Il presente articolo è stato pubblicato su Rapporto Confidenziale, numero31 (febbraio 2011), pagg. 13-39, all’interno dello speciale “8 volte Christophe Honoré”
Dans Paris
2006 / Francia / 35mm / colore / 92′
Anna e Paul si sono lasciati. Lui, annichilito dalla separazione, lascia la Loira, dove si era trasferito appena un anno prima con lei, per fare rientro a Parigi nell’appartamento in cui suo fratello minore Jonathan abita con il padre. Jonathan è uno studente molto fuori corso più interessato alle donne che allo studio. Paul si installa nel suo letto e si rifiuta di lasciare la stanza mentre padre e fratello tentano tutto il possibile per strapparlo alla sua depressione.
«Il cinema francese aveva un approccio concettuale o emozionale al cinema ma l’idea di rappresentare il mondo, propria di molte cinematografie, era la stessa. Oggi, per la generazione di registi cui appartengo, questa idea non c’è più. Non possiamo pretendere di stare al passo con la televisione, che il mondo lo sovrarappresenta.
Quindi, come regista, se non rappresenti il mondo cosa puoi rappresentare? Ritengo che rappresentiamo una certa idea di cinema. Il cinema d’autore, in particolare il cinema francese d’autore che lavora molto sull’idea della memoria del cinema, su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, eccetera…».
Christophe Honoré, da una intervista rilasciata a Ian Haydn Smith nel 2007. ION Productions
«Volevo girare un film che si identificasse con la tradizione cinematografica francese, soprattutto con il cinema scoperto nella mia adolescenza e quindi quello che va dalla fine degli anni ‘70 agli ‘80, momento in cui ne ho preso davvero coscienza. Volevo raccontare questi ultimi 30 anni di cinema francese attraverso piccoli tocchi impressionisti. La scenografia, per esempio, è stata molto curata. L’appartamento è molti simile a quelli dei nostri genitori, in cui sono stratificati oggetti di ogni era. Una sorta di cumulo di oggetti e stili distanti tra loro».
Ibidem
«Il film nasce da una mia presa di coscienza, quella di essere un regista francese. Può sembrare stupido dirlo ma è stata una cosa alla quale ho tentato di resistere nei miei due film precedenti. “17 fois Cécile Cassard” aveva le influenze atmosferiche e piuttosto espressioniste di certo cinema asiatico, “Ma mère”, adattato da Bataille, era invece influenzato dal cinema italiano, quello di Pasolini in particolare.
È stato in quel momento che ho riconosciuto di essere un regista francese e che ciò che mi aveva avvicinato al cinema erano stati i film francesi, quelli riconducibili alla Nouvelle vague in particolare. “Dans Paris” rappresenta quindi per me un ritorno alle origini, direi».
Ibidem
Se nel precedente “Ma mère” l’infuocato materiale di partenza e la responsabilità di rimanere fedele al romanzo di Bataille da cui era tratto – scelta nata dal desiderio di discostarsi dalla possibile etichetta di scrittore prestato al cinema – sembravano avere costretto Honoré portando a un risultato cupo allo stesso tempo affascinante e repellente, è con “Dans Paris” – per cui il torna a dedicarsi in prima persona a soggetto e sceneggiatura – che il regista consolida uno stile personale e un tocco leggero che, pur non mortificando mai il tema trattato, crea una soavità lieve che più ancora che del film è propria della vita.
Abbozzato il soggetto e ottenuta la disponibilità dei due protagonisti Romain Duris e Louis Garrel (nel frattempo ha diretto quest’ultimo in teatro), Honoré scrive la sceneggiatura proprio su di loro, non tanto per sottolinearne le rispettive caratteristiche quanto per portare alla luce sfumature interpretative non ancora rivelate.
Procede quindi con loro a una serie di letture, come a teatro, nel corso delle quali la sceneggiatura è fatta oggetto di adattamenti.
Totalmente libero nella scrittura e nella direzione, Honoré si dedica a una serie di citazioni che non vengono disseminate casualmente nel film ma che fanno proprio parte della sua ossatura.
«No, non vi sbagliate, si tratta davvero di un apostrofo. Mi rivolgo a te, caro spettatore, ma, come te, sono consapevole dell’odore insopportabilmente imbarazzante di una persona che osa rivolgersi direttamente al pubblico. Se mi permetto di farlo è perché devo iniziare questa storia con un’introduzione. Ciò che ho in mente non è solo verboso e pedante, ben oltre alla mia fantasia più sfrenata, ma, senza rovinare alcuna sorpresa, è anche terribilmente personale. Poiché malgrado tutte le evidenze non sono l’eroe di questa storia, mi accordo il diritto di esserne il narratore. D’altronde, questo ruolo rispetta la mia caratteristica onniscienza. A dispetto dei dubbi che vi avranno espresso alcune tra le ragazze che conosco, questi tesorini non sanno di cosa parlano perché io posso essere ovunque contemporaneamente. Come qui, per esempio, nel mezzo della Francia, in una regione dalla forma di patata…».
È questo apostrofo recitato da Louis Garrel sul balcone dell’appartamento che condivide a Parigi con suo padre e rivolto direttamente allo spettatore a introdurre la storia di suo fratello Paul, trasferitosi nella regione della Loira con la donna che ama e il figlio di lei.
Ma la scena in cui Garrel si rivolge allo spettatore come Belmondo in “À bout de souffle” (o Anna Karina in “Une femme est une femme” o “Vivre sa vie”) non funge solo da introduzione alla storia ma crea una vera e propria determinazione del tono rispettosamente referenziale dell’intero film. E se la voce narrante sparirà nello spazio di queste poche parole, lo stile rimarrà indelebilmente fissato per tutto lo svolgimento della storia.
Mentre, immediatamente dopo, nel primo di una serie di rimandi temporali, seguiamo Paul negli ultimi momenti di quella che è stata una storia d’amore, il tono cambia. Lo vediamo alzarsi dal letto pronto a fare una doccia dopo un rapporto che si immagina fugace e distratto mentre Anna, consapevole, lo rimprovera di volersi togliere di dosso il suo odore. Poco dopo lo vedremo fotografarsi con una manciata di pillole in bocca per impietosire lei.
Rivediamo quindi Paul il giorno dell’antivigilia di Natale nell’appartamento che suo padre e suo fratello condividono, incapace anche solo di lasciare la stanza da letto.
Nell’appartamento di Parigi il tono cambia una volta ancora grazie al rientro in scena del fratello Jonathan e alla conoscenza del padre Mirko.
Paul si è totalmente chiuso in sé stesso, non solo non esce dalla stanza ma rifiuta anche il cibo che suo padre cucina per lui. Respinge inoltre l’invito di Jonathan ad accompagnarlo presso il grande magazzino Bon marché, come facevano quando erano bambini in attesa del Natale.
Se il tema dell’abbandono – o la sua paura o, meglio, il terrore – è presente già nel primo segmento, qui ne giunge la riconferma nella forma impalpabile di un’assenza, quella della sorella suicidatasi anni prima, assenza-presenza fantasmatica che aleggia sui tre uomini.
«Dopo la lavorazione e l’uscita nelle sale di Ma mère mi sono un po’ allontanato dal cinema. Mi sono dedicato alla scrittura di libri per adulti, ho pubblicato un romanzo (che curiosamente – primo libro di Honoré non destinato all’infanzia – si intitola “Le livre pour enfants”. Ndr.). È stato Paulo Branco, il mio produttore, a venire da me per dirmi che avrei dovuto tornare al cinema. E in fretta. Era estate e ho chiamato subito Garrel e Duris, con cui avevo già lavorato, e ho chiesto loro se sarebbero stati liberi in gennaio. Hanno risposto affermativamente e quindi ho scritto il film proprio su di loro, con l’idea di mostrare parti loro che non erano state mostrate prima: il lato burlesco di Louis e quello interiore di Romain» Ibidem
Il personaggio di Jonathan ha sulle spalle la commedia e l’omaggio che Christophe Honoré fa al cinema francese della Nouvelle vague. Novello Antoine Doinel (sintesi tra il Doinel bambino di “Les 400 coups” e quello adulto di “Domicile conjugal”, richiamato anche nella scena in cui, a letto con la seconda ragazza incontrata, legge un libro), Jonathan si avventura per la città, inanellando tre rapporti sessuali con tre ragazze diverse (una ragazza in scooter bloccata per strada, una ex cui deve 3000 Euro, una ragazza che vede riflessa in una vetrina e cui chiede un bacio per una questione “di vita o di morte”) nello spazio di una giornata nemmeno intera. Gli incontri amorosi di Jonathan sono casuali, conseguenza di improvvisi incontri, ed è legittimo chiedersi quanto siano reali o quando servano a Jonathan stesso per costruire un racconto da riportare al fratello – unici aneliti di vita che gli giungano dall’esterno – una volta rincasato.
Qui, ancora più che prima, è possibile notare come Honoré giochi con i piani temporali della narrazione confondendo presente e passato, utilizzando talvolta quest’ultimo per sostituire i dialoghi.
Il personaggio rivela un lato buffonesco sino ad ora sconosciuto in Garrel e frutto di una precisa scelta del regista, che, non amando forzare gli attori a interpretare ruoli che non corrispondano alle loro caratteristiche, ama comunque mettere in luce loro caratteristiche interpretative a lui note ma inedite.
Se Paul porta su di sé il peso del dramma – ottimamente descritto dal regista senza fare ricorso a enfasi – anche gli altri personaggi non ne sono esenti. Il tema dell’assenza, o della paura dell’assenza, è circolare e ritorna in almeno tre parti del film, ben sottolineata da un contrappunto jazz fatto anch’esso di una sua circolarità. Una di queste tre parti riguarda Mirko (Guy Marchand, attore per Truffaut in “Un belle fille comme moi”, 1972) che chiama in soccorso la sua ex moglie (Marie France Pisier, compagna di Jean-Pierre Léaud–Antoine Doinel in “Antoine et Colette“ – 1962, episodio del film “L’amour à vingt ans“ – e in “L’amour en fuite“ (1979). Appare anche in “Baisers volés”, 1968) nella speranza che la sua presenza smuova Paul dal suo torpore ma tra loro esplode una lite che porta lei ad andarsene dall’appartamento sbattendo la porta, evento non esattamente raro da quanto dirà Jonathan più tardi.
Nel peregrinare casuale di Jonathan, Parigi è come vista attraverso la meraviglia nello sguardo di un forestiero. Honoré ha vissuto in un piccolo villaggio della Bretagna fino ai 24 anni, quando si è trasferito a Parigi per fare cinema. È certamente attraverso il suo sguardo ammirato che noi vediamo la città anche nei suoi apparentemente insignificanti dettagli.
“Dans Paris” è il film che dimostra tutte le capacità di Honoré, non ultima quella di saper infondere ironia ai passaggi più drammatici delle sue storie. Non solo, è rimarchevole anche l’onestà, la mancanza di pretenziosità nel trattare la storia. Anche nella sua capacità di comprensione del dolore dei suoi personaggi – una capacità che suscita empatia nello spettatore – e la capacità di osservare tutto stando un passo indietro, si tratti di testimoniare l’amore di Paul e Anna attraverso una canzone (“Avant la haine”, un momento molto à la Jacques Demy) che i due sostituiscono al dialogo al telefono o si tratti del tentativo di suicidio di Paul, che si lancia nelle acque della Senna per poi tornare a casa sorpreso lui stesso del gesto, Honoré dimostra rispetto per le situazioni più drammatiche proprio perché riesce a spegnerle con il sorriso anziché usarle come meri strumenti per scardinare l’emotività dello spettatore.
“Dans Paris” è un piccolo grande film che si tiene ben lontano da un intellettualismo fine a sé stesso e che riesce a emozionare profondamente.
Fine, rispettoso e finto ingenuo, “Dans Paris” mette in luce tutti i talenti di Christophe Honoré e, mentre scalda il cuore di chi lo guarda, non dimentica di lasciare nel suo cuore lo spazio per un sorriso.
Impeccabili, come sempre nei film del regista, gli interpreti: Romain Duris (alla sua seconda esperienza con Honoré dopo “17 fois Cécile Cassard”), Joana Preiss (già in “Tout contre Léo” e “Ma mère”), Louis Garrel (qui alla sua seconda esperienza con Honoré, che gli regala un ruolo pieno di sfumature ben diverso da quelli sostenuti in precedenza) e gli impeccabili Guy Marchand e Marie-France Pisier.
Colonna sonora ad opera, come sempre, di Alex Beaupain, che nelle sonorità jazz si appoggia a musicisti del Conservatorio di Parigi. Come di consueto, montaggio di Chantal Hymans.
Roberto Rippa
Dans Paris
(Francia-Portogallo, 2006)
Regia, soggetto, sceneggiatura: Christophe Honoré
Musiche: Alex Beaupain
Fotografia: Jean-Louis Vialard
Montaggio: Chantal Hymans
Produzione: Paulo Branco per Gemini Films
Interpreti principali: Romain Duris, Louis Garrel, Joana Preiss, Guy Marchand, Marie-France Pisier, Alice Butaud, Héléna Noguerra, Annabelle Hetmann
92’ / 35mm / colore
Prima proiezione in Francia: 25 maggio 2006 (Festival de Cannes)
Distribuzione in Francia: 4 ottobre 2006