Una lettura estiva de “Il delitto perfetto” di Alfred Hitchcock

Signor Smith: Era il più bel cadavere di Gran Bretagna! Non dimostrava la sua età. Povero Bobby, erano quattro anni che era morto ed era ancor caldo. Un vero cadavere vivente. E com’era allegro!
– Eugene Ionesco, La cantatrice calva

 

I.

In estate, per un mese svolgo presso la dimora famigliare il compito di custode che, nel secolo scorso, svolgeva appunto il custode di mio nonno, ascoltando un vecchio nastro della “Vedette Classica” con una tremolante Pastorale di Beethoven diretta nel 1960 da von Karajan. Uno dei figli di quel custode credette opportuno – un bel giorno in cui il suo umore non doveva “essere alle stelle” – compiere un delitto. Costui giocava alla morra con il custode d’una proprietà limitrofa. Avendo perso, pensò bene di cavarsi d’impiccio afferrando un bastone di frassino onde colpire a morte fra capo e collo il disgraziato avversario, colpevole d’aver vinto dei quattrini. Rileggendo di questi “pastorali” eventi, mi sono guardato per l’ennesima volta il nastro del grandioso Dial M for Murder (Il delitto perfetto, 1954) di Hitchcock.

 

II.

“Mia moglie possiede circa 90 mila sterline, soprattutto in azioni.” Afferma il protagonista, l’ex campione di tennis Toni, parlando con il suo antico compagno di scuola Lesgate/Swann, incaricato di uccidere quella stessa moglie. Volendo rapportare a oggi tale somma, ho calcolato che – al netto dell’inflazione – secondo il corso della sterlina inglese a far data dal primo gennaio 1954, il capitale della moglie di Toni, Margot (l’incantevole Grace Kelly, due anni dopo principessa consorte di Ranieri III di Monaco e 26 anni dopo ancora, morta in un incidente stradale per aver desiderato guidare da sé, non facendosi accompagnare dal proprio autista) ammontava a 2 milioni di euro odierni circa. Con quel capitale investito in azioni della borsa londinese (quella Londra con “3000 titoli” rispetto al centinaio di titoli italiani, come ci riferisce Enrico Cuccia in Audizione sulla crisi della Borsa), in cui è compresa la casa nel centro della capitale ove il film è ambientato – un piccolo ma signorile appartamento –, Toni poteva starsene placido e contemplare le coppe vinte in gioventù, decorativamente poggiate sul caminetto di casa, continuando a “scrivere articoli sportivi”.

 

III.

Lilli: Suvvia, non sia troppo impaziente. Con che cosa vuole che la uccida, gran Dio? Ho i polsi troppo fragili, me li sono slogati giocando a tennis, da bambina. Da allora, porto queste fasce. Se almeno avessi la borsa. Ho sempre un paio di forbici nella borsetta.
– Arthur Adamov, La parodia

Eppure, mi è parso evidente che il motore pascaliano del progetto delittuoso di Toni, sia costituito dal seguente cocktail:
a) la noia esistenziale;
b) un’omosessualità latente;
c) il desiderio di misurare le proprie abilità sportive (questo punto è una consecutio del primo).
Toni, un algido e azzimato Ray Milland a dir poco favoloso (con qualcosa di James Stewart), nonché unico personaggio tridimensionale in un film di figure piatte come burattini d’una farsa, è stato sposato da Margot proprio perché campione di tennis. È Toni a essere in 3D, non le forbici del delitto che Hitchcock volle riprendere in tal modo, onde rendere più spaventosa la scena del crimine. Tipico matrimonio descritto nei romanzi di Wodehouse, dove un ragazzo di buona famiglia, abile a Cambridge o a Oxford in qualche sport, a seguito delle allegre finanze scialacquatrici della famiglia d’origine, finisce per coniugarsi con qualche ereditiera o scrittrice di romanzi rosa di successo. Ma la moglie Margot è affetta – possiamo affermare – dal “Complesso di Brunilde”, descritto in psicanalisi come “la tendenza di alcune ragazze a vedere sempre nell’oggetto del loro amore un superuomo, un eroe; altrettanto poco fondatamente, esse sminuiscono poi lo stesso uomo dopo il matrimonio.” L’espressione proviene da Oswald Schwarz, Olivier Brachfeld e Pierre Janet. Non a caso, dopo che Toni ha smesso di giuocare a tennis, Margot rivolge le proprie attenzioni femminili a un celebre scrittore (americano, come se non bastasse) di romanzi gialli (Robert Cummings, dalla mono-espressione con ghigno sbilenco e sguardo da compìto cetaceo).

 

IV.

Dal tennis ai gialli – Wodehouse docet – il passo è assai breve. Che aspettarsi, del resto, da una fanciulla che ritagli le effigi di VIP e sceicchi dai rotocalchi per comporne collages e che il sabato sera ascolta alla radio la “commedia”? Salvo confessare che – se si tratti di un serotino giallo – preferisce “non ascoltare”. Dunque, perché è affascinata da un romanziere che scrive gialli? Mistero. O meglio, altro complesso psicanalitico. Toni è annoiato, ad ogni modo, e in quell’angoscioso arco di tempo che fra la nascita e la morte non possiamo che impiegare con il “divertissement” – ci dice il lacerato Blaise Pascal nei Pensieri – tanto vale giuocare la partita delle partite. La sfida alla morte: della moglie, sapendo però di rischiar la propria. In tutto questo, ecco l’antico compagno di Cambridge, uomo allo sbando nonostante gli eleganti baffetti, che passa da una ricca ereditiera all’altra onde sbarcare il lunario. Come Toni? In un certo senso, sì; con la differenza che questi ha sposata una sola ricca ereditiera: c’è da annoiarsi per forza.

 

V.

Toni si fissa sul buon Lesgate e giunge a conoscerne tutti i più reconditi dettagli della vita quotidiana: un’osservazione ossessivo-compulsiva, la cui omosessualità latente è comprovata dal fatto che nel suo appartamento tiene appesa in ingresso, e in bella vista, la fotografia che li ritrae da studenti a Cambridge (la stessa in cui scorgiamo un Hitchcock ritagliato e incollato in loro compagnia). Nell’ingaggiare con il ricatto l’antico compagno di scuola, Toni giunge a confidargli addirittura la consistenza patrimoniale della moglie: la frase di cui al secondo capitoletto. Perché tale rivelazione su di un tema tanto privato come il danaro? Sente ormai il legame con Lesgate più forte delle convenzioni sociali a cui sa attenersi tanto impeccabilmente. Ulteriore conferma: dopo la morte di Lesgate per mano (o meglio, per forbici da collages e ricamo) della moglie Margot (il piano delittuoso – come è ben noto – non va in porto), Toni porta persino il proprio letto nella sala, non volendo dormire più in camera. Quella camera dove dormiva la bionda Margot. Ormai la repulsione per la moglie (la donna) è totale e conclamata. O forse è sempre stata tale: il matrimonio è puramente convenzionale, i due non hanno figli (dettaglio trascurabile, questo è vero), né sembravano amarsi più di due alici surgelate poggiate sul banco del pesce.

 

VI.

Ed eccoci all’ultimo punto del cocktail: Toni, giuocatore fino in fondo, sa che comunque vada, il rischio che Margot muti il testamento prima dell’esecuzione capitale cui è destinata è molto cospicuo. Eppure non demorde, fino all’ultimo tenterà di vincere il match. Quando, ormai scoperto, offrirà da bere a Margot nella scena finale del film, siamo dinanzi a un vero sportivo, la giacca di tweed senza una piega, il sorriso di sconfitto scherno sul viso. La moglie accetta il bicchierino: “Le farà bene”, dice lei stessa.
In un passaggio precedente, Toni era giunto a chiedere a Lesgate, nell’inscenare il delitto, di fingere di rubare “quelle coppe”, riferendosi ai trofei da lui vinti al tennis. Nel designarle con tale freddo distacco, Toni ci fa dedurre che ormai la sua speranza esistenziale sia del tutto svanita, comunque vadano le cose. Una parte della sua vita – certamente la migliore – è polvere del passato: “Rovine sparse grigio cenere tutt’intorno vero rifugio finalmente senza uscita” (Samuel Beckett, Senza). Dopo il brandy salottiero, il destino sarà la forca. Ma è poca cosa rispetto alla sepoltura del proprio glorioso passato di sportivo. Le 90 mila sterline se le godranno Margot e lo scrittore di gialli americano, il quale forse cesserà di scrivere (sempre che le azioni non subiscano ribassi borsistici) e – chi può dirlo? – una volta adagiato nella noia dell’appartamento londinese, progetterà di sbarazzarsi lui pure di Margot…

 

VII.

Non ho fatto alcun cenno alle musiche di questo classico cinematografico, composte da Dimitri Tiomkin, d’origine russa e allievo – niente meno – che di Glazunov e Busoni. Costui vinse ben quattro volte il premio Oscar per le migliori musiche. Fra i film “patrimonio dell’Unesco” da lui musicati si citeranno almeno: It’s a Wonderful Life (La vita è meravigliosa, 1946) e Mr. Smith Goes to Washington (Mr. Smith va a Washington, 1939) di Frank Capra, nonché High Noon (Mezzogiorno di fuoco, 1952) di Fred Zinnemann. Non ne ho parlato perché in quello stesso 1954 vennero eseguite altrove musiche di ben maggior rilievo. Fra queste, nel dicembre del ’54, presso il Kongresssaal des Deutschen Museums di Monaco, la Sinfonietta di Walter Faith, assurdamente stroncata a Darmstadt quattro anni prima. Fra le tappezzerie di Tiomkin, con l’impiego dei caldi archi dal facile melodismo anni Cinquanta, per fortuna vi erano archi ben più tesi e severi: come quelli di Faith.

 

Conclusione

Il figlio del custode, privo d’istruzione a Cambridge, certo non un ex campione di tennis e sicuramente giammai in possesso d’una giacca di tweed dal taglio inappuntabile, pure compì – nel suo modo triviale e grossier – un “delitto perfetto”: scappò in Francia e non fu indetto processo. Colà pare abbia vissuto presso una locale famiglia, continuando a svolgere indisturbato e fino alla morte le sue rurali mansioni di colono. •

Dario Agazzi

 



L'articolo che hai appena letto gratuitamente a noi è costato tempo e denaro. SOSTIENI RAPPORTO CONFIDENZIALE e diventa parte del progetto!







Condividi i tuoi pensieri

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.