The Walker > Paul Schrader

Nella società degli uomini… vincono le donne
a cura di Fabrizio Fogliato

 

Carter Page III (Woody Harrelson) svolge un lavoro tutt’altro che usuale. La sera accompagna all’opera ricche signore annoiate dell’alta borghesia di Washington, la notte si intrattiene nei circoli omosessuali. La sua routine prevede la settimanale partita a canasta in compagnia di Lynn (Kristin Scott Thomas), moglie del senatore Larry Lockner (William Dafoe), Abigail (Lily Tomlin), moglie di Jack Delorean (Ned Beatty), Chrissie (Mary Beth Hurt) e Natalie (Lauren Bacall). Quando Lynn scopre che il suo amante è stato ucciso, chiederà immediatamente aiuto al suo non più giovane ma aitante accompagnatore. Il gesto di amicizia di Carter, che rivendica il ritrovamento del corpo, alimenta una serie di guai che metterà a soqquadro la sua esistenza, fino a farlo finire in cima alla lista dei sospettati.

Troppo politico per essere distribuito, troppo dialogato per avere successo, troppo teatrale per diventare cinematografico, troppo intelligente per appassionare il grande pubblico: The Walker (2007) è tutto questo e molto di più. Un film impietoso che riflette sul potere senza risparmiare nessuno. In The Walker c’è tutta la politica dell’era Bush, senza alcuna speranza di cambiamento: nulla potrà mutare perché le lobby hanno impostato le dinamiche di potere sulle reciproche convenienze, all’interno delle quali tutti sono potenzialmente ricattabili. Una società fatta di uomini in cui le donne fanno da paravento all’occultamento di scandali, truffe e illegalità. La capitale americana di Schrader è un luogo in cui crocifiggere un uomo “da poco”, troppo sensibile per vivere in un mondo di squali e per giunta omosessuale (in una città, Washington, in cui l’inclinazione sessuale è ancora un fatto rovente e scandaloso, un’arma di distruzione della credibilità ancor più potente di un’accusa di omicidio).

Curioso che Paul Schrader realizzi un falso remake di American Gigolo per raccontare l’America degli anni 2000, ma è altrettanto vero che il modello di riferimento è Advise and Consent (Tempesta su Washington, 1962) di Otto Preminger, del quale replica persino la presenza del locale gay: allora una chiara e vincente sfida al codice Hays, oggi una metafora dell’omofobia che regna attorno e dentro le stanze del potere. Come il film di Preminger, The Walker è una radiografia secca e totale della politica americana, in cui non ci sono né vincitori né vinti ma solo pedine di un gioco al massacro in cui l’agnello sacrificale diventa l’elemento centrale, da ricercare a tutti i costi, per allontanare il sospetto e la minaccia che lo scandalo porta con sé. L’impianto teatrale è necessario al regista e sceneggiatore per far emergere – attraverso lunghi duetti dialogati – l’ipocrisia di questo mondo, al punto che la regia si fa silenziosa, quasi impercettibile. La sceneggiatura porta all’emersione di un mondo sotterraneo, in cui le donne si prestano a fare da parafulmine e da carnefici per occultare i traffici illeciti e inconfessabili degli uomini. La politica americana di The Walker è in mano agli uomini, alla loro società costruita su regole ferree e intransigenti e intrecciata con il ricatto come arma di potere: ma sono le donne che si adoperano per apparire e “nascondere” mariti e amanti nella consapevolezza che, agendo in questo modo, non verrà meno né il prestigio né il benessere.

The Walker è un film ostico, difficile da seguire se non si è conoscenza di alcuni elementi della politica americana, percorso costantemente dall’azione quotidiana del potere in città e fuori (gli schermi che rimandano continuamente le immagini del conflitto iracheno). Ma è anche costruito per rimarcare l’esercizio di un potere sordido e “sporco” (le immagini delle torture di Abu-Grahib), che non è competenza solo di chi il potere lo detiene ufficialmente, ma è pure l’esercizio sadico e perverso di chi il potere lo acquisisce sul campo (come in guerra) o addirittura lo impone per diritto divino (l’America nei confronti dell’Iraq). L’esportazione della democrazia, in The Walker, è svincolata dalle credenziali di appartenenza politica: né Repubblicani né Democratici possono dirsi senza colpe. Schrader prende le distanze da tutti, senza indulgenza per nessuno, vittime o carnefici non fa nessuna differenza. All’interno dello specchio incrinato delle vicende e delle lotte di potere, Carter Page III è perennemente deriso e ridicolizzato da chi lo paragona al padre e al nonno, rampollo di una dinastia “che conta(va)” ma incapace di avere lo stesso cinismo e la stessa scorza degli avi; il “camminatore” (accompagnatore di vegliarde) è un carattere fragile e indifeso, eterno fanciullo ma tutt’altro che stupido, amante del superfluo (“Sono superficiale” dice al fidanzato artista) ma “puro” e “ingenuo” al punto giusto per diventare l’individuo da incastrare e schiacciare e per solleticare le ambizioni di un losco commissario di polizia come Mungo Tenant.

Con le “sue” donne Carter Page III è un a specie di “sacerdote” che officia riti sempre diversi per allontanarle dalla noia e dalla consuetudine, ma dietro a questa maschera si cela una solitudine dolorosa e lancinante: gioca con loro a canasta, le intrattiene in futili conversazioni, le accompagna a scegliere le tende… per loro scopre anche cadaveri. Carl (così lo chiamano) è, in fondo, un “uomo buono”, uno di quelli che è facile “addomesticare” e la sua parabola ricorda quella di Howard nel film In The Company of Men (Nella società degli uomini, 1997) di Neil LaBute; come lui rimane vittima di quelle persone che considerava amiche. Anche Carter Page III è un “debole” adatto al sacrificio (non spontaneo): incolpato di un delitto che non ha commesso, si assume il peso della colpa per “amore” (inteso come legame e affetto) di Lynn, incurante (o forse consapevole) delle possibili conseguenze.

 

 

The Walker mette in luce la figura di un gigolo che conduce il suo lavoro con scrupolo e attenzione: cura ogni singolo dettaglio, ha un abbigliamento elegante e ineccepibile, è capace di slanci umoristici (come quando parla della relazione di Juliette Faye e John Corring imitandone i sospiri sotto le lenzuola) e di riflessioni profonde e acute (come quando parla della politica e la definisce: “La più sporca amministrazione”), ed è un attento e presente osservatore. Al termine della partita di canasta che apre il film, rivolgendosi alle sue astanti al tavolo da gioco, sibila malizioso: “Tutto prima o poi passa da queste orecchie. Questo è il centro della merda mie care”. Un linguaggio che apparentemente sembra stridere con i modi affettati e suadenti che mostra in società, ma che è rappresentativo della volontà di essere, per queste donne annoiate, un alito di felicità. Carter gioca con le sue donne, le ammalia con modi eleganti e raffinati e le fa sentire vive: sorridenti e rilassate in sua compagnia, funeree e contrite con i rispettivi mariti. Paul Schrader utilizza la macchina da presa e i movimenti di macchina come elemento rivelatore. Già dalla scena iniziale, un eloquente e simbolico piano-sequenza a spirale (la trappola che si stringe intorno a Carter Page III) della partita a canasta con le donne, il regista intende illustrare la metafora di una partita ben più grande in cui la posta in palio è la vita; non a caso quando Carter starà per essere incriminato, giunto nuovamente nella medesima sala del club per ricche signore, la troverà deserta.

Paul Schrader torna quasi trent’anni dopo sui passi di American Gigolo, con al posto della Los Angeles edonistica e rampante, il distretto di Washington D.C., in cui la notte nasconde mille misteri e il giorno svela solo l’apparenza delle cose; la giovinezza e la prestanza di Richard Gere vengono sostituite con l’immagine di un attempato Woody Harrelson che, nella sua casa/atelier, ripercorre i passi del suo predecessore (le inquadrature con i vestiti e le cravatte perfettamente allineati). I due film si discostano nelle scelte visive, nell’arredamento e nello stile del mobilio: Carter abita uno spazio classico e barocco, Julian Kay è invece immerso nell’ high-tech e nel glamour minimalista del suo appartamento. Se American Gigolo è un film perfettamente inserito nell’immaginario degli eighties, The Walker si pone come un film classico (come dimostrano l’uso delle dissolvenze incrociate, del campo e contro campo e dei raccordi), percorso da un senso morale rigoroso e straniante, ironico e cinico, in cui il regista sfugge all’effetto nostalgia e costruisce la suspense in maniera graduale e quasi impercettibile. The Walker è un film del 2007 ed è dunque un remake solo sulla carta, perché la materia al centro della contesa, a differenza del precedente, è tutta politica. Un’opera che ha le sue radici immerse nel fango della realtà storica e che offre un giudizio morale sulle scelte di una amministrazione miope e cinica, attenta unicamente alla propria sopravvivenza. Una politica priva di anima, incapace di fare distinzioni, di perseguire alcun interesse della collettività, degna espressione di un’intera società implicata in un gigantesco e sedimentato conflitto di interessi. Paul Schrader con The Walker ci racconta dell’inutilità di questo potere, della sua feroce autoreferenzialità, del suo cinismo nell’occultamento dei cadaveri che produce. •

Fabrizio Fogliato
fabriziofogliato.com

 

 

The Walker

Regia, sceneggiatura: Paul Schrader
Fotografia: Chris Seager
MOntaggio: Julian Rodd
Musiche: Anne Dudley
Casting: Suzanne Crowley, Gilly Poole
Production Design: James Merifield
Art Direction: David Hindle
Costumi: Nic Ede
Produttore: Deepak Nayar
Interpreti principali: Woody Harrelson, Kristin Scott Thomas, Lauren Bacall, Ned Beatty, Lily Tomlin, Willem Dafoe, Moritz Bleibtreu, Mary Beth Hurt
Produzione: Kintop Pictures, Ingenious Film Partners, Animor Studios, Isle of Man Film, Paul Schrader Productions, The Walk
Suono: Dolby Digital EX
Rapporto: 2.35:1
Camera: Arriflex
Negativo: 35mm (Fuji e Kodak)
Processo fotografico: Digital Intermediate (master)
Formato di ripresa: Super 35
Formato di proiezione: 35mm (anamorfico)
Paese: USA, UK
Anno: 2007
Durata: 108′

 

Paul Schrader su Rapporto Confidenziale

     
 

regia e sceneggiatura

Patty Hearst
USA-UK/1988

VAI ALL’ARTICOLO

 

regia e sceneggiatura

American Gigolo
USA/1980

VAI ALL’ARTICOLO

 

regia e sceneggiatura

Hardcore
USA/1979

VAI ALL’ARTICOLO

 

sceneggiatura

Obsession
regia di Brian De Palma
USA/1976

VAI ALL’ARTICOLO

 



L'articolo che hai appena letto gratuitamente a noi è costato tempo e denaro. SOSTIENI RAPPORTO CONFIDENZIALE e diventa parte del progetto!







Condividi i tuoi pensieri

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.