Intervista a Luis López Carrasco, regista di “El futuro”
a cura di Alessio Galbiati
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Luis López Carrasco, spagnolo classe 1981, è autore di un film geniale. El futuro (VAI ALLA RECENSIONE) è un’opera tutta concettuale che richiama alla memoria certo cinema sperimentale del secolo passato (penso al cinema diretto da Warhol e prodotto dalla sua factory, passando per Dillinger è morto di Marco Ferreri fino a Arrebato di Iván Zulueta) sospeso fra performance e happening artistico. Interamente ambientato in un’unica unità di tempo e luogo e realizzato in soli tre giorni su pellicola 16mm, si svolge all’interno di una festa in un appartamento madrileno nel 1982 a poche ore dalla vittoria delle elezioni generali da parte del PSOE, elezioni che dissolsero definitivamente l’epoca franchista. L’idea di Carrasco è semplice: è in quell’esatto momento che la Spagna gettava le basi del suo attuale disastro economico e sociale.
Profondamente colpito dal film, ho pensato di chiedere al regista di raccontarlo…
Alessio Galbiati: El futuro è ambientato nel 1982, ma parla dell’oggi, della Spagna del 2013. Qual è stata l’idea iniziale e quali le motivazioni che ti hanno spinto a raccontare questa storia così “politica”?
Luis López Carrasco: Nel maggio 2010, il presidente Zapatero ha preso una serie di misure, sotto la pressione della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea. Tali misure sono destinate a porre fine al welfare spagnolo. Terribilmente aggressive (e proseguite dall’attuale governo di Mariano Rajoy), sono progettate per impoverire i cittadini, demolire i diritti dei lavoratori e vendere il patrimonio pubblico spagnolo a società private filo-governative. Oltre allo smantellamento di diritti sociali come l’istruzione pubblica e la sanità.
La scusa è la crisi. A quell’epoca, i due principali partiti politici si accusavano reciprocamente sulle responsabilità: la crisi “è colpa degli altri”. Però nessuno è d’accordo. È colpa di Zapatero? È colpa di Aznar? È cominciata nel 2004 o nel 1996? È cominciata prima?
Forse la crisi proviene da un tempo precedente, è il risultato di un processo più profondo.
Forse dobbiamo guardare al momento di splendore, gioia e celebrazione festosa che ha segnato le elezioni del 1982. Il momento in cui, apparentemente, la Spagna è divenuta pienamente “democratica”. Forse lì risiedono, in nuce, alcune delle ombre che hanno oscurato il paese. Si deve comprendere che in Spagna l’opinione pubblica è generalmente concorde nel definire come prospero e felice il decennio degli anni ‘80. Forse è arrivato il momento di destabilizzare questo falso ideale.
È importante comprende che io sono nato nel 1981 e cresciuto in una Spagna che era uscita dal sottosviluppo, che era uno Stato di diritto, che era un paese prospero e moderno. Quel paese non esiste. E la mia domanda è: come può crollare così velocemente una struttura? Come si può imparare a vivere in questo nuovo paese disastrato? La risposta che azzardo è semplice: il paese è sempre stato disastroso e sottosviluppato. Solo che prima avevamo denaro, ora no.
AG: Il film potrebbe sembrare una critica agli anni della Movida. So che non è stato questo il tuo obiettivo. Potresti puntualizzare la tua opinione?
LLC: La Movida è stata ampiamente criticata nell’ambiente dei circoli universitari. Un autore come Eduardo Subirats ha scritto, nel saggio Transición y espectáculo (in Intransiciones. Crítica de la cultura española, Ed. Biblioteca Nueva, Madrid 2002; NdR.): «La Movida fu un effetto di superficie, non un’opera d’arte totale. Si identificò completamente con le feste frivole e corrotte, con una strategia di segni grotteschi e con l’agire sociale inteso strettamente come merce e simulacro. […] Nonostante la sua banalità, o precisamente a causa di essa, la Movida significò, comunque, una vera e radicale trasformazione della cultura. Neutralizzò qualunque altra forma immaginabile di critica sociale e riflessione storica».
Essendo un’analisi più che corretta, trovo molto difficile risolvere completamente questo punto di vista critico, perché ho vissuto la mia giovinezza proprio all’interno di quel sistema di valori. Individualismo, edonismo e raggiungimento di obiettivi materiali personali. Mi risulta contraddittorio e anche ipocrita parlare di questo in tale maniera, come se non avessi partecipato a questo stato di cose.
Mi interessava fare un piccolo ritratto sociale della classe media, non esclusivamente della Movida, perché in fondo si trattava di poche persone. Ero affascinato, soprattutto, dalla rapidità con la quale la società spagnola si è fatta trasportare, dall’allegria e dalla spensieratezza, verso i nuovi valori della società dei consumi. Ma come si fa a criticare in maniera generalizzata? Non avrei fatto lo stesso? Non merita un po’ di baldoria la fine di anni di oppressione e dittatura? Bisogna comprendere che molti giovani spagnoli erano stufi della superiorità morale dei propri fratelli maggiori, degli antifranchisti. Una superiorità morale che aveva fatto acqua da tutte le parti, dalla transizione della dittatura alla democrazia, non si era fatta portatrice di nessuno dei sogni di utopia sociale nei quali credeva la generazione pre-Movida, nata tra il 1945 e il 1959 (che poi sono gli stessi che ancora oggi controllano il paese, non dimentichiamolo). C’era un certo clima di sconfitta morale alla fine degli anni settanta e, in qualche modo, celebrare il presente implicava una rottura con tutto il passato, tanto con la dittatura quanto con l’anti-dittatura.
Penso che dovremmo provare a guardare ai primi anni ottanta andando oltre la Movida, ma non cerco di aderire né alla critica moralista né alla malinconia idealizzata.
AG: La musica scelta per il film è molto interessante. Non utilizzi musica famosa, ma brani spagnoli senza troppo successo commerciale. Ci puoi raccontare qual è stato il principio ispiratore della selezione?
LLC: Non volendo fare una storia mitica dei primi anni ottanta in Spagna, ho deciso di usare la musica di gruppi non troppo noti. Quella è stata un’epoca intrisa di nostalgia e molte delle canzoni di Mecano, Alaska y Dinarama, Nacha Pop, Gabinete Caligari e Zombis, si sono trasformate in inni generazionali. Ma non volevo inni nel film. Non mi interessava percorrere strade già praticate.
Spesso mi chiedo: perché un gruppo ha successo e un altro no? La qualità delle canzoni è la stessa.
AG: Mi piacerebbe offrire ai nostri lettori qualche traccia della colonna sonora che attraversa tutto il film… mi puoi dire qualche titolo?
LLC: Aviador Dro (Nuclear sí), Los iniciados (Soy el vacío), Última emoción (Las reglas del juego), Ataque de caspa (Nigeria), Monaguillosh (Ciclos), Flácidos lunes (Francotirador)…
AG: Quanto sono durate le riprese e come hai lavorato con gli attori?
LLC: Dice il teorico Santos Zunzunegui che una domanda che tutti i registi cinematografici dovrebbero arrivare a porsi è: “In che modo devo relazionarmi con le casualità?”.
Ho provato a tenere sotto controllo il maggior numero di aspetti delle riprese, però ero anche cosciente che tutto sarebbe stato più valido se fossi riuscito a rinunciare a una certa dose di controllo e pianificazione. La forza della pellicola avrebbero dovuto averle le immagini documentarie, “rubate”, immagini di persone a una festa, allegre, spensierate, alla deriva. Per questo abbiamo messo in scena una festa, una festa vera. Insieme al direttore della fotografia abbiamo fatto le riprese da dietro un angolo, con un teleobiettivo. Molti degli attori non potevano sapere quando erano inquadrati. Il primo giorno abbiamo realizzato l’80% del film. Il giorno seguente abbiamo sviluppato alcune piccole situazioni, attraverso brevi dialoghi scritti in maniera tale da contestualizzare meglio alcuni aspetti dell’epoca. E, per inciso, siccome avevamo ancora molto da bere, abbiamo messo in piedi una seconda festa…
Durante le riprese abbiamo mescolato tra loro amici con attori che personalmente non conoscevo nemmeno. Ho fornito loro delle indicazioni essenziali sul comportamento da tenere. Tutto è avvenuto come in una qualunque festa: c’erano persone che si conoscevano e altre che non si erano mai viste prima. Durante la notte, le indicazioni che avevo fornito loro, si sono contaminate con l’ambiente festoso e le persone si sono dimenticate di chi fossero realmente.
Le riprese sono durate quel fine settimana.
AG: A prima vista El futuro sembra un film senza sceneggiatura, ma in realtà è un lavoro che hai firmato insieme a Brays Efe e Luis E. Parés. Come avete lavorato alla scrittura? Come l’hai utilizzata sul set?
LLC: Insieme agli altri sceneggiatori abbiamo scritto alcune scene e, soprattutto, i dialoghi anacronistici. Conversazioni che si sarebbero potute ascoltare nel 1982 ma pure nel 2012. (Ad eccezione del dialogo sul terrorismo, interpretato da uno degli sceneggiatori!)
Sapevamo che molte di queste conversazioni sarebbero state sepolte dalla musica, ma abbiamo preferito avere molto materiale con il quale lavorare al montaggio. Siccome le riprese del primo giorno sono state un successo, tutti questi altri dialoghi non sono finiti nel montaggio finale.
AG: El futuro utilizza un’estetica Lo-fi. Come avete lavorato all’immagine? Con quale telecamera? Con quale pellicola? Perché queste scelte?
LLC: Il film è stato realizzato in 16mm con una Arri SR2, di proprietà del cineasta Ion de Sosa, che del film è direttore della fotografia e produttore. La pellicola è una Kodak 500T a colori. Ion de Sosa ha illuminato l’appartamento sostituendo tutte le lampadine delle varie lampade sparse per l’abitazione. Questo ci ha permesso di utilizzare tutto lo spazio della casa.
Il 16mm ci ha aiutati ad avere il colore e il contrasto che andavamo cercando per il film, la tonalità del cinema underground di Warhol o Cassavettes, la consistenza del direct cinema documentario dei fratelli Maysles, Robert Frank, Fred Wiseman e D. A. Pennebacker. Sono stati un punto di riferimento anche i film spagnoli di quell’epoca, tanto in ambito documentario quanto nel cinema di finzione. Il cinema di Eloy de la Iglesia, Zulueta, i primi film di Colomo e Almodóvar. E molto cinema documentario. Opere come La vieja memoria di Jaime Camino (1979), Después de… di Cecilia e José Juan Bartolomé (1983), Númax presenta… di Joaquim Jordà (1980), Lejos de los árboles di Jacinto Esteva (1972), i lavori del collettivo del Cine de Madrid…
AG: Sulla pellicola del film si fanno largo dei grandi buchi neri che inghiottono le
immagini. Ci puoi spiegare il loro significato? Tecnicamente come li hai realizzati?
LLC: Non so se posso spiegare il loro significato in maniera univoca. Potrebbe essere il futuro che li attende. Per quella generazione molte delle minacce che li attendevano erano, in quel momento, invisibili.
Può anche significare che non sperano in alcun futuro, perché tutta la loro vita sarà un presente incompleto, un’esperienza intensa svincolata dalla memoria.
L’immagine con il buco nero è incompleta e può anche rappresentare un buco nero vuoto, un buco che si dispiega in un mondo di immagini superficiali. Potremmo dover completare quelle immagini insieme.
Questo buco nero è una perforazione che i laboratori di sviluppo imprimono sulla pellicola per segnalare l’inizio e la fine di un rullo.
AG: Il lavoro sul suono è molto interessante. Come avete lavorato? È tutto in presa diretta?
LLC: Durante le riprese abbiamo messo la musica a un volume molto alto, così da far ballare e cantare gli attori. Nonostante questo siamo riusciti a registrare un gran numero di conversazioni. La prima parte del film è stata montata con questi dialoghi registrati e con la musica “aggiunta”, però montata in maniera tale che sembri appartenere alle immagini e poi tagliata in armonia con ciascun cambio di piano.
Tutta la parte finale del film è costruita per apparire come se le immagini e il suono si dissolvessero gradualmente. Jorge Alarcón, il montatore del suono, ha lavorato in maniera “normale”, con musica e voci, e alla fine abbiamo esportato su un nastro VHS. In questa esportazione abbiamo collegato e scollegato i cavi, manipolato e maltrattato il nastro magnetico del VHS per deteriorarlo… A questo punto abbiamo nuovamente digitalizzato il nastro VHS, ma con l’audio completamente triturato.
Nuovamente, una combinazione di controllo e casualità…
AG: A Locarno, introducendo il film, Sergio Fant ha detto che El futuro meriterebbe l’Oscar per i migliori costumi nella categoria cinema a zero budget. Affermazione che condivido. Come avete lavorato a questo aspetto del film?
LLC: Ana M. Fesser ha fatto un lavoro brillante, anche perché praticamente non avevamo un budget. Il mio primo approccio è stato quasi sociologico, ero ossessionato dal tentativo di avvicinarmi alla classe media e di non fare un altro ritratto della Movida madrileña. Volevo mostrare delle persone che provano a essere moderne con i vestiti che hanno a casa, o persone che non sono ancora cambiate, oppure nel mezzo della propria mutazione. Lei lo ha compreso perfettamente. Abbiamo voluto provare a mostrare una gamma sociale ampia, con differenti tribù urbane, differenti stili, differenti età. Abbiamo guardato le foto dei nostri zii e zie per vedere come le persone normali cercavano di essere “a la moda”, ma senza denaro, senza risorse. Loro non avevano risorse, noi pure, dunque è stato perfetto. Abbiamo lavorato nella stessa direzione anche con il trucco e le acconciature. Non poteva essere percepito come un disegno molto elaborato e sofisticato. Doveva essere semplice ma evocativo.
Ad ogni modo, la Movida madrileña è così onnipresente nell’inconscio collettivo spagnolo che è probabile che, se anche solo quattro personaggi assumono un aspetto dark-glam-punk, la percezione generale del film sarà inevitabilmente collegata alla Movida.
AG: Nel 2008, insieme a Javier Fernández Vázquez e Natalia Martín Sancho, hai fondato il Colectivo cinematográfico Los Hijos. Ci potresti raccontare i motivi di questa scelta? Quali sono i film che avete realizzato?
LLC: Javier y Natalia sono compagni della Escuela de Cine de Madrid. Siamo amici da molto tempo e ci siamo uniti per produrre un cinema vicino al documentario sperimentale, al film saggio e alla video arte. Il nostro primo lungometraggio, Los materiales, è stato premiato al FiD di Marsiglia e al Festival Punto de Vista (Navarra) ed eletto come uno dei migliori dieci film internazionali del 2010 dai «Cahiers du cinéma Spagna». Grazie a questi riscontri il nostro lavoro è circolato per festival e musei di arte contemporanea. Insieme a loro ho vissuto la soddisfazione di sapere, per la prima volta, che il lavoro creativo può essere valorizzato e sostenuto da altre persone, può essere compreso in diverse parti del mondo. Sono cresciuto con loro, sono miei amici e colleghi, e le persone con le quali ho imparato di più.
AG: La Spagna vive una profonda crisi economica. Qual è la situazione del cinema spagnolo?
LLC: La situazione è sempre stata complicata e ora si sta sfiorando la morte. Le televisioni difficilmente comprano cinema spagnolo, le leggi di finanziamento e incentivi fiscali sono paralizzate… In generale tutto il settore è paralizzato o tende alla chiusura. Festival, centri culturali, pubblicazioni, sale cinematografiche, corsi universitari. Buona parte del cinema più indipendente si finanziava con aiuti regionali o con l’appoggio di musei e, con lodevoli eccezioni, tutti questi aiuti sono scomparsi. Questo è accaduto per il cambio del modello di sfruttamento, gli spettatori guardano il cinema in altro modo, su internet, ma l’industria e l’accademia si sono dedicate per un intero decennio a criminalizzare il download gratuito invece di trovare soluzioni. La sensazione è di asfissia e di fine di un ciclo, anche se mai come oggi i prodotti audiovisivi vengono consumati. Il disinteresse delle amministrazioni è totale. Si ha la sensazione che il cinema sarà blockbusters per un lato e hobby idealista per l’altro, come un giocattolo costoso, per chi se lo potrà permettere.
Se i diritti dei lavoratori e quelli sociali vengono sacrificati, se la ricerca scientifica, le borse di studio e gli aiuti sanitari per i malati cronici e agli anziani sono considerati superflui, se si tagliano i finanziamenti alle scuole pubbliche e si privatizzano gli ospedali, che interesse può avere l’amministrazione pubblica a proteggere la cultura?
Quando è arrivata la crisi economica molti giornalisti hanno scritto: “La Spagna sperimenta la peggiore crisi economica dal dopoguerra”. Non esageravano. •
Intervista realizzata nel settembre 2013
Traduzione a cura di AG
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Luis López Carrasco è nato a Murcia, in Spagna, nel 1981. Nel 2008 ha fondato Los Hijos, un collettivo di cinema e documentario sperimentale, insieme a Javier Fernández Vázquez e Natalia Marín Sancho. I tre cineasti hanno co-diretto vari cortometraggi, tra cui El sol en el sol del membrillo (2008). Los materiales (2010), il loro lungometraggio d’esordio, ha vinto il Premio Jean Vigo per la migliore regia al Festival Punto de Vista di Navarra e la menzione speciale al FiD di Marsiglia. El futuro è il primo lungometraggio per la regia unica di Luis López Carrasco.
2013 | El futuro
2013 | Árboles
2012 | Enero 2012 o la apoteosis de Isabel La Católica
2011 | Tarde de verano
2011 | Evacuación
2010 | Ya viene, aguanta, riégueme, mátame
2010 | Circo
2009 | Los materiales
2008 | El sol en el sol del membrillo
2006 | Para ser cajera del súper siempre hay tiempo
2005 | Sala de espera
Sito del film: elfuturo1982.com
Sito del collettivo Los Hijos: loshijos.org
Vai alla recensione de El futuro (a cura di AG)
Le immagini di Luis López Carrasco sono opera di Aída Páez.