João Pedro Rodrigues e João Rui Guerra da Mata [Intervista]

NON SIAMO CHE OMBRE
Intervista a João Pedro Rodrigues e João Rui Guerra da Mata

by Alessio Galbiati and Roberto Rippa
from Rapporto Confidenziale 36

A última vez que vi Macau (recensione)
WE ARE JUST SHADOWS. INTERVIEW WITH RODRIGUES E GUERRA DA MATA

 

La pubblicazione di questa conversazione mi sembrerebbe molto incompleta, se non tentassi di render conto al lettore dello straordinario spettacolo che fu, per i miei compagni e per me, la circostanza in cui si svolse. Avvenne sul Red Carpet del Festival di Locarno in un pomeriggio afoso, a pochi giorni dalle ripetute visioni del film con il quale erano in concorso: A última vez que vi Macau. Non un film come tanti, ma un’opera unica, sospesa, aperta, enigmatica. Ai nostri occhi un capolavoro. Un oggetto prezioso, perché raro. Il film che ci ha messi tutti d’accordo e che ancora oggi ricordiamo come un intenso piacere. La loro disponibilità nel raccontarci la storia di questo piccolo miracolo cinematografico, unita alla generosità di scansare quanto avevano più volte ripetuto durante il festival, per offrirci qualche spunto inedito e non ancora “detto”, mi ha davvero impressionato. Non è facile trovare disponibilità nelle persone, ancora meno quando queste sono immerse in giornate intense fatte di visioni e parole. Vederli vivere quel momento con estrema libertà, appassionatamente intenti a raccontarci la situazione politica e sociale del loro Paese, il Portogallo, in una maniera talmente intensa e sincera da farli discutere l’uno con l’altro in maniera animata, mi ha profondamente colpito. João Pedro Rodrigues e João Rui Guerra da Mata oltre che due straordinarie personalità del mondo del cinema sono, prima di ogni altra cosa, due veri Signori. [AG]

 

Rapporto Confidenziale: Abbiamo letto che la vostra idea iniziale era quella di fare un documentario. Cosa vi ha fatto cambiare idea?

João Pedro Rodrigues: Il film nasce come un documentario perché João Rui ha vissuto a Macao da bambino, e io non c’ero mai stato. Mi aveva sempre raccontato storie su Macao, della sua infanzia e dei suoi ricordi. Abbiamo sempre voluto andare a Macao per una visita. Dopo avere girato il mio terzo lungometraggio, intitolato Morrer como um Homem, ci sono stati alcuni eventi – perché Macao era una colonia portoghese, fino a poco più di 10 anni fa – e quindi quando il Portogallo l’ha restituita alla Cina, abbiamo pensato che fosse un buon momento per andarci, ma poi non ce l’abbiamo fatta. Comunque abbiamo pensato che fosse finalmente giunto il momento di andarci. E ci è venuta la voglia di girarci un film. Il film nasce come documentario sulla città e sulle memorie di João Rui, ma quando siamo andati per la prima volta, nel 2009, abbiamo realizzato che non avevamo più davvero voglia di girare un documentario. Perché la città ci parlava, in un certo senso, raccontandoci delle storie. Ciò che abbiamo tentato di fare con questo film è stato organizzare queste storie che la città ci stava raccontando, dando loro una struttura che era più vicina al racconto che al documentario.

João Rui Guerra da Mata: Sono stato direttore artistico e production designer per João Pedro sin dal suo primo film, aiutandolo talvolta anche con le sceneggiature, eccetera. Un giorno ho scritto un cortometraggio dal titolo China, China, che trattava di una famiglia cinese che vive a Lisbona, e siamo andati avanti scrivendolo insieme. Quello è stato il primo approccio a un soggetto che mi è molto caro: l’Asia in generale, la Cina in particolare. João Pedro continuava a girare film e un giorno – era il momento perfetto per farlo – abbiamo chiesto un finanziamento al Portuguese Film Institute per un documentario. Siamo andati a Macao tre volte in differenti periodi, la prima volta nel 2009, e ci siamo anche stati per sei mesi di seguito. Quando ci siamo andati, pensavamo fondamentalmente al territorio, avevo i miei ricordi d’infanzia come ancore e ciò che volevamo inizialmente fare era comparare i ricordi: i miei di bambino – è un cliché dire che le proprie memorie sono finzione in quanto vengono rielaborate a dipendenza di chi è il nostro interlocutore – e quelle di João Pedro, che non ci era mai stato prima ma che aveva la sua memoria costruita dal cinema: su quello classico di Hollywood, il cinema giapponese, il cinema contemporaneo cinese e soprattutto il modo in cui il cinema aveva raccontato l’Asia. Poi c’era naturalmente Macao di von Sternberg. Queste sono state le basi per quello che pensavamo sarebbe diventato un documentario. Poi, la prima volta che ci siamo trovati lì, abbiamo capito che c’era molto di più ad attenderci. Ogni volta che guardavamo una strada, piccole parti di una storia saltavano fuori e così ci siamo ritrovati a pensare a storie che nascevano da quei luoghi. Alcuni luoghi avevano a che fare con la mia memoria, ma di altri non conoscevo neppure l’esistenza. Quindi l’idea di girare un altro documentario su Macao ha iniziato a perdere di senso, ed a quel punto abbiamo pensato che sarebbe stato più interessante utilizzare questa idea di memoria per creare una storia di finzione, che includesse comunque le mie memorie. Quindi la mia memoria che si mescolava con le storie che stavamo creando. Ecco perché è così tanto importante per me e João Pedro che i nostri corpi non appaiano nel film. Siamo giusto ombre: la mia e la voce di João Pedro, quasi fantasmi del presente, dal passato e infine dal futuro.

RC: Il montaggio è stato una parte molto importante di questo lavoro. Vorrei sapere quanto è durato e secondo quali logiche è stato realizzato. E vorremmo anche sapere come si è sviluppata tra voi questa fase.

JRGdM: A dire il vero, siamo stati in tre a lavorare sul montaggio (Rodrigues, da Mata e Raphaël Lefèvre; NdR.).

JPR: La fase di montaggio ha richiesto almeno otto mesi. Ha avuto diverse fasi perché ogni volta che tornavamo da Macao, guardavamo il girato ed inizialmente abbiamo realizzato una sorta di catalogo delle scene. Avevamo 150 ore di girato e quindi era molto complicato pensare a cosa ne avremmo fatto.

JRGdM: Abbiamo dovuto organizzare tutte le scene: quelle notturne e diurne, i luoghi…

JPR: Il film si basa sulle atmosfere e noi e Raphaël Lefèvre, il nostro montatore, abbiamo iniziato a immaginare delle storie. Perché si tratta di un film costruito interamente nel corso del montaggio. Abitualmente, con i miei film precedenti, non è mai stato così. Ogni scena era scritta prima, in un modo preciso e dettagliato, e quindi il montaggio non ha mai richiesto tanto tempo. Con questo film è stato esattamente l’opposto. È stata un’esperienza totalmente nuova e mi sono anche sentito angosciato, in un certo senso, perché quando hai tanto materiale davanti a te, devi trovare un modo per passare da un’immagine all’altra, da un suono all’altro. A un certo punto, non avevamo ancora trovato il percorso e devo confessare che mi sono sentito perso. Poi, quando abbiamo trovato la direzione in cui volevamo andare, le cose hanno iniziato ad assumere un senso, immagini e suoni hanno preso potenza. Il film ha iniziato a scriversi da solo, in un certo senso.

JRGdM: Stavamo lavorando con il girato e sapevamo che lì c’era una storia ma non sapevamo come raccontarla, considerando che ancora non sapevamo quale fosse. So che può suonare confuso ma è stato così.

JPR: Sapevamo che c’erano diverse storie ma dovevamo trovare qual era quella che ci interessava davvero.

JRGdM: Una delle volte che siamo stati a Macao, abbiamo pensato che sarebbe stato interessante girare tutte le sequenze in una stanza, solo con le ombre e parti dei corpi. Quello è stato l’inizio della finzione, perché è stata la prima volta che non ci ritrovavamo a girare intorno a noi, ma a partecipare come attori, cercando di realizzare una piccola storia di finzione all’interno di questa idea di grande documentario. Poi abbiamo pensato che avremmo voluto fare qualcosa che avesse a che fare con il cinema noir, perché Macao e le sue atmosfere ci stavano veramente parlando. Sapevamo di non voler fare nulla di turistico perché questo è ciò che le persone abitualmente fanno quando si confrontano con qualcosa di esotico. Volevamo andare nei vicoli, siamo usciti la notte, anche per il silenzio, perché durante il giorno è davvero molto, molto rumoroso.
Quando ho vissuto a Macao, non c’era la televisione portoghese, solo quella comunista cinese. E poi i film di kung-fu da Hong-Kong e la fantascienza giapponese. Quindi ho iniziato a vedere queste cose nel nostro film: un mix di film noir e fantascienza. Eravamo liberi di reinventare il territorio. A Última Vez Que Vi Macau non è un ritratto di Macao, ha più a che fare con il modo con cui la vediamo. Ha più a che fare con le storie che inventavo da bambino guardando quel territorio nuovo per me, la Cina. Credo che João Pedro abbia sentito le stesse cose quando si è trovato lì. Vedevamo quelle scene avverarsi, anche se non si avveravano davvero.

RC: A proposito di questo miscuglio di generi di cui stavi parlando, quelle atmosfere erano già presenti quando pensavate al film o sono scaturite quando stavate girando?

JPR: Sin dall’inizio del progetto, Macao di von Sternberg è stato un’àncora. È una sorta di film noir, di thriller. Quell’atmosfera era già presente sin dall’inizio. Poi ha preso anche altre direzioni, anche quella del musical, c’è un numero musicale all’inizio. Nei miei film precedenti sono sempre stato interessato ai generi classici e tutti miei film hanno a che fare con la loro reinvenzione. È ancora possibile girare un melodramma? È ancora possibile girare un musical? Perché abbiamo gli strumenti e la mia idea riguarda il prendere possesso di quegli strumenti già codificati e usarli a mio modo. Questo è ciò che ho provato a fare con i miei film. Impari a fare film guardando film, la penso così. Quindi questo film è una sorta di miscuglio: è ancora una sorta di documentario, un diario personale, una specie di saggio. Abbiamo lasciato che il film fosse libero, abbiamo voluto che fosse libero, un film che potesse prendere diverse direzioni ma che mantenesse un senso nella sua interezza.

JRGdM: Poi è accaduto qualcosa mentre eravamo a Macao: avevamo Jane Russell in testa tutto il tempo per via del film di von Sternberg, e improvvisamente tutti i titoli dei quotidiani portoghesi riportavano la notizia: «È morta la signora di Macao». Quindi abbiamo sentito il desiderio di omaggiarla (l’attrice Jane Russel è deceduta il 28 febbraio 2011; NdR.).

JPR: Il fatto che non ci fosse più, ci ha fatto sentire che ci stava stregando ancora di più. Sembrava che la sua ombra coprisse l’intero territorio. Ecco perché Cindy Scrash canta la canzone tratta dal film di von Sternberg all’inizio del nostro film. La canzone si intitola «You Kill Me» e il fatto che il nostro personaggio muoia le dona un nuovo significato.

JRGdM: Lei apre il film cantando «You Kill Me», ma il significato della canzone è: «Mi uccidi d’amore». Però lei è un personaggio che si appresta a moire, e lo sapevamo. Ecco perché avevamo bisogno di un corpo, perché se uccidi qualcuno in un film, allora devi avere il corpo, altrimenti non è altrettanto potente.

JPR: Un corpo vivente…

JRGdM: Hai bisogno di una figura, devi vedere il volto, anche solo il tempo di una canzone.

 

 

RC: Questo è il motivo per cui è l’unica persona che si possa vedere nella sua interezza nel film.

JRGdM: Giusto. Perché tutte le presenze nel film non sono attori, solo noi o passanti.

JPR: Il fatto che il film sia stato realizzato con i soldi necessari per un documentario, ci ha costretti a lavorare con pochi mezzi. La seconda volta che siamo stati a Macao, abbiamo pensato che avremmo voluto alcuni attori, ma non li abbiamo trovati…

JRGdM: Per la mancanza di denaro.

JPR: …e così abbiamo pensato: «Perché non lo facciamo noi stessi?». Questa è una tra le ragioni per cui non vedi mai i volti. Ma girare in modo astratto ha un senso. Perché il film va molto nell’astrazione.

JRGdM: Non amo particolarmente l’idea che qualcosa sia concettuale ma devo ammettere che c’è un approccio concettuale nel nostro film. A parte il montaggio, che come dice João Pedro è stato complicato, abbiamo capito che il suono avrebbe avuto molta, molta importanza. Molta azione avviene fuori dallo schermo e quindi serve che il suono sia molto presente.

JPR: Nel processo di montaggio all’inizio avevamo solo le immagini e su queste motivammo il suono, ma abbiamo dovuto ricostruirne molti. Poi tornavamo all’immagine, per montare ancora un poco, e tornavamo al suono. C’era sempre un movimento tra suono e immagine per costruire la storia.
Ho iniziato a girare film in pellicola, non in digitale. Questo è girato in digitale. Quindi ci sono abituato: vedo le immagini e quindi passo ai suoni. Ho l’impressione che qui il suono spesso vada più velocemente, talvolta più lentamente e talvolta perfettamente in sincronia e altre volte ancora totalmente staccato dalle immagini.

JRGdM: Sì, tavola abbiamo montato le immagini e quindi il suono. E poi siamo ritornati alle immagini. Perché alle volte sono stati proprio i suoni a portare idee e, se queste idee erano buone, allora si doveva tornare alle immagini. Avevamo voglia di essere anche ludici, giocosi. Volevamo anche giocare con questa idea di catastrofe, stile: «È la fine del mondo per come lo conosciamo». E volevamo un happy end. Sì, la gente muore, ma forse non muore davvero. Magari si trasforma in animali e la storia ricomincia da capo…
(ridono)

RC: Tornerete a lavorare in questo modo? In un modo tanto libero?

JPR: Ho grande paura di creare uno stile in cui mi senta a mio agio. Come cineasta mi piace l’idea di avere uno stile, perché significa avere un punto di vista, ma non voglio trovare un modo semplice per girare film. Voglio interrogarmi continuamente, questo è il mio obiettivo principale. Perché credo di imparare girando film. Questo film è più sperimentale rispetto al mio precedente, è stato realizzato in un modo totalmente diverso. Non so come proseguirò da qui, non pianifico mai come saranno i miei film. Ora so quale sarà il mio prossimo film, perché l’ho già scritto, ma non so quale sarà quello successivo.

JRGdM: C’è una cosa che penso dovremmo sottolineare: ci sono film diretti da João Pedro e film che abbiamo co-diretto. Sono cose differenti. Certo, stiamo parlando delle stesse persone e io partecipo sempre ai film di João Pedro come art director, ma il prossimo sarà un film di João Pedro.

JPR: Sono cose diverse.

JRGdM: Per esempio, ho un cortometraggio in concorso qui a Locarno, O Que Arde Cura, un film che ho realizzato da solo. Ma lui è l’attore protagonista… Talvolta le cose si mescolano.

JPR: Credo che, oggi come oggi, se vuoi girare un film che esca dalla massa, devi avare un punto di vista… non serve nient’altro. Deve essere personale e deve avere a che fare con la tua vita.

JRGdM: Devi essere sincero con te stesso quando giri un film. Devi davvero credere in ciò che fai. Non puoi prendere le cose per scontate. È facile dire: «Giriamo un film in video, è economico». Sì, è economico – almeno quando lo giri perché la post-produzione può essere molto costosa – ma penso che la gente debba credere in ciò che fa. È duro girare film.

JPR: Può essere anche divertente.

JRGdM: Sì, può esserlo. È ciò che è successo con il nostro film, è stato difficile ma poi, improvvisamente, ci stavamo divertendo tanto a farlo. Eravamo felici e ci sentivamo liberi.

RC: Tornando all’idea del documentario: qual era il suo scopo? Volevate raccontare anche i cambiamenti urbanistici di Macao?

JPR: Non c’è mai stata un’idea “prima e dopo”. È come sentiamo Macao ora. È il nostro personale ritratto di Macao. È ancora un documentario su Macao, ma ha preso anche altre direzioni.

RC: Il film sembra funzionare anche per i simboli che contiene. È denso di immagini enigmatiche.

JPR: Ho sempre avuto paura delle parole “simbolo” e “metafora”. Penso siano molto pericolose nel cinema perché tendono a semplificare. Se hai un personaggio o un’azione che usi come simboli, allora rimangono quello. Rimangono chiusi su quell’idea. Non mi pace questo nel cinema, mi piacciono le cose che sono in un modo ma che possono essere anche altro, o andare in diverse direzioni.

JRGdM: Non è bellissimo dare allo spettatore la possibilità di formare la sua propria opinione sullo stesso soggetto? Ogni volta che chiudi le scene in una scatola, diventa difficile poi tirarle fuori. Non è stupendo guardare un quadro e magari non capirlo ma amarlo comunque perché ti fa interrogare su ciò che stai vedendo. Il mistero è una bella cosa.

RC: Ora, essendo questo un film molto personale, siete pronti ad accettare che la gente ne tragga ciò che più desidera?

JRGdM: Vedo il film come personale perché lo abbiamo fatto noi. Ma non è la nostra idea “chiusa” di Macao.

JPR: Non lo abbiamo girato per noi.

JRGdM: Non facciamo mai film per noi. Odio l’idea di girare un film per me stesso.

JPR: Lo abbiamo girato per condividerlo con altre persone.

JRGdM: Lo abbiamo realizzato partendo da un nostro punto di vista ma per condividerlo. Una volta che hai realizzato un film, composto musica o dipinto un quadro, non ti appartiene più. Appartiene alle persone, agli spettatori, agli ascoltatori. Questo è il suo bello, secondo me.

RC: Si fa un gran parlare dei problemi del cinema portoghese e questo spesso mette in cattiva luce i film. Visto che il vostro film è stupendo non vi domandiamo nulla a tal proposito… ma vorremmo sapere come e quando sarà possibile vedere il vostro film.

JRGdM: Questa è una domanda tragica.

JPR: Vorrei dire qualcosa sul cinema portoghese perché questo è un momento tragico per il nostro cinema. Abbiamo un nuovo governo di destra e la prima cosa che ha fatto…

JRGdM: E l’avevano promessa!

JPR: Sì, l’avevano promessa durante la campagna elettorale. La prima cosa che hanno fatto è stata chiudere il Ministero della cultura. Quindi non abbiamo più un Ministero della cultura. Il Portuguese Film Institute è congelato, non può fare nulla. Non ci sono soldi per il cinema quest’anno e non sappiamo fino a quando sarà così. Noi siamo qui, al Festival di Locarno, ma non abbiamo alcun sostegno da un ente ufficiale.

JRGdM: La nostra è una co-produzione con la Francia e siamo fortunati che i nostri co-produttori sono riusciti a portarla a termine, permettendoci di essere qui. E poi c’è il nostro produttore portoghese, João Figueiras, che ha messo i suoi propri soldi per finire il film, perché il governo non ci darà nemmeno i soldi che ci deve. Non abbiamo avuto soldi per il film.

JPR: Giusto una parte.

 

 

RC: E sono stati votati?

JRGdM: Sì! Ma, andiamo, la gente ha votato anche per Berlusconi! La gente è gente ovunque tu vada («People are people wherever you go»), come dice la canzone. Ma la vera domanda è: quanti film portoghesi vengono realizzati ogni anno. Tanti. E quella portoghese viene considerata una cinematografia interessante.

RC: Si, ma il cinema portoghese si muove fuori dal Portogallo. Cerca finanziamenti fuori dal Paese, set altrove. Pensiamo a Tabu di Miguel Gomes, uno dei migliori film dell’anno.

JPR: Credo che il cinema portoghese sia guardato dall’estero come uno tra i più interessanti al mondo, come diceva Olivier Père presentando il nostro film. E quindi chi dovrebbe sostenerci non ci sta sostenendo affatto.

JRGdM: Mettiamo che gli uomini al governo non amino i film che facciamo. Non amano il cinema portoghese. Questo è ciò che penso. Quindi, perché spendere soldi nella cultura quando la gente vuole il calcio? Perché spendere per il teatro quando la gente vuole il calcio? Non ho nulla contro il calcio e amo Cristiano Ronaldo come splendido ballerino. Ma il governo sta dando alla gente ciò che la gente vuole. Un Paese, se non è ricco – e il Portogallo non lo è decisamente – è conosciuto per la sua cultura. E la gente è definita attraverso la cultura che possiede. Se distruggi la cultura… Avrai sempre il calcio.
Una cosa che devo dire, e che per me è molto importante, perché mi è stata chiesta molte volte. È se sia vero che la gente diventa più creativa in presenza di una crisi o quando esiste una censura. No, non lo penso. Credo che questo sia un modo terrificante di pensare. Ciò che accade è che quando non hai denaro o vivi sotto un regime censorio sei obbligato a dire la tua opinione. Questo è il nostro modo di combattere contro ciò che è sbagliato, provando loro che ce la facciamo comunque, contro ogni probabilità. Contro ogni probabilità possiamo dimostrare loro che sono nel torto. Anche se non dovessero capire – o non volessero capire – almeno sentiamo che stiamo facendo la nostra parte. Quindi, censura o mancanza di sostengo finanziario, non rendono nessuno più creativo. Al contrario, è molto, molto pericoloso. Perché non riguarda solo noi. Se un governo mostra alla gente che non sostiene la cultura, allora stanno mostrando che non esiste un bisogno di cultura. E così potremo parlare di quanto eravamo grandi nel XIX secolo. Questo è decisamente fascista. •

Locarno, 8 Agosto 2012

 

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A última vez que vi Macau
Titolo internazionale: The Last Time I Saw Macao
Regia, sceneggiatura, fotografia: João Pedro Rodrigues, João Rui Guerra da Mata • Montaggio: Raphaël Lefèvre, João Pedro Rodrigues, João Rui Guerra da Mata • Assistente alla regia: Leonor Noivo • Suono: Nuno Carvalho, Carlos Conceição, Leonor Noivo • Montaggio suono: Nuno Carvalho • Sound mix: Mélissa Petitjean • Consulenza scientifica: Filomena Silvano • Musical number crew: Rui Poças (fotografia), João Rui Guerra da Mata (aip art direction) • Assistente di produzione: Yakult Lin, Leonor Noivo, Rodrigo Candeias, Jane Roger • Production manager: Lydie Bárbara • Produttori: João Figueiras, Daniel Chabannes de Sars, Corentin Dong-jin Sénéchal • Interpreti: Cindy Scrash (Candy), João Rui Guerra da Mata, João Pedro Rodrigues • Guest: Maria João Guerra da Mata, Lydie Bárbara, Raphaël Lefèvre, Nuno Carvalho • Voci: Hoi Kem Foo, Rita Chan, Janete Chan, Chan Tong Wong, Ko Chung Tin, Eduardo Chan, Mingyu Wu, Lian Wu • Produzione: Blackmaria (Lisbona), Epicentre Films (Parigi) • Co-produzione: Le Fresnoy, Studio National des Arts Contemporains • Con il sostegno finanziario: ICA RTP, Centre National de la Cinématographie et de l’image Animée • Con il supporto di: Centre National des Arts Plastiques (image/mouvement), du Ministère de la Culture et de la Communication • Rapporto: 16:9 • Formato di ripresa: HD • Formato di proiezione: DCP • Suono: Dolby Digital 5.1 • Lingua: portoghese, mandarino • Paese: Portogallo, Francia • Anno: 2012 • Durata: 85’

A última vez que vi Macau (recensione)

 

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João Pedro Rodrigues
(Lisbona, 1966) Incominciati gli studi in Biologia all’Università di Lisbona per diventare ornitologo, ha presto abbandonato per studiare cinema e diplomarsi alla Scuola di Cinema di Lisbona.
Nel 1988 dirige O pastor (The Shepherd), cortometraggio di diploma e opera d’esordio. Il suo secondo corto, Parabéns! (Happy Birthday!) ottiene un ottimo consenso internazionale, a partire dalla Menzione speciale alla Mostra di Venezia del 1997. Nel periodo 1997-99 ha diretto Esta é a minha casa (This Is My Home) e Viagem à expo (Journey To The Expo), documentario in due parti. Nel 2000, il suo primo lungometraggio, O fantasma, presentato in concorso internazionale alla Mostra di Venezia e vincitore dei festival di EntreVues, Belfort e del New Festival a New York. Nel 2005, il suo secondo lungometraggio, Odete, viene premiato alla Quinzaine di Cannes. Nel 2007 il suo terzo cortometraggio, China, China, co-diretto con João Rui Guerra da Mata, viene anch’esso premiato alla Quinzaine, ma pure a EntreVues e Belfort. Nel 2009, il terzo lungometraggio, Morrer como um homem (To Die Like A Man), viene selezionato in concorso nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, dopo essere stato selezionato nel 2007 nel programma Cinéfondation dell’atelier del festival francese. Nel 2011 il suo quarto cortometraggio è il documentario Alvorada vermelha (Red Dawn), co-diretto con João Rui Guerra da Mata, presentato all’IndieLisboa e a Locarno. João Pedro Rodrigues ha recitato nel cortometraggio Le Jour où le fils de Raïner s’est noyé di Aurélien Vernhes-Lermusiaux. Nel 2012, è l’attore protagonista del documentario d’esordio (come singolo) di João Rui Guerra da Mata. Sempre nel 2012 dirige il cortometraggio Manhã de Santo António (Morning Of Saint Anthony’s Day). The Harvard Film Archive (2010), BAMcinématek – The Next Director (2010), TIFF Bell Lightbox – The New Auteurs (2011) e molte altre realtà cinefile internazionali hanno proposto retrospettive del suo cinema.
Attualmente lavora al suo nuovo lungometraggio, O ornitólogo (The Ornithologist). Dal titolo una sorta di ritorno alle origini.

Fimografia
1988 | O pastor (The Shepherd) • 1997 | Parabéns! (Happy Birthday!) • 1997 | Esta é a minha casa (This Is My Home) • 1999 | Viagem à expo (Journey To The Expo) • 2000 | O fantasma • 2005 | Odete • 2007 | China, China | co-diretto con J.R.G. da Mata • 2009 | Morrer como um homem (To Die Like A Man) • 2011 | Alvorada vermelha (Red Dawn) | co-diretto con J.R.G. da Mata • 2012 | Manhã de Santo António (Morning Of Saint Anthony’s Day) • 2012 | A última vez que vi Macau (The Last Time I Saw Macao) | co-diretto con J.R.G. da Mata

 

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João Rui Guerra da Mata
(Lourenço Marques, Mozambico) Ha incominciato a lavorare nel cinema proprio con João Pedro Rodrigues a partire dal 1995. Insegna Art Direction e Production Design al Lisbon Film School (ESTC) dal 2004 al 2011.
Come Art Director e Production Designer ha partecipato ad un gran numero di corti e lungometraggi. Nel 1997 da Mata compare come attore nel cortometraggio d’esordio di Rodrigues, Parabéns! (Happy Birthday!), e come assistente alla regia, sempre per Rodrigues, in Esta é a minha casa (This Is My Home) e Viagem à expo (Journey To The Expo). Da questo momento da Mata lavorerà in ogni opera di Rodrigues in qualità di direttore artistico e production designer, talvolta di sceneggiatore. Nel 2007 co-dirigono il cortometraggio China, China, da un’idea di João Rui e sceneggiato insieme; recitato principalmente in mandarino, rappresenta il loro primo approccio cinematografico alla Cina. Nel 2012, oltre alla co-regia di A última vez que vi Macau (The Last Time I Saw Macao), dirige il suo primo cortometraggio, O que arde cura (As The Flames Rose), presentato in anteprima IndieLisboa.

Filmografia
2007 | China, China | co-diretto con J.P. Rodrigues • 2011 | Alvorada vermelha (Red Dawn) | co-diretto con J.P. Rodrigues • 2012 | A última vez que vi Macau (The Last Time I Saw Macao) | co-diretto con J.P. Rodrigues • 2012 | O que arde cura (As The Flames Rose)

 

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Cover image by Festival del film Locarno / Marco Abram

Image by Emanuele Dainotti (settesecondicirca.com) / modified by Rapporto Confidenziale

 

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Rapporto Confidenziale
numero36 (ottobre/novembre 2012)

ISSN: 2235-1329

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