LA PLAGA
di Neus Ballús (Spagna-Francia-Germania/2013)
Berlinale 63 – Forum
recensione a cura di Roberto Rippa
pubblicata all’interno dello speciale BERLINALE 63 in Rapporto Confidenziale 38
Una zona di campagna nei dintorni di Barcellona è il luogo in cui i cammini quotidiani di cinque persone si incrociano. Iurie alterna gli estenuanti allenamenti di lotta greco-romana al non meno faticoso lavoro nei campi di proprietà di Raül, che ha ereditato le terre dai genitori e svolge due attività per mantenere se stesso, sua moglie i suoi figli. La sua anziana vicina di casa Maria ha dovuto trasferirsi in una casa per anziani a causa dei suoi problemi di salute. Nella casa è seguita con affetto e decisione da Rosemarie, un’assistente di cura filippina giunta in Spagna da poco e che ogni giorno percorre a piedi, non potendosi permettere un mezzo di trasporto, la distanza tra l’appartamento che divide con una connazionale e l’istituto. Sulle stesse strade, lavora Maribel, prostituta di non più giovane età, costretta a fare quadrare i conti da sola, visto che suo figlio soffre di una grave forma di depressione che gli impedisce di lavorare.
Neus Ballús, con la collaborazione di Pau Subirós alla sceneggiatura (sviluppata nell’ambito del Berlinale Talent Campus), approccia le vite di cinque persone reali, che interpretano loro stesse dopo un lavoro con la regista fatto di due anni di incontri costanti e regolari riscritture della sceneggiatura per adattarla ai cambiamenti intervenuti nelle loro vite nel tempo, in un film di taglio fortemente documentaristico nel contenuto e altrettanto fortemente cinematografico nella forma.
La vita per tutti i suoi personaggi è dura: Iurie attende ancora, dopo due anni, il permesso di lavoro, ulteriore elemento di precarietà nella sua vita. Intanto litiga con la sua fidanzata rimasta in Moldavia, che pare non voler capire che di tempo, tra il duro lavoro nei campi e gli altrettanto estenuanti allenamenti, gliene resta ben poco. Raül, da par suo, per far quadrare i conti è costretto a svolgere due lavori. L’agricoltura è molto meno redditizia rispetto ai tempi dei suoi genitori e, come se non bastasse, il rapido proliferare di un parassita minaccia il raccolto. Rosemarie, invece, ritiene di avere in chiaro il suo ruolo come assistente di cura geriatrica, che dispensa affetto ai suoi ospiti al tramonto della vita, consapevole di essere l’ultima presenza importante nelle loro vite, ma poi fatica a mantenere il distacco che predica con Maria Ros, l’ospite che non riesce ad accettare di avere dovuto abbandonare la sua casa e i suoi campi a causa delle precarie condizioni di salute. Non ultima, Maribel sogna un qualsiasi lavoro che la crisi le nega ma gli introiti della sua attività come prostituta non le permettono nemmeno di pagare le spese regolari.
Inquadrati in una natura bellissima e in un quotidiano a tratti straziante, i personaggi di Neus Ballús lottano ognuno a suo modo per il diritto ad una vita dignitosa ma si scontrano con l’oggettività della situazione, costretti a trarre le piccole, necessarie gioie da piccoli gesti: il regalare un cioccolatino di nascosto all’anziana ospite (cui il film è dedicato, essendo scomparsa poche settimane fa) per Rosemarie, una serata passata a ballare con una ragazza per Iurie, la visita dei tre figli per Raül.
Ed è proprio la natura che li inquadra nella loro pesante solitudine e a permettere alla regista di offrire ad ognuno la giusta proporzione, in un film che segue, prendendosi il giusto tempo, le singole storie e il loro intersecarsi più o meno fortuitamente. Saranno difficili le esistenze di ognuno di loro ma arriverà la pioggia a lavare le foglie dai parassiti e il loro cuore dalla pesantezza offrendo un momento di refrigerio in un’estate il cui calore non lascia tregua.
La regista, sostenuta dal direttore della fotografia Diego Dussuel e dal suono curato da Marisol Nievas, fonde i personaggi nella natura che li circonda ricordandoci come siamo sempre strettamente parte di un insieme sempre e comunque più grande di noi.
Bellissimo. •
Roberto Rippa