Scritto come un thriller ma realizzato come uno studio – mai pedante – sociologico su amore, attrazione e le loro spesso sfuggenti dinamiche, L’inconnu du lac è il quarto lungometraggio di Alain Guiraudie dopo Pas de repos pour les braves (2003), Voici venu le temps (2005) e Le Roi de l’évasion (2009).
Franck è un uomo prossimo ai trent’anni che ogni giorno si reca presso un lago i cui dintorni ben si prestano a fare da cornice a più o meno fugaci incontri sessuali tra uomini. Franck stringe amicizia con Henri, che dopo una sofferta separazione dalla sua compagna si interroga sulla sua sessualità, e segue l’oggetto del suo desiderio, Michel, sfuggente e misterioso. Mentre il rapporto con Michel, fatto di sesso, gelosia e dipendenza, ma che non trova spazio al di fuori dell’area del lago, dall’acqua riaffiora il corpo di un frequentatore abituale, già Compagno di Michel. L’ispettore di polizia Damroder cerca di capire se la morte dell’uomo sia conseguenza di un omicidio o di un semplice incidente e le sue domande ai frequentatori, e soprattutto quelle rivolte a Michel e Franck, insinuano il sospetto nei rapporti e ne mettono a nudo le dinamiche.
In un’area la cui natura diventa immediatamente protagonista del film – con il regista che ne cattura luce e suoni, trasformando questi ultimi nell’unica colonna sonora – un gruppo eterogeneo di uomini si muove in maniera quasi geometrica rivolgendosi molti sguardi, pochissime parole, e trovando nella folta vegetazione che costeggia il lago lo spazio ideale per scambi che terminano all’eiaculazione e il successivo, semplice, saluto. In questo ambiente, aperto ma presto claustrofobico, Guiraudie segue le interazioni tra le persone senza frapporre distanza tra lui e gli altri, come se lui stesso (e quindi, sin dalle prime scene, noi) fosse parte integrante di quel gruppo e di quel luogo. Franck inizia una relazione prettamente sessuale con Michel e non riesce – per la ritrosia di quest’ultimo – a portarla su un piano diverso da quello che il luogo offre: non una cena, non una notte trascorsa insieme, malgrado Michel mostri una dipendenza da lui che sfocia nella gelosia quando Franck appare in ritardo o spende tempo chiacchierando con qualcun altro. Come Henri, che trascorre il suo tempo seduto ad osservare discretamente i movimenti della spiaggia senza cercare interazione alcuna, con cui Franck stabilisce presto un rapporto intimo fatto di racconti personali.
Mentre i movimenti sulla spiaggia e nella radura procedono – con Guiraudie che fonde mirabilmente le scene esplicite (realizzate con due controfigure, come afferma lui stesso in un’intervista rilasciata a João Pedro Rodrigues e presente nell’edizione inglese del DVD e Blu-ray) con la natura circostante – un corpo affiora dal lago. Si tratta di quello di un abituale frequentatore, già compagno di Michel. L’irruzione della morte nel luogo non frena però il susseguirsi di incontri (ma il giorno successivo è solo Franck, in attesa di Michel, a appalesarsi) come non lo frenano neppure le domande dell’ispettore Damroder, cui spetta il compito di penetrare nel luogo e nei rituali che vi si svolgono, e quindi anche di decifrare i riti condotti dalla comunità di frequentatori, per capire se si sia trattato di un incidente o di un omicidio, quando solo Franck, che tace, sa esattamente cosa sia successo per esserne stato testimone diretto. Saranno però proprio le sue domande a insinuare dubbio e sospetto in un rapporto che fino a quel momento non ne era stato sfiorato.
Il regista usa pochissimi spazi del luogo per farvi muovere i suoi personaggi e il parcheggio, con le auto quasi sempre posizionate nello stesso modo, diventa il mezzo narrativo per punteggiare il racconto. Riprende inoltre le interazioni senza fare ricorso al dialogo, ridotto all’essenziale anche tra i due protagonisti, che vengono spogliati di ogni sovrastruttura, e presente soprattutto nel rapporto tra Franck e Henri, elemento che sfugge alle regole vigenti tra i frequentatori nonché unica parvenza di costruzione di un rapporto in un luogo dove l’effimero regola le interazioni.
Ed è la routine insita nella quotidianità del luogo a permettere una caratterizzazione dei personaggi man mano che il tempo passa.
Anche il collocamento temporale diventa un elemento superfluo in uno spazio in cui anche i vestiti rappresentano un elemento superfluo, con la sola menzione dell’AIDS a posizionare la vicenda in un intervallo temporale che si estende dai nostri giorni alla metà degli anni ’80.
Se il film fa a meno di elementi scontati o rivelatori, è comunque costruito come un thriller sin dalle prime scene, anche se lo spettatore se ne renderà conto forse solo quasi alla fine, e si concede anche un colpo di scena che irrompe sullo schermo facendoci ancora una volta sentire fragili di fronte alla nostra mancanza di certezze nei rapporti e alla nostra sorprendente capacità di adattamento alle situazioni più estreme, quando i sentimenti sono coinvolti.
L’inconnu du lac è certamente il thriller più sottile e riuscito che si sia potuto vedere negli ultimi anni, riconosciuto anche dal premio ottenuto per la migliore regia a Cannes nella sezione Un certain regard nel 2013.
L’inconnu du lac
(Lo sconosciuto del lago, Francia, 2013)
Regia, sceneggiatura: Alain Guiraudie
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Jean-Christophe Hym
Intepreti principali: Pierre Deladonchamps (Franck), Christophe Paou (Michel), Patrick d’Assumçao (Henri), Jérôme Chappatte (ispettore Damroder), Mathieu Vervisch (Eric)
97′