Venezia 70. Depressioni di settembre
Michele Salvezza alla 70. Mostra Internazionale d’Arte cinematografica (2013)
Quante gocce di rugiada intorno a me, cerco il sole ma non c’è.
Venezia 70. Depressioni di settembre.
Quest’anno ero partito con i migliori propositi e con la speranza di assistere ad una mostra con meno nomi noti ma più film notevoli. Maledette aspettative!
Mi sono chiesto cosa mi avesse ben disposto verso Venezia 70; forse il fatto, alquanto nuovo, che la mostra fosse "Comencini free" o forse questo forviante messaggio firmato dal direttore artistico Barbera: " Abbiamo fatto scelte radicali. Ad esempio, ci saranno in concorso due documentari e due film che definirei estremi, in cui viene dissolto il concetto di narrazione cosi come lo conosciamo".
Avrei dovuto dare maggior peso a quel plurale in chiusura del periodo.
Venezia 70 future reloaded.
Il futuro che ci aspetta ma che forse sempre meno ci spetta.
Proiezione dopo proiezione mi è parso evidente che i film fossero stati selezionati seguendo una traccia unica, quasi che quest’anno la mostra fosse a tema:
Il 90 per centro delle pellicole trattava una tematica sociale.
Il 90 per cento delle pellicole conteneva scene di violenza sulle donne.
Il 90 per cento delle pellicole conteneva almeno uno schiaffo rifilato ad un bambino.
Il 90 per cento delle pellicole conteneva lacrime.
Il 70 per cento delle pellicole conteneva scene d’amore omosessuale.
il 90 per cento dei film italiani era prodotto dall’ossimoro Rai Cinema.
Il 90 per cento dei film italiani conteneva storie legate all’integrazione tra popoli.
il 70 per cento dei film era meno avvincente del Cinegiornale Luce che li precedeva.
Il 50 per cento delle pellicole conteneva Alba Rohrwacher.
L’altro 50 per cento delle pellicole conteneva (a fatica) Battiston.
Di questo passo si arriverà alla nausea.
Immagino un futuro in cui sui dvd compariranno avvertenze quali “ACHTUNG! Potrebbe contenere tracce di Rohrwacher”.
Ma possibile che non esistano film italiani liberi dalle solite pulcinellate tricolori?
Quanti film italiani ha visto per la selezione?
Barbera: «Centocinquantacinque lungometraggi, settantassette documentari, e qualcosa come cinquecento corti. Per la maggior parte film di esordienti o quasi».
Alla faccia della crisi!
Barbera: «Beh, certo il numero è sorprendente rispetto alla situazione in cui si trova quest’industria nel nostro Paese. Il doppio dell’anno scorso».
E chiaramente tu tra «Centocinquantacinque lungometraggi, settantassette documentari, e qualcosa come cinquecento corti» hai scelto casualmente solo quelli prodotti da Rai Cinema o comunque allineati al noioso grigiore del cinema post-industriale italico. Cosa devo fare per vedere un film che non mi racconti della stramaledetta integrazione tra i popoli? Devo emigrare? Perché tra i film stranieri presenti posso anche trovare un film iraniano girato in unico piano sequenza la cui sinossi è: “Alcuni studenti si recano nella regione caspica per partecipare a un raduno di aquilonisti durante il solstizio d’inverno. Non lontano dal loro campeggio c’è una piccola capanna occupata da tre cuochi che lavorano in un ristorante vicino e cercano carne da cucinare. Nei paraggi non c’è nessuno tranne i giovani studenti. Il film, girato in una sola ripresa, si basa sulla storia vera di un ristorante che, come cibo, serviva carne umana macinata”… e invece non posso che trovare tra quelli italiani il solito film con questa sinossi: “La prima neve è quella che tutti in valle aspettano. È quella che trasforma i colori, le forme, i contorni. Dani però non ha mai visto la neve. Dani è nato in Togo, ed è arrivato in Italia in fuga dalla guerra in Libia. È ospite di una casa di accoglienza a Pergine, paesino nelle montagne del Trentino, ai piedi della valle dei Mocheni. Ha una figlia di un anno, di cui però non riesce a occuparsi. C’è qualcosa che lo blocca. Un dolore profondo.” ?
La mia amarezza è assai più profonda.
Va bene, può darsi che io abbia scelto di proposito due estremi per accrescere l’efficacia della mia invettiva. Ma questo è il mio articolo e seleziono quello che mi pare.
Ma cosa mi state facendo scontare? Cosa ho fatto per meritare questo?
Possibile che tra «Centocinquantacinque lungometraggi, settantassette documentari, e qualcosa come cinquecento corti» non ce ne sia uno senza Battiston o un Cinese che lotta per integrarsi in Italia?
Ammettiamo pure che dobbiate rispondere, per i film italiani, alle solite logiche clientelari; ma è mai possibile che i vostri amici siano sempre ed irrimediabilmente quelli più scarsi? Ma chi frequentate? Ma vi rendete conto che grazie alla vostra selezione sembra che pure lo Swaziland abbia una filmografia più variegata della nostra?
Veniamo alle note dolenti. Dolenti come le mani di quei ragazzotti entusiasti che, mentre il film ancora passa sullo schermo, scrivono battendo rumorosamente i tasti. Recensiscono, quelli, in tempo reale. Quasi che il loro cervello fosse solo un luogo di transito per quelle immagini che gli trapassano gli occhi e si trasformano in parole, meccanicamente. Sanno già cosa scrivere e devono essere i primi a farlo. Un delirio vicino all’autismo in quanto rivolto ad una platea che non ha ancora visto il film di cui stanno scrivendo (visto che non è ancora nemmeno finita la prima proiezione dedicata alla stampa).
Diceva un tale: «I giornalisti sono impermeabili a tutto. Arrivano sul cadavere caldo, sulla partita, a teatro, sul villaggio terremotato, e hanno già il pezzo incorporato. Il mondo frana sotto i loro piedi, s’inabissa davanti ai loro taccuini, e tutto quanto per loro è intercambiabile letame da tradurre in un preconfezionato compulsare di cavolate sulla tastiera. Cinici? No, frigidi».
Provate a respirare, godetevi il film e prendetevi un po’ di tempo per riflettere. Non è una gara, cari ragazzi. Ricordatevi sempre che le uniche persone alle quali frega veramente qualcosa dei vostri aggettivi, delle vostre figure retoriche e dei vostri imperativi siete solo voi e i vostri emuli che, nell’ottica di in uno scambio reciproco di apprezzamenti, vi sostengono senza nemmeno leggere ciò che avete scritto.
A questo punto dovrei parlare di Cinema anche se ammetto che, come al solito, sto cercando di rinviare il più possibile questo momento.
Ho gradito assai l’esperimento dei 70 corti per festeggiare la Mostra. Ritengo il cortometraggio succinto (tra i 60 e i 90 secondi) una forma espressiva parecchio sottovalutata.
Molti dei registi chiamati in causa sono stati in grado di offrire interessanti suggestioni circa lo stato del Cinema e il suo futuro. In ordine sparso segnalo:
• Non si può fare un film rivoluzionario in mezzo a una rivoluzione – Paul Schrader | guarda
• La Mort-du cinématographe – de la Mostra… de Venice – Jean Marie Straub | guarda
• Oggi il Cinema è l’arte che più dipende dal denaro, ma il denaro non desidera il proprio splendore ma solo la propria riproduzione – Catherine Breillat | guarda
• Spero che la gente che di solito non fa film cominci a farne. Così la professionalità del cinema sarà distrutta! E diventerà una forma d’arte – James Franco | guarda
• Per il futuro – Shinya Tsukamoto | guarda
• Il futuro del Cinema è il mio futuro – Sion Sono | guarda
I corti sono stati prontamente resi disponibili sul canale della Biennale (e su Rapporto Confidenziale, QUI).
Mi duole invece ammettere che il livello dei film in concorso è risultato essere molto basso. Al solito non mi dilungo e vi offro la mia sintetica classificazione ma non prima di avere decretato quale sia il commento di fine proiezione più gettonato di Venezia 70: quest’anno l’ha spuntata «Lui molto bravo» a pari merito con «Lei molto brava».
CONCORSO |
MERZAK ALLOUACHE – ES-STOUH (LES TERRASSES) | Algeria-Francia, 94′ GIANNI AMELIO – L’INTREPIDO | Italia, 104′ ALEXANDROS AVRANAS – MISS VIOLENCE | Grecia, 99′ JOHN CURRAN – TRACKS | Australia, 110′ EMMA DANTE – VIA CASTELLANA BANDIERA | Italia-Svizzera-Francia, 90′ XAVIER DOLAN – TOM À LA FERME | Canada-Francia, 95′ JAMES FRANCO – CHILD OF GOD | USA, 104′ STEPHEN FREARS – PHILOMENA | UK, 94′ PHILIPPE GARREL – LA JALOUSIE | Francia, 77′ TERRY GILLIAM – THE ZERO THEOREM | UK-USA, 107′ AMOS GITAI – ANA ARABIA | Israele-Francia, 84′ JONATHAN GLAZER – UNDER THE SKIN | UK, 107′ DAVID GORDON GREEN – JOE | USA, 117′ PHILIP GRÖNING – DIE FRAU DES POLIZISTEN | Germania, 175′ PETER LANDESMAN – PARKLAND | USA, 92′ HAYAO MIYAZAKI – KAZE TACHINU | Giappone, 126′ ERROL MORRIS – THE UNKNOWN KNOWN | USA, 105′ KELLY REICHARDT – NIGHT MOVES | USA, 112′ GIANFRANCO ROSI – SACRO GRA | Italia, 93′ MING-LIANG TSAI – JIAOYOU (STRAY DOGS) | Taipei cinese-Francia, 138′ |
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FUORI CONCORSO |
SHINJI ARAMAKI – HARLOCK: SPACE PIRATE | Giappone, 115′ ALFONSO CUARÓN – GRAVITY | USA, 91′ KI-DUK KIM – MOEBIUS | Corea del Sud, 90′ PAUL SCHRADER – THE CANYONS | USA, 99′ ANDRZEJ WAJDA – WALESA. CZLOWIEK Z NADZIEI (WALESA) | Polonia, 127′ |
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ORIZZONTI |
SERIK APRYMOV – BAUYR (LITTLE BROTHER) | Kazakhistan, 95′ AGNÈS B. – JE M’APPELLE HMMM… | Francia, 120′ ROBIN CAMPILLO – EASTERN BOYS | Francia, 128′ MICHAEL CODY, AMIEL COURTIN-WILSON – RUIN | Australia, 90′ GIA COPPOLA – PALO ALTO | USA, 98′ RICK OSTERMANN – WOLFSKINDER (WOLFSCHILDREN) | Germania, 91′ ANDREA PALLAORO – MEDEAS | USA-Italia, 98′ ALESSANDRO ROSSETTO – PICCOLA PATRIA | Italia, 100′ ANDREA SEGRE – LA PRIMA NEVE | Italia, 104′ SION SONO – JIGOKU DE NAZE WARUI (WHY DON’T YOU PLAY IN HELL?) | Giappone, 126′ |
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GIORNATE DEGLI AUTORI |
BRUCE LABRUCE – GERONTOPHILIA | Canada, 85′ MILKO LAZAROV – ALIENATION | Bulgaria |
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SETTIMANA DELLA CRITICA |
NOAZ DESHE – WHITE SHADOW | Italia-Germania-Tanzania, 115′ |
a cura di Michele Salvezza