Questo articolo NON contiene alcuna anticipazione.
Finire è un po’ morire.
Questa sera, la sera di domenica 29 settembre, alle ore 21 (in Italia saranno le 2 di notte), il canale televisivo via cavo AMC metterà in onda l’ultimo episodio – intitolato Felina – della serie più amata di sempre: Breaking Bad. E con l’ultimo frame si chiuderà un’epoca, fuori e dentro di noi.
Cos’è che ci fa essere così fragili, così elettrizzati per quest’ultima puntata? Cos’è che ci fa correre un brivido dentro, in fondo al petto? È solo per la conclusione della storia di Walter White che proviamo tutte queste emozioni? Davvero ci importa così tanto che vada a finire in un modo o nell’altro? Queste emozioni che proviamo cosa sono? Sono davvero poca cosa?
Un prodotto seriale, qualsiasi prodotto culturale realizzato nella logica della serie, entra in relazione con le singole esistenze di ogni singolo individuo che ha prestato i suoi occhi a questo ludica narrazione. Oggi si consumerà il sessantaduesimo episodio di una serie incominciata il 20 gennaio 2008. Da quel giorno, quelle storie e quei personaggi, hanno vissuto insieme a noi, trasformandosi da caratteri di una finzione a persone, in tutto simili a noi, perché come noi amano e odiano, sperano e si disperano, come noi lottano per la vita consapevoli che per quante energie ci si possa mettere, queste non saranno mai sufficienti a placare l’ansia che la pervade. Walter, Skyler, Walter Jr., Hank, Marie, Jesse, Mike, Saul… e tutti gli altri… condividono tanto con noi che li guardiamo sullo schermo. Sono una simulazione dell’esistenza, vite riprodotte che ci hanno fatti palpitare non certo per i fatti più eclatanti, non per le esplosioni, per i raggiri, per gli eventi più rocamboleschi. Ci hanno emozionati per l’amore che li legava tra loro. Per quel senso inesplicabile di affetto che ci rende vicini alle persone con le quali stiamo condividendo questa nostra esistenza. La storia di Walter White, professore di chimica di un liceo che, a seguito della diagnosi di un tumore, perde la testa e si infila in un vortice infinito di avidità e bugie con il solo obiettivo di lasciare alla propria famiglia tutto il denaro necessario per vivere senza più nessuna preoccupazione, è un qualcosa che, per quanto possa essere assurdo, tutti comprendiamo. Lo sentiamo chiaramente quello che si muove dentro a Walter, come sentiamo l’amore e il senso di protezione di Skyler per i figli. Ed afferriamo pure cosa si muove nella testa confusa di Jesse, dietro ai suoi occhi sempre sballati, dentro al dolore che lo pervade.
Oggi tutto finisce. Oggi questa storia si conclude. Per sempre.
Oggi sarà un po’ come morire.
Vince Gilligan (il creatore di Breaking Bad) e tutta la sua squadra hanno il merito di ricordarci, a tutti noi assuefatti consumatori compulsivi (di qualsiasi “cosa” materiale e immateriale che sia), che in questa società dello spettacolo sempre più simile a un casinò aperto 24 ore su 24, c’è anche la morte. Tutto finisce. Tutto prima o poi DEVE finire. Quello che ci viene offerto è una riconciliazione con il senso del limite, quello che Walter ha travalicato.
Aristotele scrisse, circa 2400 anni fa, nel capitolo VI della Poetica: «Tragedia dunque è mimèsi di un’azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa, la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni».
A questo punto Jesse Pinkman direbbe: «Yo Bitch!». •
Alessio Galbiati
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ATTENZIONE! QUESTO COMMENTO CONTIENE ANTICIPAZIONI DELL’EPISODIO CONCLUSIVO DI BREAKING BAD.
La riflessione sull’idea della fine è la stessa che ho fatto io oggi pomeriggio dopo aver visto l’ultima puntata. Il pubblico non li accetta inconsciamente i lieto fine. Vuole vedere come cade un genio, giustificandolo quasi nelle sue scelte e nei suoi abomini. Dr Jackill e Mr Hide, W.W. ed Heisenberg. Si rimane sospesi tra la sorte della malattia ed un imminente epilogo che possa scaturire dalla sua prossima mossa, ma inconsciamente la gente ormai non vuole più un lieto fine, vuole solo vedere cosa accade ad una persona che si era complicata la vita, molto peggio di noi, molto peggio della nostra. I buoni diventano cattivi per difendere i buoni e muoiono da cattivi. Ruoli che si invertono, sentimenti che si trasformano, ma il buon cinema è un po come la chimica, è “l’arte di trasformare” il nostro modo di vedere e sentire le cose. Ci mancherai Walt.