Nel luglio di quest’anno ho pubblicato su «Rapporto Confidenziale» un articolo intitolato Il maschilismo del cinema italiano (2000-2013). Ho preso in esame quattordici anni produzione cinematografica (tenendo conto solo di lungometraggi) e calcolato quanti di questi sono stati diretti da uomini e quanti da donne. I risultati sono stati impressionanti: «Nei quattordici anni presi in considerazione dei 1648 lungometraggi prodotti solo il 9,54% (154) sono stati diretti o co-diretti da donne, contro il 90,66% (1494) dei titoli diretti da uomini. Le donne regista del cinema italiano hanno mediamente diretto 11 film all’anno, contro i 106,71 degli uomini, con un massimo di 20 titoli nel 2002 e i minimi di 6 negli anni 2010 e 2012. Di questi 154 titoli in quattordici anni 91 sono diretti da registe che nel periodo hanno firmato un’unica regia, ciò significa, di converso, che il 40,91% delle donne che hanno diretto un film nel periodo di tempo in questione ne hanno realizzato almeno un altro».
Pochi giorni dopo la messa online dell’articolo mi ha contattato Diana Dell’Erba autrice di un brillante film che, proprio sulla palese discriminazione di genere, ragiona, dialogando, con registe e critici cinematografici.
Registe – Dialogando su una lametta è un’opera decisamente interessante capace d’esplorare la questione da una molteplicità di punti visti e angolazioni, chiamando in causa registe italiane di almeno 3 generazioni (Lina Wertmüller, Cecilia Mangini, Francesca Archibugi, Francesca Comencini, Wilma Labate, Cinzia TH Torrini, Roberta Torre, Antonietta De Lillo, Giada Colagrande, Donatella Maiorca, Anne Riitta Ciccone, Maria Sole Tognazzi, Ilaria Borrelli, Anna Negri, Nina di Majo, Susanna Nicchiarelli, Elisa Mereghetti, Alina Marazzi, Paola Randi, Donatella Baglivo, Stefania Bonatelli) e critici cinematografici (Silvana Silvestri, Anselma Dell’Olio, Eliana Lo Castro Napoli, Gian Luigi Rondi). Ma Registe è pure un gran bel film, scritto e diretto con mano sicura e attraversato da trovate visive degne di considerazione, così atipiche in un’opera contenete interviste frontali. Basterà dire che nel film è presente Maria De Medeiros (esordì giovanissima nello splendido Silvestre di João César Monteiro; ai più nota come la compagna un po’ apatica di Bruce Willis in Pulp Fiction) nei panni di Elvira Notari (pioniera del cinema mondiale, regista e produttrice, autrice, tra il 1906 e il 1929, di oltre 60 lungometraggi e un numero ancora non definito di film brevi) che del film di Diana Dell’Erba è spirito guida e progenitrice di tutte le colleghe che arriveranno poi.
In occasione della pubblicazione del film in DVD (è possibile acquistarlo sul sito della casa di produzione «L’Altrofilm») – trattasi di un’opera prima che lascia davvero ben sperare –, ho posto alcune domande a Diana Dell’Erba.
Alessio Galbiati: Da dove nasce l’idea di voler raccontare questa storia segreta del cinema?
Diana Dell’Erba: L’idea nasce da diverse domande e dall’apparente segretezza delle relative risposte: «Come mai sono così poche le donne registe? Perché un argomento come quello degli Women’s Studies, tanto dibattuto in America, qui in Italia è ancora così poco esplorato? Come può un essere umano sentirsi realizzato, compiuto, soddisfatto?».
AG: Il film si apre su queste parole: «Da statistiche non ufficiali risulta che oggi in Italia su 100 registi 7 sono donne. Nel resto del mondo il dato oscilla di poche unità. Nei ruoli di potere la situazione è simile: dati ISTAT sui dirigenti italiani parlano di 12 donne su 100».
DD’E: Sì, questo è stato uno dei punti di partenza della ricerca che ho voluto fosse anche il punto di partenza del film perché l’enorme disequilibrio che constatiamo nel cinema è in realtà presente in tanti ambiti… e la sua importanza denota secondo me un malfunzionamento di base. Oggi, epoca in cui la percentuale di donne lavoratrici si sta alzando esponenzialmente, perché il divario tra uomini e donne aumenta con l’aumentare del prestigio del lavoro?
Reputo questa una materia tanto complicata quanto interessante che abbraccia ruoli, stereotipi, apparenti e profonde differenze.
AG: Registe ha una genesi piuttosto strana perché in un certo qual modo è la trasposizione cinematografica della tua tesi di laurea. Ci puoi raccontare qualcosa della tua tesi anche per dare conto ai lettori di quale sia l’universo culturale e accademico dentro al quale hanno preso forma il tuo discorso e il tuo film?
DD’E: Il desiderio di parlare della “forza del sesso debole” mi ha portato a volgere lo sguardo ad una categoria di donne poco presenti e poco conosciute che hanno rivestito un ruolo di prestigio considerato maschile. Scoprendo i dati sopra citati ho pensato che queste donne fossero arrivate ad un livello di libertà raro ed esemplare. Se la figura della donna nel mondo dello spettacolo è stata molto studiata come attrice e spettatrice, è invece poco esaminata in qualità di autrice; questo mi è parso fin dall’inizio molto strano. Per comprendere un mondo lo si deve analizzare a 360 gradi e mi chiedo come mai, soprattutto in Italia, la critica abbia così tralasciato questo ambito… o comunque perché queste ricerche non abbiano mai riscontrato un grande successo, a differenza ad esempio delle critiche sull’errato utilizzo della figura femminile nel mondo dello spettacolo. Perché soffermarsi sul riflesso piuttosto che sulla fonte del riflesso?
AG: In che modo hai sviluppato il progetto? Quanto è stato difficile realizzarlo?
DD’E: Lo sviluppo del progetto è stato molto “naturale”. La nascita dell’idea così spontanea e urgente è stata forse uno dei momenti più interessanti. Sentita la lacuna è sorto subito il desiderio di colmarla. Trasformare l’idea in azione ha poi trovato moltissime difficoltà… ma come nella costruzione di un puzzle, se l’immagine totale era chiara, i singoli pezzi non sempre lo erano, ma la loro chiarezza aumentava con la manifestazione degli stessi.
AG: Le interviste alle molte registe e critiche presenti nel tuo film sono montate seguendo una logica piuttosto complessa. Inizialmente ripercorri la storia del cinema e poi ti addentri nella realtà italiana risalendo fino ai giorni nostri, fino a domandare a ognuna della propria esperienza, fondendo ricordi personali e considerazioni sulla propria esperienza. Hai lavorato in maniera seriale alle interviste, cioè seguendo uno schema ricorsivo di domande, oppure tutte sono state realizzate liberamente e poi ordinate in fase di montaggio?
DD’E: Lo scheletro del film è nato sin dalla scrittura. La sceneggiatura era un intervallarsi di scene di fiction a domande. Ma individuare le domande significa scommettere sulle risposte, e così le risposte non sono sempre state quelle sperate e la rilevanza degli argomenti è cambiata in corso d’opera… per fortuna, come dice Cecilia Mangini, il «Dio del documentario» ad un certo punto si manifesta, e così ho potuto mantenere l’idea iniziale che era, da un lato, quella di osservare con un grandangolo il cinema firmato al femminile per poi addentrarmici sempre di più e, dall’altro, rendere il percorso delle singole registe un percorso simbolico: quello che un unico individuo, composto da più voci, fa per giungere all’Arte.
Se pensiamo alla nostra vita come ad un film, si deve far di tutto per diventare il regista della propria vita. Attraverso gavetta, esperienze, lavoro, momenti di estasi, intoppi e delusioni… si arriva man mano alla comprensione e poi alla consapevolezza che ciò che davvero conta è ciò che ti rimane, ciò che hai compreso, tutto quello cioè che ti ha fatto migliorare e crescere. La valigia ad un certo punto la si può bruciare e dal fuoco risulta una goccia piccola e intensa che è tutto ciò ci serve.
AG: Elvira Notari è lo spirito guida di Registe. Cosa rappresenta per te questa pioniera del cinema mondiale?
DD’E: Elvira Notari rappresenta colei che è arrivata sulla “cima della montagna”, è arrivata ad essere ciò che desiderava nonostante le tante difficoltà. È la prima e sarà l’ultima; e sopra di lei, simbolo di essere compiuto, c’è ancora qualcos’altro che muove tutto, che diffonde la luce, e che è rappresentata nel film da Lilith, la bambina; che solo un occhio attento può vedere nella sua vera essenza.
AG: Elvira Notari è interpretata da Maria De Medeiros, come sei riuscita ad averla nel tuo film e com’è stato lavorare con lei?
DD’E: Fin dall’inizio, studiando il personaggio di Elvira Notari ho immaginato una donna forte, determinata e coraggiosa, ma al contempo una donna saggia e dolce che riusciva con facilità a trovare il giusto equilibrio in una macchina come quella cinematografica, così complessa di sua natura e ancora di più essendo un’impresa a conduzione familiare. Queste caratteristiche hanno fatto sì che si manifestasse con impeto il volto di Maria De Medeiros. Nel mio immaginario queste due donne erano molto simili, e Maria, attrice, regista e più in generale artista straordinaria, ha confermato quest’idea. Lavorare con grandi personaggi non sempre equivale a lavorare con grandi persone, ma in questo caso lo è stato. Ha abbracciato fin da subito il progetto, reputandolo innovativo e sentendolo vicino alla sua sensibilità e ha dimostrato un’umiltà ed una semplicità, secondo me, proprie solo dei grandi.
AG: Dal punto di vista cinematografico Registe è un interessante tentativo di fondere in un unico corpo filmico interviste frontali e cinema tout court. Le sequenze dedicate a Elvira Notari (Elvira Notari fuori dal tempo, questo il nome di lavorazione di tali segmenti) sono infatti strani oggetti cinematografici sospesi in una dimensione onirica e suggestiva. Una dimensione filmica contigua al cinema prodotto da Louis Nero e dalla casa di produzione «L’Altrofilm», prossima a film come Rasputin e Il Mistero di Dante. Mi interessa molto sapere quali sono le regole dello stile «L’Altrofilm», il perché dell’uso dell’audio mai in presa diretta, dell’audio moltiplicato, il particolare uso delle luci ecc… e come la tua sensibilità registica si sia coniugata tanto naturalmente con questo linguaggio così particolare del cinema italiano contemporaneo?
DD’E: Lavoro da tanti anni con «L’Altrofilm» e probabilmente i nostri inconsci si stanno in qualche modo influenzando. La mia idea di Elvira Notari era quella di un personaggio posto al di fuori del tempo e dello spazio, di un super partes che scende e, prendendoci per mano, ci porta in un mondo sconosciuto… un personaggio che ci parla della sua vita usando delle metafore che noi dobbiamo cercare di svelare e tradurre. Desideravo che questo essere fosse “fermo”. Se concepiamo le varie registe come i molteplici aspetti che compongono il nostro essere, Elvira ha già superato questi aspetti, è riuscita a racchiuderli in un essere unico. E la penombra che la circonda è lo sconosciuto ma tranquillo ambiente in cui si trova colui che ha compreso.
La parola chiave de «L’Altrofilm» è “ricerca”. La sua mission è quella di supportare ogni opera di ricerca che tenda verso il concetto di Arte e, con mio grande piacere, è stato visto questo bagliore anche in Registe.
AG: Verso la conclusione del film Cecilia Mangini dice che già oggi, e nel futuro ancora di più, sempre più donne si affacceranno alla professione di registe cinematografiche. Qual è la tua opinione? Del resto anche tu sei una regista, anche tu, come le colleghe intervistate, condividi una professione così meravigliosa e difficile…
DD’E: Ho voluto terminare il viaggio con questa frase di Cecilia Mangini perché è necessario che il numero di registe aumenti per poi, un giorno, arrivare alla conclusione del suo pensiero: «Il cinema non è maschile né femminile, il cinema è cinema e basta».
Credo che oggi i tempi siano maturi per dare a uomini e donne gli stessi strumenti necessari per trasformare il mondo del cinema e portarlo ad un livello dove maschile e femminile si fondano in un’unica cosa.
AG: C’è una cosa che mi interessa in particolar modo domandarti. Quale attenzione ha avuto questo tuo lavoro sulla stampa, sui giornali, online? Ma soprattutto: c’è stata una maggiore attenzione da parte di giornaliste o critiche cinematografiche di sesso femminile oppure non hai riscontrato alcuna divaricazione di genere nell’attenzione al tuo film?
DD’E: L’ottima risposta della critica è stata una grande inaspettata sorpresa, amplificata dal fatto che coloro che si sono più avvicinati a ciò che desideravo trasmettere sono stati tanti uomini quante donne. Mi ha fatto molto piacere questa trasversalità.
AG: Stai già lavorando a un nuovo progetto da regista?
DD’E: Un’idea continua a saltellare nella mia mente, ma non so quale forma prenderà… per ora si avvicina più alla fotografia o alla video/arte che ad un’opera di narrazione.
AG: Da pochi giorni Registe è disponibile in DVD. Che parole useresti per convincere il lettore di questa intervista ad acquistarne una copia?
DD’E: Consiglierei al lettore, di qualsiasi sesso, di guardarsi allo specchio e farsi spingere dalla curiosità di attraversare questa barriera e conoscere un’altra parte di se stesso che il mondo si diverte a far emergere e oscurare, far emergere e oscurare, in continuazione. •
– Ottobre 2014
REGISTE – Dialogando su una lametta
Regia, soggetto, sceneggiatura, montaggio: Diana Dell’Erba
Fotografia: Alvise Pasquali
Musiche originali: Giulio Castagnoli eseguite dall’Orchestra Femminile Italiana
Scenografia: Vincenzo Fiorito
Costumi: Elena Valenti
Trucco: Vanessa Ferrauto
Acconciature: Marco Todaro
Interpreti (Elviara Notari fuori dal tempo): Maria de Medeiros (Elvira Notari), Eugenio Allegri (Poeta Vincenzo Caccavone), Toni Pandolfo (Uomo sparo), Marco Sabatino (Nicola Notari), Gian Maria Villani (Eduardo Notari), Rebecca Volpe (Lilith), Gloria Ramondetti (Attrice)
Interviste: Lina Wertmüller, Cecilia Mangini, Francesca Archibugi, Francesca Comencini, Wilma Labate, Cinzia TH Torrini, Roberta Torre, Antonietta De Lillo, Giada Colagrande, Donatella Maiorca, Anne Riitta Ciccone, Maria Sole Tognazzi, Ilaria Borrelli, Anna Negri, Nina di Majo, Susanna Nicchiarelli, Elisa Mereghetti, Alina Marazzi, Paola Randi, Donatella Baglivo, Stefania Bonatelli, Anselma Dell’Olio, Eliana Lo Castro Napoli, Gian Luigi Rondi, Silvana Silvestri
Produzione: Louis Nero Film – L’Altrofilm
Formato: DCP e 35mm
Paese: Italia
Anno: 2013
Durata: 76′
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Diana Dell’Erba (Torino, 1982) inizia ad interessarsi al mondo della recitazione fin dalla giovane età ed intenzionata ad approfondire sempre più l’argomento studia con insegnanti come Mamadou Dioume, allievo di Peter Brook. Affianca il percorso formativo a quello attoriale partecipando a diversi film e cortometraggi (Vincere di Marco Bellocchio, Rasputin e Il Mistero di Dante di Louis Nero, La donna della toilette di Alberto Viavattene).
Comprende che il lavoro dell’attore può rappresentare una strada di ricerca e miglioramento della propria persona, ma si sente limitata nell’ambito della creazione; così presto inizia a interessarsi all’intero funzionamento della macchina cinematografica, affiancando la sua carriera da attrice e quella di fotografa e assistente alla regia.
Nel 2013 firma la sua opera prima Registe – Dialogando su una lametta. Film/documentario sul cinema firmato al femminile e sulla pioniera Elvira Notari, interpretata dall’attrice Maria De Medeiros, essa è la messa in opera della tesi Donne alla macchina da presa. Uno sguardo di genere sulla regia con la quale si è laureata in Sociologia nel 2010.
[Tratto dal pressbook del film]