Tom à la ferme > Xavier Dolan

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Se qualcuno avesse ancora dubbi sul talento del canadese Xavier Dolan – 25 anni, 5 lungometraggi come regista all’attivo e molta critica osannante – Tom à la ferme li fugherà in un soffio.

Il Tom del titolo è un pubblicitario che, partendo da Montréal, si reca in campagna per il funerale del suo compagno, morto in un incidente automobilistico. Giunto sul posto, fa visita alla madre e al fratello maggiore del defunto, per scoprire che la prima non è al corrente della sua esistenza e che, al contrario, è delusa dall’assenza della presunta fidanzata di cui il figlio le scriveva, e che il secondo è deciso a mantenere le cose come stanno a tutti i costi.

I veri protagonisti del film – opera numero quattro di Dolan dopo J’ai tué ma mère del 2009, Les amours imaginaires del 2010 e Laurence Anyways del 2012 – sono assenti e ciò che viene detto è meno importante di ciò che non viene detto.
Ben deciso a sfuggire alle definizioni strette, Tom à la ferme è un dramma intimista – quattro i personaggi principali in scena – trattato sin dall’inizio come un thriller (con le musiche di Gabriel Yared a sottolineare o anticipare i momenti di pathos) che, per buona parte della sua durata, non sarebbe forse dispiaciuto a Hitchcock (e Dolan, che nel film interpreta anche il ruolo del protagonista con una capigliatura fintamente bionda che rimanda alle protagoniste del regista inglese, mente spudoratamente quando afferma di non avere mai visto un suo film), con i personaggi sfuggenti e gli elementi di distrazione che non portano da alcuna parte.

Mentre Tom si cala nel personaggio del semplice amico, che aumenta il suo straniamento nella situazione, inizia anche un rapporto di sudditanza psicologica e fisica con il dominante fratello del suo compagno. L’omosessualità del personaggio di Tom viene rimossa tanto quella del defunto e, addirittura, Tom chiama un’amica a interpretare il ruolo della fidanzata in realtà non troppo dolente, a rafforzare un annullamento della sua personalità che aprirà la porta all’ambiguità del rapporto con il fratello Francis, che sarebbe troppo semplice vedere come semplice simbolo dell’omofobia imperante nella claustrofobica situazione.
È chiaro che quello tra i due giovani uomini si tratta dell’incontro tra due persone ferite: una da un’assenza, l’altra da un’esistenza che sembra non riuscire ad uscire dal pantano di una quotidianità fatta di solo lavoro in fattoria e alcuna relazione sociale.
Tom scivola progressivamente in una situazione in cui nemmeno una fuga, ostacolata ma non impossibile, entra in linea di conto: mentre sembra assumersi agli occhi della madre il ruolo di un figlio comunque scomparso da tempo, trova forse in Francis l’eco di un rapporto che lo legava al compagno defunto, tanto da affermare in una scena quanto le loro voci si somiglino.

Come sceglie di tenersi ben distante dall’assimilazione stretta a un genere, Dolan sfugge anche all’etichetta, e così la definizione sessuale del suo personaggio diventa centrale soprattutto nell’esplorazione dei delicati e pericolosi rapporti che si instaurano, lasciando che il tema dell’omosessualità del suo protagonista (e costantemente presente nella sua filmografia) sia sì onnipresente ma trattenuto in secondo piano.

In tutto questo, Dolan, che si concede anche un cambio di formato nella pellicola, si permette di citare senza che la citazione diventi mai omologazione a uno stile (c’è Hitchock, come ho scritto, ma si intravvedono anche Kubrick, Losey, Almodóvar e Fassbinder, nella esplicitazione del sentimento visto come rapporto di forza), di usare il genere a suo piacimento senza lasciarlo mai prevalere, di basare il suo film su una pièce teatrale del suo conterraneo Michel Marc Bouchard (anche autore, con il regista, dei dialoghi) senza mai perdere il suo stile che, titolo dopo titolo, diventa personale quanto eclettico. E fa tutto questo con un’originalità e una libertà che confermano un talento che va molto oltre la nomea di enfant gâté della critica e dei festival (nomea che gli ha infine nuociuto) e che lasciano presagire molto altro in futuro. Ottimi tutti gli interpreti.

 

Roberto Rippa

 

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Tom à la ferme
(Canada, Francia/2013)
Regia, montaggio, costumi: Xavier Dolan
Soggetto: Michel Marc Bouchard (dalla sua pièce teatrale omonima)
Sceneggiatura: Xavier Dolan, Michel Marc Bouchard
Musiche: Gabriel Yared
Fotografia: André Turpin
Scenografie: Colombe Raby
Produttori: Xavier Dolan, Charles Gillibert, Nathanaël Karmitz
Produzione: MK2 Productions, Sons of Manual
Interpreti principali: Xavier Dolan (Tom), Pierre-Yves Cardinal (Francis), Lise Roy (Agathe), Evelyne Brochu (Sarah), Manuel Tadros (il barista)
102′



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