Svetoslav Draganov nasce nel 1976 a Sofia, Bulgaria, dove si laureerà in regia televisiva e cinematografica presso la New Bulgarian University.
Nel 1999, fonda Cineaste Maudit, casa di produzione specializzata in documentari di alta qualità e dirige un cortometragigo di finzione, Ako imate Problem (If You Have a Problem…), che ottiene il secondo premio al festival degli studenti di Sofia. Dopo un’esperienza come regista televisivo di una serie erotica, dirige Tova sum Az I nikoi drug (That’s Me and Nobody Else), cui fa seguito 2001 Jivotat e prekrasen, nali? (Life Is Wonderful, Isn’t It?), che circola tra vari festival internazionali.
L’anno successivo, dirige Vodni Duhove (Water Spirits), documentario per la rete nazionale bulgara, cui seguono Veselite Momchet (The Merry Boys), Mladi Sarca (Young at Heart) e Novite Hrani (The New Foods), sempre prodotti per la televisione.
Nel 2005 dirige e produce Samodeici (Amateurs), che ottiene il gran premio al Golden Riton Bulgarian doc festival di Plovdiv. Nel 2006, torna a lavorare per la rete nazionale bulgara dirigendo Maiki I Dashteri (Mothers and Daughters). Due anni dopoi realizza due documentari commissionati dall’Ufficio svizzero per la cooperazione in Bulgaria: Citizen Can. Dopo alcuni altri documentari prodotti per la televisione, nel 2010 realizza Decata na Drujbata (Children of Drujba), che partecuipa al Prix Europa, Berlin 2010 e al Cottbus International Film festival 2010.
Nel 2011 realizza Jivot pochti Prekrasen (Life Almost Wonderful), documentario che riprende a distanza di anni le vicende di Alexander Ivanchev e dei suoi fratelli già conosciuti in Life Is Wonderful, Isnt’It?. Il film, che circola diffusamente tra festival internazionali, ottiene numerosi premi e menzioni speciali.
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«Mi sento come un investigatore privato che indaga la natura umana».
intervista a Svetoslav Draganovdi Roberto Rippa
Roberto Rippa: Hai realizzato Life Is Wonderful, Isnt’it? nel 2001, quando eri ancora studente. Come sei venuto a sapere della storia di Alex Ivanchev e cosa di lui ha suscitato inizialmente il tuo interesse?
Svetoslav Draganov: Allora ero uno studente e stavo lavorando come regista del primo talk show erotico – dal titolo “Nosthen Magazin”, o “Night Show” – della televisione bulgara. I produttori della serie erano proprietari di numerose linee telefoniche erotiche e producevano tre show televisivi a settimana. Avevano quindi bisogno di lavoratori entusiasti. Il mio lavoro consisteva nel filmare spettacoli di spogliarello e altro per lo show. Era un lavoro divertente con un vantaggio ulteriore: il poter utilizzare videocamera e postazione di montaggio per le mie cose. Una mia amica, una parrucchiera, mi chiese di filmare la sua prestazione a una competizione professionale di categoria a Sofia e lì ho incontrato Alex. Sembrava un punk in mezzo a quei cliché kitsch. A dire il vero, mi chiese di filmarlo e pagò addirittura un piccolo compenso per questo. Poi mi chiese di riprendere il suo compleanno e quindi io e il cameraman che lavorava per lo show andammo a casa sua. Questo è stato l’inizio. Ho iniziato a riprenderlo perché ero davvero affascinato da lui.
RR: Ciò che mi colpisce è che solo dopo aver realizzato il tuo primo film hai deciso di diventare un autore di documentari. Malgrado questo, il film appare già come il lavoro di un cineasta con esperienza e un’idea precisa del cinema documentario. Davvero hai scoperto il tuo interesse per il documentario in questa occasione?
SD: Grazie per la tua opinione. Io ho girato lasciandomi guidare solo dalla volontà di raccontare la sua storia. Una delle idee, a quel tempo, era quella di mostrare il materiale ad alcuni amici diventati eroinomani. Avevo molto amici che si erano dati all’eroina, molte brave persone provenienti da buone famiglie che erano diventate dipendenti, era una sorta di epidemia allora. Da lì l’idea del titolo, come fosse stata una domanda posta a questi amici.
Prima di entrare alla scuola di cinema, non sapevo nulla del cinema documentario, per me i documentari erano film noiosi pieni di interviste e immagini di repertorio. Una bravissima insegnante e autrice di documentari – Julia Kuncheva – ci ha aperto gli occhi mostrandoci alcuni ottime opere. Ma la mia idea, allora, era giusto quella di raccontare la storia di Alex, e così ho realizzato il film.
RR: Con quale tipo di cinema sei cresciuto?
SD: Sono cresciuto negli anni ’90 a Sofia. Era l’inizio della cosiddetta democrazia in Bulgaria, ed erano gli anni della mia pubertà, quelli della scoperta di droga, sesso, alcol e del cinema Drujba – la Cineteca di Sofia – che era uno tra i punti di incontro della mia compagnia. Quindi sono cresciuto con Buñuel, Godard, Pasolini e Fellini.
RR: Nel film, Alex appare come un egocentrico. Non sembra avere problemi ad esporsi di fronte alla camera. È stato davvero così facile o hai dovuto lavorare con lui prima di girare? E come ti sei avvicinato a sua madre e ai suoi fratelli?
SD: Non credo che Alex sia egocentrico. Io lo trovo molto aperto e naif, un sognatore che si scontra con la dura realtà della sua vita. Gli piace essere filmato e farsi notare. Sì, non è una persona facile ma mi piace e siamo amici da così tanti anni… Inoltre, è il mio parrucchiere da 15 anni. La madre, invece, non voleva apparire nel film. Poi, però, essendo Alex il sostenitore della famiglia, ha ceduto rilasciandomi un’intervista. Alex è il fratello maggiore e quindi i suoi fratelli non hanno avuto problemi a intervenire perché giravamo un film su di lui. È come un padre e una madre per loro e loro lo rispettano.
RR: È anche una persona molto complicata. Pensi di essere riuscito a mostrare tutta la sua complessità?
SD: La mia intenzione è sempre quella di essere un onesto osservatore della vita e di mostrarla in tutta la sua complessità, sempre con amore per la persona che sta di fronte alla camera. Non è mai facile e c’è una questione etica. Però la verità è sempre essenziale. Spero di esserci riuscito.
RR: Quando hai iniziato la produzione avevi già un’idea di come procedere o hai dovuto modificare la tua idea mentre stavi girando?
SD: Quando ho intervistato sua madre, ho deciso che tutti avrebbero parlato di lui e raccontato la sua storia e che l’avremmo filmato mentre si preparava a partecipare alla competizione per parrucchieri. A quel tempo era una sorta di drogato di competizioni per parrucchieri.
RR: Nel film, Alex è molto sincero e aperto nel raccontarsi. Parla di qualsiasi cosa, anche di eventi dolorosi come lo stupro di cui è stato vittima. Sembra non voglia parlarne ma poi lo fa. Hai avuto remore nel decidere in montaggio cosa tenere e cosa escludere?
SD: Si, è stato difficile decidere cosa tenere in quella occasione. Quando ho rivisto il film recentemente, mi sono sentito imbarazzato dalla mia curiosità, però ho anche trovato che la simpatia nei confronti di Alex aumenta anche attraverso le mie domande sgarbate e maleducate.
RR: Trattandosi di un ritratto così intimo, qual è stata la reazione di Alex quando ha visto il film per la prima volta?
SD: La prima di Life is Wonderful, Isn’t It? è stata davvero meravigliosa: un cinema pieno con Alex, sua madre, i suoi fratelli, i miei amici, spogliarelliste e molti ragazzi dall’orfanotrofio. È stata una delle migliori proiezioni cui abbia mai partecipato. All’inizio tutti ridevano e alla fine tutti piangevano. E Alex era felice perché la gente gli dimostrava amore e rispetto.
RR: Un aspetto che ha catturato la mia attenzione è l’enfasi sulla sessualità di Alex: alcune persone ne parlano ma lui no, ad eccezione della scena in cui parla del trauma dello stupro. Era un tabù per lui o sei stato tu a scegliere di non affrontare l’argomento con lui?
SD: In Bulgaria il tema dell’omosessualità rappresentava allora un tabù. Si poteva parlare di tutto ma non di questo. E il mio protagonista è gay. Prima ho realizzato l’intervista in cui lui parla del trauma e poi ho deciso di chiedere a tutti della sua omosessualità. Quando ho rivisto quella parte di recente, ho trovato che il mio approccio è rozzo ma funziona. Pongo domande in modo brusco, come le avrebbero poste le menti medie dei Bulgari degli anni ’90 ma alla fine gli spettatori provano empatia per lui. È questo è meraviglioso, no?
RR: Per quanto tempo hai girato?
SD: Un anno e qualche mese. Non avevo scadenze.
RR: E cosa è successo quando il film è terminato?
SD: L’ho mostrato a uno dei miei docenti che era responsabile dei cinema di Sofia, perché allora tutte le sale erano di proprietà dello Stato. Gli è piaciuto molto e abbiamo organizzato l’anteprima in una sala della città. Quindi, ho inviato il film a Dok Leipzig, dove poi mi hanno invitato e premiato. Dopo ho deciso di continuare a girare documentari e così ha avuto inizio la mia cosiddetta carriera.
Svetoslav Draganov con Bozhidar in una pausa di lavorazione di Life Almost Wonderful
RR: A dieci anni di distanza, sei tornato da Alex per Life Almost Wonderful espandendo in questa occasione il tuo interesse ai suoi fratelli Bozhidar e James. I due film appaiono molto distanti: ora l’attenzione è sui tre fratelli, le loro dinamiche e le loro vite dopo la morte della madre. Cosa è cambiato nel tuo approccio dopo tutti questi anni?
SD: Dopo Life is wonderful, isn’t?, Alexander è diventato il mio parrucchiere e così metto i miei capelli nelle sue mani ogni due mesi. Questo dura da molti anni e, mentre mi taglia i capelli, ascolto le ultime novità su di lui e la sua famiglia. Qualche anno fa ho sono andato a trovare suo fratello Bozhidar nel monastero in cui vive e così ha preso forma l’idea di realizzare Life Almost Wonderful.
RR: Cosa hai trovato di diverso rispetto al tuo primo film? E cosa è cambiato nel tuo modo di guardare alle persone e filmarle?
SD: È stato particolarmente importante per me mostrare i differenti percorsi scelti da Alexander e Bozhidar – il nome significa “dono divino”. Il primo tenta di entrare nel mondo della vanità e ne viene respinto, ironicamente, per essere troppo vanitoso. Il secondo, invece, ha scelto la vota monastica, una vocazione opposta a quella del fratello. I loro sogni e le loro aspirazioni sono innocenti più che mai ed è come se loro due ritrassero due archetipi fondamentali nella società moderna,
Mi piace sinceramente il comportamento genuino di Alexander e il suo ingenuo modo di pensare e la sua fede nella vanità. Potremmo pensare che sia strano ma, in fondo, cosa ci differenzia da lui? Anche noi sogniamo di raggiungere I nostri scopi e di essere premiati. Lui crede fermamente che qualcosa nella sua vita cambierebbe se un giorno vincesse un premio Kapanov (dal nome di un famoso e pluripremiato parrucchiere bulgaro. Ndr.). Per quanto riguarda Bozhidar, essendo io nato e avendo sempre vissuto a Sofia, ho assorbito la cultura popolare occidentale ed è stato incredibilmente interessante per me capire come vive un giovane uomo e cosa sogna dopo avere abdicato a tutte le comodità di uno stile di vita materialistico per unirsi a un monastero ortodosso nell’Est. E quini, ultimo ma non ultimo, James. Lui è come ero io alla sua età: non troppo attento al futuro e interessato a birra, ragazze e canne. Ma ha anche carattere, un forte senso di dignità. Durante I provini per un piccolo ruolo in una serie televisiva gli è stato chiesto di fare qualcosa che non gli piaceva e non l’ha fatto. Questo è Jimmy e tutti e tre sono come la loro madre, che era una donna molto indipendente.
RR: Questa volta, i fratelli di Alex parlano delle loro vite e del loro passato. È stato difficile convincerli ad apparire nel documentario?
SD: Li conosco da tanti anni ma ho parlato loro del film in modi differenti. Alex era molto positivo a riguardo, era solo un po’ geloso per il fatto che il documentario non sarebbe stato interamente dedicato a lui. Jimmy era d’accordo ma poi si è fatto aspettare quando stavamo girando. Con Bozhidar ho vissuto un momento davvero molto interessante quando gli ho chiesto se avrebbe partecipato o meno. Lui non era sicuro e non aveva un telefono. Un giorno ho quindi deciso che sarei andato a trovarlo al monastero con la troupe: il direttore della fotografia Vesselin Hristov e il fonico Ivan Andreev. Quando siamo arrivati, i monaci ci hanno detto che non era lì, che era andato nella città vicina, dove c’è un’università, perché forse avrebbe voluto dedicarsi allo studio. Siamo quindi andati all’università, era una giornata molto calda e abbiamo chiesto in giro se avessero visto un monaco. La risposta è stata: «Si, un po’ di tempo fa c’era un monaco che si informava sugli esami perché voleva diventare uno studente» . Siamo stati fortunati perché lo abbiamo visto che si riparava, in piedi, all’ombra di un albero. Mi sono avvicinato a lui ed era sorpreso di vedermi. Siamo quindi tornati tutti insieme su una sola auto e lì ha iniziato a confessarmi di essersi innamorato.
RR: In Life Is Wonderful, Isnt’it? interagisci con Alex ponendogli domande. Qual è, secondo te, la posizione che un documentarista deve mantenere? Pensi ci debba essere una distanza tra chi filma e chi viene filmato? E che tipo di distanza?
SD: Alla mia scuola ci hanno insegnato che si deve mantenere una distanza ma io non l’ho mai fatto. Magari è un errore ma io sono sempre diventato amico dei miei protagonisti. Sono un amico stretto di Alex da 16 anni ed è così con i protagonisti dei miei altri film. Ma c’è un altro aspetto: è il cinema è sempre una “storia d’amore”, ti innamori delle persone che riprendi, le filmi e quindi poi ti innamori di altre. Per me, i documentari sono come storie d’amore, storie d’amore fragili perché vorresti sempre poter restituire la persona che filmi in tutta la sua complessità.
RR: Pensi che avrai voglia di seguire ancora le loro storie tra qualche anno?
SD: Si, lo vorrei.
RR: Entrambi I film mi hanno ricordato Grey Gardens di Albert Maysles per la posizione tra cineasta e oggetto della sua attenzione. Conosci il suo cinema?
SD: Si, conosco Albert Maylses ma non ho visto tutti i suoi film. Di Grey Gardens ho visto solo il trailer ma dovrò sicuramente vederlo.
RR: In Italia, i reality televisivi sono stati molto popolari in questi ultimi anni con il risultato che ora le persone comuni hanno acquisito familiarità con le telecamere, come non avessero fatto altro per tutte le loro vite. È così anche in Bulgaria? E come sai se ti trovi di fronte alla realtà o se una persona recita, magari senza nemmeno rendersene conto?
SD: “The Big Brother” (il nostro “Grande fratello”. Ndr.) è molto popolare in Bulgaria da qualche anno. Abbiamo questa stupida idea comune che se vuoi realizzare un documentario la persona di fronte alla camera debba essere speciale o debba meritare di essere in un film. Quindi ora trasmettono solo “Celebrity Big Brother” o documentari su persone “meritevoli”, vive o morte. Comunque sì, noi persone recitiamo comunque sempre perché, come disse Shakespeare: «La vita è teatro». Ci sono persone che recitano con maggiore naturalezza in questo teatro, e sono quelle che amo.
RR: Oltre ai due di cui abbiamo parlato in questa occasione, hai realizzato altri documentari, tra cui: City of Dreams, sulle aspirazioni tra generazioni, The Children of Drujba, sull’adozione di una bambina vietnamita da parte della poetessa bulgara Blaga Dimitrova, Mothers and Daughters, sul (difficile) rapporto tra madri e figlie, Amateurs…
Cosa ti spinge verso un nuovo progetto?
SD: Da bambino ero un appassionato di letteratura gialla e poliziesca e di autori come Arthur Conan Doyle, Dashiell Hammett e Raymond Chandler e devo dire che oggi mi sento come un investigatore provato che indaga la natura umana.
17 febbraio – 3 marzo 2015
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