L’enfer d’Henri-Georges Clouzot > Serge Bromberg, Ruxandra Medrea Annonier

L’inferno di Henri-Georges Clouzot

Nel 1964, quando lavora a L’enfer, film che narra della progressiva discesa nella paranoia di un uomo geloso della giovane moglie, Clouzot ha già diretto alcuni capolavori che rimarranno consegnati alla storia del cinema: da L’assassin habite… au 21 (L’assassino abita al 21, 1942) al controverso Le corbeau (Il corvo, 1943), da Quai des Orfèvres (Legittima difesa, 1947) a Les diaboliques (I diabolici, 1955), passando attraverso Le salaire de la peur (Vite vendute, 1953). Opere che gli hanno portato la fama di regista controverso, incapace di compromessi, coraggioso e attento all’esplorazione dell’animo umano.
L’enfer rimarrà incompiuto dopo che un attacco di cuore ferma il regista nel corso di una lavorazione tormentata che da settimane pare non riuscire a giungere da nessuna parte.
A raccontare la storia del film di Clouzot, Serge Bromberg, direttore del Festival di Annecy e capo di una compagnia – la francese Lobster Films – che ha raccolto una collezione comprendente 110’000 bobine e 50’000 film rarissimi restaurandone una cinquantina ogni anno. È Bromberg a scoprire, grazie a un incontro con la vedova di Clouzot, Inès, l’esistenza di 185 bobine contenenti una quindicina di ore di girato del film di Clouzot. Il documentario firmato da lui con Ruxandra Medrea Ammonier (giurista specializzata nell’ambito della proprietà intellettuale) è il risultato di numerose visioni del materiale inedito alla ricerca di una spiegazione al suo mancato completamento per offrirla al pubblico.
La risposta è sotto gli occhi di tutti coloro che vedono il documentario: Clouzot, forte anche di un budget illimitato garantitogli dal partner produttivo americano Columbia, si lascia prendere la mano perdendo di vista l’obiettivo d’insieme. Gira e rigira le stesse scene, le ripassa in post-produzione e sembra non curarsi nemmeno del fatto che l’ambiente scelto per il film – un piccolo albergo situato nel centro della Francia sovrastato da un viadotto ferroviario progettato a fine ‘800 da Gustave Eiffel – cambierà presto in quanto l’azienda elettrica francese si appresta a prosciugare il lago artificiale sulla cui riva l’albergo si trova e che è parte integrante di molte scene. Non è la decisione dell’attore Serge Reggiani, esasperato dalle richieste di Clouzot e dalle lungaggini nella lavorazione, di lasciare il set (per poi essere sostituito da Jean-Louis Trintignant) a interrompere la realizzazione del film: a quel punto, il regista ha già accumulato ritardi su ritardi e tutti coloro che ci lavorano non hanno da tempo idea di cosa stia accadendo. Sarà infine un attacco di cuore e il conseguente ricovero in ospedale a fermare Clouzot ponendo fine al progetto.
La difficile lavorazione viene narrata attraverso le testimonianze di alcune persone allora impegnate sul set: dall’attrice Catherine Allégret all’assistente alla regia Costa-Gavras, che l’anno seguente girerà il suo primo lungometraggio.
Per ricostruire la storia narrata nel film incompiuto, i registi scelgono di fare leggere diversi stralci della sceneggiatura, scritta dallo stesso Clouzot, agli attori Berenice Bejo e Jacques Gamblin in uno studio scuro, neutro.
Ma sono ovviamente soprattutto le scene dirette da Clouzot a costituire la principale attrattiva del documentario: sono scene, sia in bianco e nero che a colori, che testimoniano una ricerca estrema sul dettaglio fatto anche di sperimentazione a livello ottico. Sono immagini, quelle testimonianti la discesa nella follia del personaggio di Marcel, che attingono elementi dal surrealismo ma che non di rado sembrano anticipare l’esperienza della videoarte contemporanea. Clouzot filma Romy Schneider – che, contrariamente al protagonista maschile, appare docile nel sottoporsi alle richieste del regista – come mai nessuno: la seziona, la scompone, ne enfatizza ogni dettaglio del viso e del corpo trasformandola in un’icona di bellezza di grande potenza cinematografica. Si assiste al lavoro titanico e maniacale di Clouzot che, assistito da un manipolo di tecnici dell’immagine e del suono e sempre spalleggiato dal direttore della fotografia Andréas Winding, ripete ogni scena, anche a distanza di giorni, alla ricerca di un ideale di perfezione che forse solo lui ha presente in quei momenti, per poi rilavorarle in post-produzione.
Il documentario di Serge Blomberg e Ruxandra Medrea Annonier lascia alla fine l’amaro in bocca nello spettatore per l’incompiutezza di un film che, dalle poche scene presenti nel documentario, scatena la forte curiosità di sapere cosa avrebbe potuto essere. Ma, chissà, forse anche queste poche immagini, proprio per la loro forza, bastano a raccontare la storia di gelosia che scivola nella follia che Clouzot avrebbe voluto portare sullo schermo.
Il documentario ammalia e sorprende per le scene ritrovate ma potrebbe non appassionare più di tanto lo spettatore meno cinefilo.
La sceneggiatura di Clouzot verrà usata da Claude Chabrol per il suo film omonimo realizzato trent’anni dopo. Clouzot, ripresosi dall’infarto, tornerà sul set tre anni dopo per il documentario Messa da Requiem von Giuseppe Verdi, e girerà il suo ultimo film La prisonnière (La prigioniera), basato su una sceneggiatura, nel 1968. Morirà nel 1977.

Roberto Rippa

L’enfer d’Henri-Georges Clouzot (Francia, 2009)
Regia: Serge Bromberg, Ruxandra Medrea Annonier
Musiche: Bruno Alexiu
Fotografia: Jérôme Krumeacker, Irina Lubtchansky
Montaggio: Antoine Jesel, Janice Jones
94’

Lobster Films

Creata nel 1985 da Serge Bromberg, Lobster Films si è fatta rapidamente conoscere per la sua leggendaria e corposa collezione di immagini (dai Lumière a Méliès, da Stroheim a Gabin), per la sua scoperta di tesori cinematografici e per i restauri effettuati sui grandi classici (da Fellini a Kurosawa, da John Ford a Jean Renoir).
Nel 1989, la casa d produzione Gaumont chiede alla Lobster di restaurare il suono de L’Atalante di Jean Vigo cui segue, nel 1990, quello di Enfants du Paradis, supervisionato dal suo stesso regista Marcel Carné.
Oggi, grazie al suo lavoro di ricerca, di restauro e acquisto di importanti cataloghi francesi e americani, la collezione Lobster – la più grande privata al mondo – conta più di 50’000 film classici, rari o inediti.
La sua conoscenza tecnica è messa regolarmente al servizio di società private o cineteche con lo scopo di ridare ai tesori del cinema. Il suo reparto dedicato al suono – L.E. DIAPASON – è un attore importante nel restauro delle pellicole.
Lobster è dal 1992 anche fautrice degli spettacoli recanti il titolo RETOUR DE FLAMME, che porta nel mondo i film rari o inediti miracolosamente ritrovati. Sotto la stessa etichetta, Lobster è responsabile di una trasmissione del canale Cine Cinema Classic e di una serie di pubblicazioni in DVD.
Tra i titoli ritrovato o restaurati di recente: l’integrale dei film di Georges Méliès, quelli girati da Chaplin per lo studio Keystone (in collaborazione con la Cineteca di Bologna e il British Film Institute), Lola Montès di Max Ophüls, Bardelys the Magnificent (il film scomparso di King Vidor), Au Bonheur des Dames e Poil de Carotte di Julien Duvivier, Joan the Woman di Cecil B. de Mille, Visages d’Enfants di Jacques Feyder, 12 lungometraggi di Douglas Fairbanks, J’accuse di Abel Gance.

www.lobsterfilms.com



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