Il magistero di Roger Caillois e “Gostanza da Libbiano” di Paolo Benvenuti

Fra gli alti pilastri della letteratura del Novecento, un piccolo romanzo si staglia – a mio giudizio – fra i più grandi, “valicando” – nella sua apparente minorità – colossi ben più vistosi: si tratta del Ponzio Pilato (1961) di Roger Caillois, unico scritto narrativo del poco noto ma immenso saggista e critico francese (lo chiamerei: père). Mi spingo oltre: considero questo romanzo un vertice assoluto e ineguagliato, che rileggo con incredulità tanto per l’alto magistero compositivo quanto per la trattenuta lezione surrealista assorbita e pietrificata da Caillois in un’avanguardia celata dall’apparenza classica. Mio tema prediletto: avanguardismo classicista e classicismo avanguardista. Riprendendo un soggetto già caro allo scettico Anatole France (Il procuratore della Giudea), Caillois ribalta la storia del cristianesimo concependo che Pilato, intellettuale apparentemente pavido e debole, si esima dal compiere il destino già scritto da Iddio e profetizzato dai biblici barbuti, non condannando a morte il predicante figliuolo del falegname Giuseppe: Gesù di Nazaret. Il patrizio romano si sottrae al potere divino e Gesù morirà onusto d’anni: “[…] a causa d’un uomo che, contro ogni speranza, riuscì ad essere coraggioso, non ci fu cristianesimo.” (Ponzio Pilato, Sellerio, Palermo 2017, pag. 117) Quale meravigliosa fantasticheria, l’idea che il dittatoriale cristianesimo di Madre Chiesa non si fosse sviluppato per la risoluzione d’un oscuro funzionario! Se così fosse stato, non avremmo avuto un capolavoro cinematografico che del tormento religioso perpetrato in nome di Iddio fa la sua cifra stilistica. Mi riferisco a Gostanza da Libbiano girato nel 2000 da Paolo Benvenuti. Sapiente e inquietante critica sul senso del rapporto linguistico intessuto fra persecutori e perseguitati, il film è di una rara e mirabile austerità, giammai paga o compiaciuta della propria stessa perfezione: le inquadrature sono avvolte in un lucore bianco e nero di compostezza preziosa e dai tratti espressionisti. Basato sul processo inquisitorio (realmente avvenuto) nei confronti di monna Gostanza nel XVI secolo, una donna non più giovane accusata di stregoneria in Toscana, in quanto nota per i suoi medicamenti efficacissimi, il lungometraggio è modernissimo nella sua struttura classica. Con una puntigliosa ricostruzione linguistica (gli attori parlano nell’italiano del tempo), Benvenuti fa sì che il dubbio terribile sulla fallacia del linguaggio e del potere umano cominci a rodere come un tarlo la nostra coscienza. Come Caillois con il Ponzio Pilato, il dubbio sul linguaggio e sui pronostici farà optare il procuratore romano per una scelta contraria alla storia e a ciò che è “già stato scritto”: “Tutti gli avvenimenti futuri – la storia possibile – gli venivano proposti simultaneamente, altrettanto tenui e fugaci dei chiarori furtivi delle lucciole che s’accendevano e spegnevano, come rapida scrittura tosto cancellata.” (Ibidem, pag. 74), viene detto dal narratore a proposito di un personaggio – Marduk – col quale si consiglia Pilato. Lucia Poli – sorella del sommo attore Paolo – interpreta Gostanza in modo impressionante, mostrando tutta la vertiginosa bellezza di un’affascinante senescenza: il primo piano del volto della donna, in chiaroscuro all’inizio del film subito dopo la prima tortura, è degno dei primi piani di Dreyer e Bergman, e la rende d’una stregonesca bellezza mozzafiato. L’intelligenza sibillina di questa donna inconsueta manipola la narrazione che gli stessi inquisitori, rosi dalla necessità che s’adempia un progetto tanto assurdo quanto atroce (la lotta alla stregoneria), desiderano che ella esponga. Gostanza dice – in un rapporto speculare lacaniano – quel che loro segretamente desiderano ella dica. Realtà e finzione si confondono così al punto che non saremo del tutto certi neppure del fatto che Gostanza sia figlia illegittima d’un nobile fiorentino e abbia subite varie, meste violenze fisiche. La morbosità sessuale che gli inquisitori trattengono solo a stento – avvolti nei severi indumenti ecclesiastici alla luce crudele di alte finestre d’una sala di tortura – e il fatto che le narrazioni semi-fantastiche di Gostanza siano da questi rigettate, poiché non coincidenti con la “storia già scritta” del cristianesimo (il diavolo è “angelo caduto dal cielo”, dunque – in quanto asessuato – non può aver abusato sessualmente di Gostanza, etc. etc.) ci fanno domandare quale sia il senso stesso del racconto umano. Per sfuggire al supplizio della corda, Gostanza inventa brandelli di fenomenali viaggi alla “casa del diavolo”, dove i palazzi sono più splendidi che a Firenze: fatto ritenuto “impossibile” dagli inquisitori, per i quali il racconto di Gostanza non coincide con quello da loro ritenuto infallibile, poiché biblico, circa un inferno di sole fiamme. Ma che forse in cuor loro… immaginano. Racconta di friggiture d’ostie consacrate in padella, inserite poscia nella sua stessa natura (e qui uno degli inflessibili accusatori, la voce rotta, inveisce contro Gostanza chiedendole chi mai possa averle insegnate queste cose “mai udite al mondo”). Narra di bagordi sessuali incredibili. Ma inventa quello che legge – “come rapida scrittura tosto cancellata” – negli stessi cuori degli inquisitori, unendolo forse al suo vissuto personale? “[…] bisogna porre che, essendo quello di un animale in preda al linguaggio, il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”, scrive Lacan in La direzione della cura e i principi del suo potere. (in Scritti, vol. II, Einaudi 2002). Gostanza verrà rilasciata e costretta all’esilio, al divieto di qualsiasi pratica medica. Lo spettatore serberà l’idea di una donna dal genio facondo e immaginifico, che si è scontrato con il muro ottuso di una storia già scritta prima di lei, alla quale si soggiace ancor oggi seguendo l’oscuro, confortante sentiero dell’ubbidienza che annulla il pensiero. A differenza di quanto immaginò Caillois, Pilato lasciò che Gesù fosse condannato a morte. E avemmo il cristianesimo. •

Dario Agazzi

 

 

GOSTANZA DA LIBBIANO
Regia: Paolo Benvenuti • Soggetto e sceneggiatura: Paolo Benvenuti, Stefano Bacci, Mario Cereghino • Fotografia: Aldo Di Marcantonio • Montaggio: Cesar Meneghetti • Costumi: Marta Scarlatti • Scenografie: Paolo Barbi • Suono: Fabio Melorio • Produttore: Giovanni Carratori • Interpreti: Lucia Poli (Gostanza), Valentino Davanzati (Monsignor Tommaso Soffia), Enzo Cerrato (Padre Dionigi da Costacciaro), Paolo Spaziani (Padre Mario Porcacchi da Castiglione), Lele Biagi (Notaio vincenzo Viviani), Nadia Capocchini (Lisabetta di Menicone), Teresa Soldaini (Diavora), Antonio Masoni (il carnefice), Osvaldo Pellinacci (il carnefice), Domenico De Carolis (il secondino), Mario Pulleli (il secondino), Massimiliano Antonucci (guardia di Gostanza), Luca Del Muratore (guardia di Gostanza), Mario Rossi (Capitano degli Armigeri), Mario Aringhieri (gli Armigeri), Giancarlo Campigli (gli Armigeri), Leonardo Campinotti (gli Armigeri), Mauro Canneri (gli Armigeri), Mario Cerrai (gli Armigeri), Gianluca Casarosa (gli Armigeri), Fulvio Cerbioni (gli Armigeri), Matteo Cesari (gli Armigeri), Giuseppe Cheli (gli Armigeri), Donato Chiaravallo (gli Armigeri), Antonio Gianni (gli Armigeri), Antonio Guidadamo (gli Armigeri), Mellaus Da Recanati (la mano dell’amanuense), Lele Biagi (voce narrante) • Produzione: Arsenali Medicei con il supporto del MiBAC • Rapporto: 1.66:1 • Processo fotografico: 35mm • Colore: bianco e nero • Censura: 94593 del 07-07-2000 • Paese: Italia • Anno: 2000 • Durata: 93′



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