articolo pubblicato su Rapporto Confidenziale numero22 (febbraio 2010), pag. 15
Tarnation
e la forma dei ricordi.
TARNATION:
1. An exclamation of annoyance.
2. The act of condemning or the state of being condemned.
Ogni ricordo ha bisogno di un supporto in cui rivivere e ripresentarsi alla nostra memoria. Attraverso un oggetto, un luogo, una canzone, possiamo rivivere emozioni e sentimenti, rivedere persone e attimi del nostro passato. Poi ci sono le fotografie, i filmati di famiglia, le pagine del diario delle scuole medie, che sprigionano la forza di un passato e ci riportano indietro nel tempo, non solo per farci vivere vecchie sensazioni sulla nostra pelle, ma soprattutto per capire il percorso che abbiamo sinora effettuato per diventare quello che siamo.
Jonathan Caouette cerca di fare l’attore: nel suo curriculum trovano posto (in ordine di importanza) una pubblicità, una piccola parte nel musical “Hair” e ben diciassette partecipazioni in cortometraggi di esordienti. Jonathan Caouette ha una mamma con problemi psichici causati da svariate sessioni di elettroshock per curare una malattia che non c’era. Jonathan Caouette ha una piccola videocamera con cui riprende scene della sua vita, con cui gioca e con cui si sfoga: lui, quella videocamera, la usa da diciannove anni. C’è poi John Cameron Mitchell che di mestiere fa il regista. Mentre si documentava per quello che sarebbe diventato “Shortbus” (suo secondo lungometraggio), Mitchell incontra Jonathan e i suoi diciannove anni di vita su MiniDV: il risultato di questo incontro è un’idea che il regista mette nella testa di Jonathan, ovvero usare quell’infinita quantità di girato per farne un lungometraggio. Dopo aver coinvolto nel progetto come produttore anche Gus Van Sant, Caouette si mette al lavoro e monta il suo film con iMovie (software basilare montato su ogni Mac), spendendo il risicato budget solo per acquistare i diritti della marea di canzoni che compongono la colonna sonora della pellicola.
Sono tanti gli aspetti interessanti di un lavoro atipico e coraggioso come quello fatto da Caouette, su cui spicca innanzitutto la sua capacità nel descrivere la sua famiglia e nel descriversi, risultando spesso impietoso grazie ad una distanza cinematografica che sembra aver allontanato il Jonathan-protagonista con il Jonathan-regista. Il suo sguardo implacabile di (auto)giudizio non è la patetica confessione di un uomo, ma quasi uno studio antropologico sul destino dei figli alla luce delle azioni dei genitori. C’è voglia di ordine nel cinema (e nella vita) di Jonathan Caouette, un desiderio in cui è già ascritto il suo fallimento: lo scandire metodico e ordinato delle date e dei giorni, è solo l’inutile tentativo di riportare alla normalità una storia complessa e difficile. Non è un caso che, anche visivamente, la pellicola si ritrovi completamente in balìa di visioni, allucinazioni, ricordi che, al posto di sbiadire, diventano ancora più lucidi, doloranti e sanguinanti. Questa è la forma dei ricordi, un magma poetico e confusionario dove l’ordine e la logica non hanno potere. Lo capisce anche lo stesso Jonathan quando, in una delle sequenze finali della pellicola, cerca di spiegare il rapporto con sua madre. Scoppia in un pianto, diventa quasi isterico, dolorante di essere diventato conscio del fatto che certe cose, certi legami, non si possono spiegare. Forse perchè si spiegano da soli, attraverso ciò che hanno provocato e ciò che provocano. Forse perchè negli stessi, indistinti ricordi, è già scritto ed è già detto tutto.
Matteo Contin
Tarnation (USA/2003)
Regia, fotografia: Jonathan Caouette; Musiche: John Califra. Max Avery Lichtenstein; Montaggio: Jonathan Caouette. Brian A. Kates; Interpeti principali: Renee Leblanc, Jonathan Caouette, Adolph Davis, Rosemary Davis, David Sanin Paz, Joshua Williams, Michael Cox, David Leblanc, Stacey Mowery, Michael Mouton, Greg Ayres, Vanda Stovall, Dagon James; Durata: 88’.