scritta da lui stesso.
“London River”, infine, non è uno di quei film che dicono una parola definitiva su un argomento, ma è certamente in grado di aggiungervi un valido e sincero capitolo.
London River (Gran Bretagna-Francia-Algeria, 2009)
Regia: Rachid Bouchareb
Sceneggiatura: Rachid Bouchareb, Zoé Galeron, Olivier Lorelle
Musiche: Armand Amar
Fotografia: Jérôme Alméras
Montaggio: Yannick Kergoat
Interpreti principali: Brenda Blethyn, Sotigui Kouyaté, Francis Magee, Sami Bouajila, Roschdy Zem, Marc Baylis
87′