Si svolge si avvita e si compie in Marocco, già scenario di molti dei suoi lavori, il primo lungometraggio di finzione diretto dall’artista Rä di Martino presentato nel Cinema nel Giardino (oltre il giardino?) all’ultima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Controfigura è uno di quei film sghembi che lascia la maggior parte degli spettatori interdetti, ma il “non ho capito cosa vuol dire” può essere un valore aggiunto per un’opera che, aperta e sospesa, appesa ai tenui fili logici che rifuggono la narrazione consequenziale, ci permette l’esplorazione di domande e connessioni, fornendoci “pensieri” tutt’altro che conchiusi. Confesso un’attrazione crescente verso questo modo di fare e concepire il cinema e i film, verso quelle opere non levigate che riecheggiano il non-finito di michelangiolesca memoria – da intendersi quale suggestione tra forma, soggetto e proiezione psicologica dell’artista –, o il non-finito che il Vasari delle Vite (1550) ravvisava nell’impossibilità per Leonardo di possedere una mano che potesse avvicinare la perfezione della mente: “Trovasi che Lionardo per l’intelligenzia de l’arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finí, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezzione de l’arte ne le cose, che egli si imaginava, con ciò sia che si formava nella idea alcune difficultà tanto maravigliose, che con le mani, ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai.”
Il non-finito, dunque, come fragile omaggio all’imperfezione dell’essere umano.
Ed è forse proprio attorno a questa discrasia, a questa impossibilità materiale di cogliere l’idea immaginifica in un dato concreto, che Controfigura dispiega il proprio ingarbugliato groviglio desultorio (irregolare, discontinuo, incoerente). Riflessione sul cinema come arte imperfetta, come linguaggio da maneggiare con cura perché temibile quanto i raggi del sole per le ali – e l’ambizione – di Icaro.
Una piccola troupe cinematografica si aggira per Marrakech e i deserti che la circondano. Sono in corso i sopralluoghi per il remake di un film americano in cui un uomo torna a casa a nuoto, attraversando tutte le case della contea, piscina dopo piscina. Corrado è la controfigura che viene usata per testare le inquadrature, location e piscine dove si muoverà l’attore principale. Ma con l’andare avanti delle prove cresce in lui una sbilenca ambizione… forse quel ruolo potrebbe essere suo? Così mentre assistiamo ai suoi tentativi di entrare nella parte, irrompono sulla scena i veri attori, le star, e una grande troupe si muove nel dietro le quinte, in un set in cui sembra che nessuno sappia esattamente cosa fare. Un film in crisi d’identità, alla surreale ricerca di se stesso. *
Al solito la sinossi è un esile fantasma, fragile ectoplasma immateriale d’una ragnatela di significati che sarà lo spettatore a fare propri, deragliando (magari!) dai binari imposti dai suoi realizzatori…
Dunque la storia di una troupe cinematografica al lavoro sul remake di The Swimmer – Un uomo a nudo nella versione italiana –, disturbante opera del 1968 diretta da Frank Perry e sceneggiata dalla moglie Eleanor a partire da un racconto breve di John Cheever (The Swimmer/Il nuotatore) pubblicato per la prima volta sulle pagine del «New Yorker» il 18 luglio 1964. “Gli sembrava di vedere, con un occhio da cartografo, il dispiegarsi delle piscine, quel corso d’acqua quasi sotterraneo che si snodava attraverso la contea. Aveva fatto una scoperta, aveva dato un contributo alla geografia moderna, e quel corso d’acqua l’avrebbe chiamato Lucinda, col nome di sua moglie. […] Quando Lucinda gli domandò dove stava andando, le rispose che ritornava a casa a nuoto.” (Traduzione a cura di Marco Papi, Il nuotatore e altri racconti, Fandango 2000).
Nel film della regista romana (suo il bel cortometraggio pluripremiato The Show MAS Go On del 2014) il Connecticut e la California dell’originale sono traslocati a Marrakech, in quel Marocco che è già stato lo scenario di molte delle sue opere e in cui una colonia di milionari d’ogni parte del mondo si è costruita il proprio paradiso artificiale, recintato e sicuro, un paradiso fatto di splendide piscine. La felicità per pochi, quantificabile in metri cubi d’acqua, piscina dopo piscina. In questo scenario, sospeso tra l’Atlantico e il deserto, Burt Lancaster si trasforma in Filippo Timi che a sua volta si trasforma (ma mai in compresenza) nel suo doppio sfasato, nel suo doppio cinematografico: una controfigura chiamata dalla produzione per provare le inquadrature: Corrado, interpretato dall’artista e fotografo Corrado Sassi. E sarà proprio Corrado il vero protagonista di questo non-film, di questo finto-film, di questo meta-film (ma cosa significa ‘meta’? si chiederanno dentro al non-film); lo farà conquistando spazio nelle inquadrature, ampliando il numero delle proprie battute, trasformandosi in quel personaggio che nemmeno avrebbe dovuto interpretare. La controfigura come doppio dell’attore, come doppio del personaggio, come doppio d’un attore chiamato a interpretare un doppio – ovvero un personaggio. La controfigura come attore alla seconda, chiamato non a interpretare ma ad “essere” in quanto corpo: la controfigura come un ostaggio che in Controfigura prende in ostaggio l’intero film, l’intera produzione, l’intera storia e le sue immagini trascinandole alla deriva di un finale sospeso/fluttuante/galleggiante. [L’anagramma di controfigura è “furto archigno”] Lancaster–Timi–Sassi sono accomunati dall’essere Neddy Merrill: un fantasma letterario tenuemente delineato da John Cheever nello splendido racconto breve che fa da elemento originario di questa strana ramificazione di derivazioni e significati. Del non-film non-finito di di Martino giungono a noi sullo schermo frammenti caotici, sequenze copia dell’originale, ciak interrotti, spaesamenti attoriali, crisi esistenziali e crolli e nel quadro dell’inquadratura irrompono tutte quelle figure solitamente dietro la macchina da presa, a partire dalla regista stessa e poi il produttore (Marco Alessi, direttore di Dugong produzioni, piccola realtà cinematografica che da qualche anno ha il merito di aver reso possibili le opere di Yuri Ancarani, Flatform, Caterina Pecchioli, Giacomo Abbruzzese, Yanira Yariv e di Martino), i macchinisti e tutto quell’umanità varia che ruota attorno al farsi d’un film.
Controfigura è un labirinto dentro al quale perdersi, una riflessione sulla follia dei set cinematografici e sulla follia stessa del fare cinema. Più semplicemente una riflessione sulle fragilità umane che prende a pretesto il cinema e il suo farsi quale metafora della condizione umana tout court. Sogni e ambizioni e fragilità di piscina in piscina, tra un “azione” strillato e uno “stop” che potrebbe non arrivare mai.
È interessante notare come nel film di di Martino si perda per strada la dimensione drammatica dell’opera originale o, per meglio dire, è come se i discorsi politici e sociali dell’originale siano stemperati in una dimensione maggiormente estetica e ludica. Il labirinto, da condizione psichica ed esistenziale dell’uomo immerso in una società competitiva e per nulla solidale (Cheever/Perry), diviene simbolo estetico che lascia ai margini la propria corrosività abbracciando una forma più leggera e meno traumatica che si incarna nella fisicità, nell’eloquio balbettante e negli sguardi di Filippo Timi e Corrado Sassi. Come se si allestisca un punto di domanda a discapito di un punto esclamativo. Tutto scivola ai margini dell’inquadratura, fuori campo e fuori sceneggiatura, fuori testo, fuori dall’opera.
In sintesi: Controfigura è un film delizioso, intrigante nelle sue imperfezioni. Aperto, nella sua molteplicità di significati possibili, ironico e mai intellettualistico. Intelligente ed estremamente personale: strettamente connesso alla ricerca artistica che caratterizza la produzione di Rä di Martino e profondamente legato alla sua biografia ma senza enfasi o retorica, lasciandola anzi scivolare negli interstizi del testo e manifestandosi soprattutto nella colonna sonora che, componendosi dei brani dell’Albergo Intergalattico Spaziale e di Mino di Martino, porta nel film i suoi stessi genitori (Mino, appunto e Edda “Terra” Di Benedetto).
Un film Alla periferia dell’Impero che pare la traslitterazione cinematografica del brano con il quale il film si chiuderà: Giallo tropicale. •
Alessio Galbiati
CONTROFIGURA
Regia: Rä di Martino • Sceneggiatura: Rä di Martino, Marco Alessi • Fotografia: Gianclaudio Giacomini, Giulio Squillacciotti, Hasnae el Ouarga • Montaggio: Giogiò Franchini • Musiche: Albergo Intergalattico Spaziale • Costumi: Grazia Materia • Interpreti: Corrado Sassi, Filippo Timi, Valerio Golino, Younes Bouab, Nadia Kounda, Nisrine Adam, Ahmed Zaitouni, Marco Alessi, Rä di Martino • Produzione: Dugong Films (Italia), Snaporazverein (Svizzera), In Between Art Film (Italia), Produzioni Illuminati (Italia), Haut Les Mains Productions (Francia), Waq Waq (Marocco) • Con il suporto di: Atelier di Post Produzione Milano Film Network, Eurimages Lab Project Award, Premio Museo Chiama Artista promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e AMACI • Lingua: italiano, inglese, arabo, francese • Paese: Italia, Marocco, Francia • Anno: 2017 • Durata: 75′
Rä di Martino
/ biografia
Rä di Martino (Roma, 1975) ha studiato al Chelsea College of Art e alla Slade school of Art di Londra per poi cominciare lavorare come artista visiva a New York.
Il suo ultimo film The Show MAS Go On ha partecipato alle Giornate degli autori, Festival del cinema di Venezia, vincendo il Premio SIAE e il Premio Gillo Pontecorvo, oltre a ottenere una menzione speciale al Salina DocFest e un Nastro d’Argento come Miglior Docufilm 2015.
La sua ricerca artistica si concentra sulla relazione che memoria collettiva e dinamiche private instaurano con l’immaginario cinematografico, svelandone il loro potere manipolatorio.
Le sue opere, video, film, e fotografie sono state esposte in musei, gallerie quali: il PS1 a New York, Palazzo Grassi, la Fondazione Sandretto, MACRO di Roma, Mart di Rovereto, HANGAR Bicocca, Montevideo Netherlands Media Arts, Museum of Contemporary Arts di Chicago, il Bronx Museum, Artists Space NY e mostre come la Biennale di Mardin, Biennale di Busan, la Triennale di Torino e Manifesta. Con i suoi cortometraggi e mediometraggi ha partecipato ai più importanti festival di cinema internazionali.
/ filmografia
The Show MAS Go On (2014, 30′ / Interpreti: Iaia Forte, Sandra Ceccarelli, Maya Sansa, Filippo Timi)
Petite Histoire du plateaux abbandonnèe (2012, 6′)
August 2008 (2009, 10′ / Interpreti: Maya Sansa, Mauro Remiddi aka Porcellain Raft)
La Camera (2006, 12′ / Interpreti: Anastasia Astolfi, Filippo Timi)
Untitled (Rambo) (2003, 3′)
NOT360 (2002, 8′)